Le foreste pluviali tropicali diffuse oggi sulla Terra sono nate sulla scia dell’enorme asteroide che avrebbe causato l’estinzione dei dinosauri. Prima dell’impatto, avvenuto nella penisola dello Yucatán, nell’attuale Messico, le foreste del Sudamerica erano infatti composte da una vegetazione molto diversa.

“Se tornassimo al giorno prima della caduta del meteorite vedremmo una foresta molto più ariosa, con tante felci, conifere e dinosauri”, spiega Carlos Jaramillo dello Smithsonian tropical research institute a Panamá. “La foresta attuale è il risultato di un evento accaduto 66 milioni di anni fa”. Jaramillo e i suoi colleghi hanno analizzato decine di migliaia di campioni di pollini e foglie fossili trovati nel nord del Sudamerica e risalenti sia al periodo cretaceo, subito prima della caduta dell’asteroide, sia al paleogene, subito dopo. Secondo le analisi, dopo l’impatto la biodiversità vegetale si è ridotta del 45 per cento e ha impiegato sei milioni di anni per riprendersi. E i segni dei morsi degli insetti sulle foglie indicano che ne ha risentito moltissimo anche la biodiversità animale.

Cambiamenti imprevedibili

Dopo la catastrofe, quindi, le foreste pluviali del Sudamerica hanno cambiato volto. La maggior parte delle conifere e delle felci è scomparsa lasciando il posto alle angiosperme, la cui fitta copertura impedisce quasi del tutto alla luce solare di raggiungere il suolo. “La lezione principale da trarre è l’imprevedibilità”, dice Ellen Currano dell’università del Wyoming, negli Stati Uniti. “Gli sconvolgimenti di questa portata cambiano le regole dell’intero ecosistema”.

Secondo Jaramillo e i suoi colleghi, l’asteroide può aver provocato una simile trasformazione in vari modi. Tanto per cominciare, è probabile che l’impatto abbia ucciso la maggior parte dei grandi dinosauri erbivori che calpestavano e mangiavano la vegetazione bassa. Inoltre, la cenere che si è posata dopo avrebbe fatto da concime, arricchendo il suolo di sostanze nutritive che hanno favorito la crescita delle angiosperme, più veloci di altre piante. E dato che le angiosperme erano già diversificate prima dell’impatto, non hanno avuto difficoltà a riprendersi.

Da sapere
I dati sulla deforestazione

◆ Secondo il rapporto annuale di Global forest watch, basato sui dati satellitari, 4,2 milioni di ettari di foreste tropicali sono stati distrutti nel mondo nel 2020, con un aumento del 12 per cento rispetto al 2019. Si tratta di una superficie equivalente a quella dei Paesi Bassi. Le foreste sono distrutte soprattutto per fare spazio all’agricoltura. Il paese più colpito è il Brasile, seguito dalla Repubblica Democratica del Congo. In Brasile nel 2020 sono stati distrutti 1,7 milioni di ettari di foresta, con un aumento del 25 per cento rispetto al 2019. I danni maggiori sono stati registrati in Amazzonia, sia a causa della deforestazione sia a causa degli incendi, ma sono state devastate dai roghi anche alcune aree del Pantanal, la più grande zona umida del mondo. Afp, The New York Times


“La foresta incredibilmente varia e complessa nata da quel fenomeno è magnifica. Ma oggi è in atto un’estinzione di massa causata dall’umanità e, ancora una volta, interi ecosistemi stanno cambiando”, spiega Bonnie Jacobs della
Southern methodist university in Texas, negli Stati Uniti. “La foresta pluviale a noi piace così com’è, ma probabilmente gli animali che vivevano durante il cretaceo non la pensavano allo stesso modo”, aggiunge.

Lo studio dei cambiamenti che un evento così importante ha inflitto alle foreste può aiutarci a capire la loro reazione alla distruzione in corso, e quanto tempo impiegano per riprendersi, dice Jaramillo. “Sono stato testimone della scomparsa, da un giorno all’altro, di aree di foresta che erano il risultato di 66 milioni di anni di evoluzione. La deforestazione avanza a un ritmo sconvolgente”, aggiunge lo studioso. “Ora sappiamo che le foreste ricche di biodiversità impiegano moltissimo tempo per rinascere. Non possiamo distruggerle pensando che basterà ripiantare gli alberi”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati