La donna con gli occhiali scuri smette per un momento di scrivere sul cellulare e alza lo sguardo verso la parte anteriore dell’autobus. Sono appena saliti due ragazzi con un altoparlante e una cornice di cartone a forma di schermo televisivo, su cui c’è il logo di El bus tv. Il presentatore del telegiornale ambulante comincia a parlare: “Da settembre 2020 ad aprile 2021 in Cile sono entrati 3.500 minori non accompagnati. Erano soprattutto venezuelani. Per raggiungere Santiago del Cile dal Venezuela, prendendo gli autobus e camminando per rotte illegali, i migranti spendono in media 450 dollari”.

La donna aggrotta le sopracciglia e guarda la bambina seduta accanto a lei, forse è la nipote. Non riesce a capire bene cosa dice il ragazzo con l’altoparlante, che cerca di non cadere quando l’autista frena, ma ha ascoltato abbastanza per capire che è la sintesi di un reportage sulla migrazione pubblicato su Armando.info, un sito censurato dal governo di Caracas.

Dopo poco il ragazzo con l’altoparlante (Maximilian Bruzual), quello che tiene lo schermo di cartone (Juan Pablo Lares) e un fotografo (Cristian Hernández) scendono e si avviano verso un’altra fermata. Il loro telegiornale è durato otto minuti: il tempo per andare in autobus da Altamira a Chacao, nella zona est di Caracas, è lo stesso che loro impiegano in media per dare le notizie.

I temi sono quelli d’interesse generale – per esempio la campagna vaccinale o le liste elettorali – e le questioni politiche di cui non si parla sui canali in chiaro, alla radio o sui pochi giornali che circolano. Per esempio la crisi migratoria, la più grave dell’America Latina. I portavoce del governo continuano a negare l’esodo di massa di più di cinque milioni di venezuelani e le conseguenze dell’emergenza umanitaria. Secondo le Nazioni Unite, il 96 per cento della popolazione venezuelana è povero e 9,3 milioni di persone vivono nell’insicurezza alimentare.

Di questi argomenti e di altri come la corruzione, la violazione dei diritti umani e l’inefficienza della pubblica amministrazione si occupa El bus tv, che da quattro anni legge le notizie sugli autobus, nei quartieri e nelle baraccopoli venezuelane. Ha cominciato a Caracas e poi si è allargata: oggi ci sono 26 cronisti – soprattutto studenti di giornalismo o persone appena laureate – impiegati in otto stati del paese. “Il fatto stesso che El bus tv esista è di per sé una denuncia, una protesta contro la censura e la difficoltà di accesso all’informazione”, spiega Abril Mejías, una delle fondatrici.

Maximilian e Juan Pablo sono studenti universitari e oggi sono in servizio lungo avenida Francisco de Miranda. Prima di cominciare la trasmissione, fanno qualche prova per regolare il volume dell’altoparlante.

Cambio di posizione

Di solito una squadra di El bus tv è composta da tre persone: un giornalista presenta le notizie, il produttore o la produttrice chiede il permesso di salire sull’autobus e tiene la cornice, e l’addetto ai video riprende il telegiornale per poi pubblicarlo sui social network. Oggi la squadra aspetta un autobus un po’ meno affollato di un’azienda privata. Per precauzione e per evitare conflitti di solito non scelgono i mezzi di proprietà statale. Al quarto autobus che passa l’autista dice a Juan Pablo che possono salire. Maximilian si sistema davanti alla prima fila di passeggeri e Juan Pablo tiene la cornice.

“Buongiorno, questo è El bus tv. Ecco come sta andando la campagna vaccinale annunciata dal governo”, dice. “Per ora si somministrerà il vaccino russo Sputnik alle persone con più di sessant’anni e il cinese Sinopharm a tutte le altre”.

La gente applaude. “Sono contenti di essere informati”, spiega Juan Pablo.

La lettura delle notizie da un balcone nel quartiere La Lucha. Caracas, maggio 2021 (Cristian Hernández Fortune)

El bus tv è una delle poche realtà informative indipendenti che ci sono ancora in Venezuela.

Dal 1999, quando l’ex presidente Hugo Chávez la portò al centro della sua politica, in Venezuela l’informazione è cambiata. In questi anni si è instaurato uno “stato comunicatore”, come lo definisce Marcelino Bisbal, uno studioso venezuelano autore di Hegemonía y control comunicacional (Alfa 2009). L’obiettivo era trasformare la struttura preesistente e dare più potere ai giornali filogovernativi. Con il tempo le strategie per controllare la stampa sono diventate più sofisticate, dice Bisbal: oggi almeno sette leggi blindano il sistema dell’informazione. Questo porta i giornalisti a censurarsi e a sottomettersi al potere.

Le organizzazioni che studiano la libertà d’espressione nel paese, come Ipys ed Espacio público, hanno aggiornato i loro dati di recente: dal 2004 in Venezuela hanno chiuso più di duecento testate tra giornali, radio e tv. Dei 130 quotidiani stampati che circolavano sette anni fa oggi ne restano solo diciannove. Le piattaforme indipendenti sono ridotte all’osso, mentre diventa sempre più grande il Sistema bolivariano di comunicazione e informazione creato dal governo: un conglomerato di 27 testate e servizi d’informazione pubblici a cui se ne aggiungono più di trecento patrocinati dal governo e altrettanti privati.

Questa realtà è alla base del dominio statale sull’informazione.

Come spiega Marysabel Rodríguez, coordinatrice dell’Osservatorio sociale dello spazio pubblico, ci sono anche altre restrizioni: la pressione giudiziaria, le sanzioni amministrative, le aggressioni contro i giornalisti e gli ostacoli per la copertura delle notizie.

Inoltre in Venezuela le interruzioni dell’elettricità sono frequenti e la velocità della connessione internet in media non supera i due megabit al secondo (la più bassa del continente), due fattori che limitano ulteriormente la possibilità di accedere a contenuti diversi online.

Rodríguez insiste sulla mancanza di diversità di punti di vista nella stampa: ci sono tv e giornali privati che per decenni hanno mantenuto una posizione critica verso il governo e poi, quando sono stati venduti nel 2013 o nel 2014, hanno cambiato la loro linea editoriale e sono diventati filogovernativi. Rodríguez fa tre esempi: la Cadena Capriles, il canale Globovisión e il quotidiano El Universal, fondato più di un secolo fa.

Ostacoli e pandemia

Un altro caso emblematico è la chiusura di Radio Caracas Televisión (Rctv), attiva per più di cinquant’anni, che trasmetteva il telegiornale più antico del paese. Chá­vez si oppose al rinnovo della concessione nel 2007, scatenando proteste in varie città. Infine c’è un episodio più recente: il sequestro dell’edificio del quotidiano El Nacional, con 77 anni di storia, dopo una sentenza del tribunale supremo a favore di Diosdado Cabello, il numero due del chavismo. Cabello aveva denunciato il giornale per “danni morali” a causa di un articolo che lo accusava di essere sotto inchiesta negli Stati Uniti per presunti legami con il narcotraffico.

I leader del chavismo giustificano queste intromissioni: Chávez parlava di “mezzi d’informazione golpisti” e il suo successore Nicolás Maduro li accusa di essere delle canaglie. La stampa sta cambiando in tutto il mondo, ma nel caso venezuelano ci sono restrizioni e meccanismi di censura contro i giornali indipendenti. “I giornalisti sono diventati il bersaglio di molti attacchi perché nel governo non c’è spazio per le voci non allineate”, afferma Daniela Alvarado, che si occupa della libertà d’informazione per l’Ipys. “Il discorso governativo è dominante, e questo incide su come si diffondono e si raccontano le notizie, e su come i cittadini le ricevono”.

Quattordici milioni di persone, la metà della popolazione del Venezuela, vivono in regioni in cui l’accesso all’informazione è limitato. E cinque milioni abitano in zone in cui circola, quando va bene, un solo quotidiano; dove ci si può sintonizzare al massimo su una o due stazioni radio o dove la radio manca del tutto. In queste zone del paese molto spesso non arriva internet, quindi le persone non guardano neanche i giornali online.

Questi dati riguardano più della metà delle regioni, come indica il rapporto “Atlan­te del silenzio: i deserti di notizie in Venezuela”, pubblicato dall’Ipys a settembre 2020. Per avere notizie diverse da quelle ufficiali, i venezuelani che possono pagare la tv via cavo o internet si sintonizzano su un canale internazionale o si collegano online attraverso una rete privata virtuale (vpn). Alcuni siti nazionali critici con il governo, come El Pitazo, Armando.info, Tal Cual, Runrunes, Efecto Cocuyo, sono bloccati. Succede anche con El Tiempo, Ntn24 o la Cnn in spagnolo.

Durante la pandemia di covid-19 El bus tv non ha avuto la vita facile, visto che non poteva più fare i suoi servizi sugli autobus. I giornalisti hanno pensato a un’alternativa per continuare a lavorare: scrivere le notizie su alcuni cartelloni e attaccarli alle facciate dei negozi e alle fermate più frequentate, spostando i telegiornali sui balconi dei quartieri. Hanno lavorato così fino a giugno di quest’anno.

Come una performance

La storia del Bus tv è cominciata in mezzo alle proteste. A maggio del 2017 le strade e le piazze delle principali città venezuelane erano invase dal fumo dei gas lacrimogeni. Le manifestazioni erano state organizzate dopo che il tribunale supremo di giustizia si era attribuito le funzioni del parlamento, all’epoca controllato dall’opposizione, aumentando i poteri del presidente Maduro.

A metà del mese, quando Cheo Carvajal, giornalista e attivista, aveva invitato le persone su Facebook a partecipare a una riunione in una libreria per pensare a forme di protesta pacifica, le vittime erano già più di cinquanta, soprattutto manifestanti: secondo il ministero dell’interno in quattro mesi di mobilitazioni sono morte 129 persone.

All’appuntamento in libreria si erano presentati giornalisti, difensori dei diritti umani e sociologi. El bus tv è nato quasi per caso. Alla fine di uno di quei primi incontri Claudia Lizardo, una produttrice audiovisiva e componente del gruppo musicale La Pequeña Revancha, era salita su un autobus con il fidanzato dopo una manifestazione segnata da scontri con le forze di sicurezza. I passeggeri erano tranquilli e indifferenti, e nella coppia era scattato qualcosa.

“Vivevamo due realtà parallele: da una parte la vita andava avanti come al solito, dall’altra c’erano le proteste con i gas lacrimogeni e i poliziotti”, racconta Lizardo. “Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare sugli autobus quello che succedeva. Fare una performance, come i musicisti. Con la cornice di una tv e lo stile di un racconto”.

Giornalisti del Bus tv a una fermata. Caracas, giugno 2021 (Cristian Hernández Fortune)

Ne aveva discusso con Cheo Carvajal in uno degli incontri. “Ho accettato e ho proposto il nome di El bus tv”, dice Carvajal. In spagnolo suona come el bús te ve, cioè l’autobus ti vede. “È un doppio senso”, spiega. Quasi contemporaneamente Laura Helena Castillo, una giornalista con esperienza nella carta stampata, aveva detto a Carvajal che voleva portare l’informazione nei quartieri, ma non sapeva come fare. Lui l’ha messa in contatto con Claudia Lizardo e la sintonia tra loro è stata immediata.

“Claudia aveva già in testa l’idea della cornice, come la quarta parete a teatro”, dice Castillo. “Ma non aveva pensato al contenuto, alla parte informativa”.

Si sono incontrate per fare delle prove la mattina del 27 maggio, nel decimo anniversario della chiusura di Rctv. Hanno convocato alcuni amici – il giornalista Abril Mejías, l’attrice María Gabriela Fernández, il regista Nicolás Manzano e il musicista Víctor Rodríguez – nel giardino di un edificio e hanno cominciato a pensare ai ruoli da assegnare: il presentatore, il responsabile della cornice, il produttore, il responsabile video.

Castillo aveva preparato un copione con la prima notizia: l’anniversario dell’ultima trasmissione di Rctv. “Siamo usciti per strada con una cornice di cartapesta”, racconta. “Abbiamo fermato un autobus, ma non siamo saliti perché c’era un signore che cantava. Abbiamo aspettato quello successivo. Claudia e Nicolás hanno chiesto il permesso di salire, poi María Gabriela ha letto la prima notizia mentre io tenevo la cornice”.

Percorrendo l’avenida Francisco de Miranda, a Caracas, dove si concentravano le manifestazioni, la devastazione provocata dagli scontri era sotto gli occhi di tutti.

“Sapevamo di fare qualcosa di sovversivo. All’inizio la consideravamo una forma di protesta pacifica. Poi, quando sono finite le manifestazioni, abbiamo cercato di scrollarci di dosso quell’etichetta: lavoriamo per contrastare la perdita della memoria. In questo paese la voglia d’informarsi ha perso forza, perché le persone devono pensare innanzitutto alla sopravvivenza”, dice Castillo.

I primi tempi i giornalisti si sono mossi contando solo sulle loro risorse, senza l’aiuto di nessuno. Davano informazioni generali. Poi hanno proposto notizie locali e di servizio, e anche sintesi di reportage e inchieste pubblicate sui siti censurati.

A Carvajal il progetto è sempre sembrato coraggioso, anche perché è nato quando il sistema dei mezzi d’informazione indipendenti in Venezuela si stava affermando ed era ancora guardato con scetticismo.

Per molti giornalisti El bus tv è stata la prima esperienza pratica sul campo

“Noi non lanciamo un messaggio a centinaia di migliaia di persone, come fanno i politici”, dice Carvajal. “Entriamo nei piccoli spazi, diffondiamo le notizie con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione”.

Un mese dopo la prima trasmissione la fondazione Gabo, in Colombia, e SembraMedia (un’organizzazione non profit creata nel 2015 negli Stati Uniti) hanno chiesto al gruppo del Bus tv di partecipare a un incontro di giornalismo imprenditoriale in Perù.

A quel punto la squadra ha cominciato a pensare a un modello economico sostenibile, cercando finanziamenti a Caracas e all’estero, borse di studio, creando alleanze giornalistiche e ricevendo donazioni. Il gruppo ha avuto dei fondi da un’organizzazione internazionale che sostiene le nuove iniziative giornalistiche.

Lizardo e Castillo hanno lasciato il loro lavoro per dedicarsi al progetto insieme all’altra fondatrice, Abril Mejías. L’obiettivo era promuovere un formato alternativo replicabile in altri quartieri della capitale e nelle zone più interne del paese. Un anno dopo, nel 2018, hanno ottenuto nuovi finanziamenti e il progetto del Bus tv è stato nominato al premio della fondazione Gabo nella categoria “ progetti innovativi”. A quel punto avevano già stretto accordi con alcune università per prendere degli studenti di scienze della comunicazione come tirocinanti. Oggi la squadra del Bus tv è composta da più di quaranta persone.

A Caracas c’è una redazione centrale formata da sette donne che prende le decisioni, scrive le notizie, mette a punto nuovi progetti e gestisce i social network. Tutti i collaboratori – i giornalisti, i responsabili dei forum e delle chat online e le persone che noleggiano gli altoparlanti – sono retribuiti per il loro lavoro.

Per ogni tratta di autobus c’è qualcuno che ha il compito di cercare contenuti. La redazione di Caracas prepara un testo con le notizie più importanti, a cui si aggiungono le informazioni locali.

Infine ci sono sintesi di alcuni lavori pubblicati su vari siti venezuelani indipendenti. Il gruppo del Bus tv collabora anche con alcune ong per parlare di temi come la violenza di genere o il diritto all’informazione.

Nel 2019 si è presentata una nuova opportunità. La giornalista Florantonia Singer si è unita al Bus tv per partecipare al concorso di urbanistica e arte CCS­city450. Insieme hanno messo a punto una struttura mobile per leggere le notizie in giro per i quartieri: La parada tv, “la fermata tv”. Il progetto era lavorare con i leader comunitari affinché fossero gli stessi abitanti a produrre e a presentare le loro notizie.

La proposta, insieme ad altri progetti, ha vinto il concorso. Hanno cominciato dalle zone di La Cruz e un anno dopo sono andati a Bello Campo, Chapellín e La Lucha, sempre a Caracas. Durante la pandemia hanno adattato il lavoro a un nuovo formato per rispettare il distanziamento: presentavano il telegiornale dai balconi. Così La parada tv è diventata La ventana tv, cioè “la finestra tv”.

Cronisti di quartiere

A Miriam Peña e alle sue amiche piace l’ora che precede il tramonto, perché hanno la scusa per uscire di casa con una sedia di plastica e chiacchierare sul marciapiede. Ogni venerdì verso le cinque a Bello Campo, un quartiere povero di Caracas, arrivano quasi sempre puntuali i giornalisti del Bus tv. Le notizie sono diffuse da un balcone al primo piano di una casa. Joshua de Freitas, 23 anni, studente all’Universidad central del Venezuela, si affaccia con un microfono: “Buonasera a tutti. Questa è La ventana tv. L’associazione degli abitanti del quartiere ha organizzato una seconda giornata di pulizia dei marciapiedi. L’iniziativa rientra in un programma per cercare di risolvere i problemi legati ai rifiuti e agli escrementi degli animali”.

Miriam e le sue amiche chiacchierano. Annuiscono, si voltano per vedere le reazioni delle altre, si portano le mani sulla mascherina, si tappano gli occhi. Due balconi più avanti, un uomo fa sedere un bambino di circa tre anni su un muretto, mentre una donna gli dà la merenda. Da lì ascoltano le notizie che legge Joshua. “A dicembre, secondo Nicolás Maduro, il governo venezuelano aveva pagato 200 milioni di dollari per ricevere dieci milioni di vaccini Sputnik V. Il presidente aveva assicurato che i vaccini sarebbero arrivati in novanta giorni. Secondo l’Alleanza giornalistica latinoamericana #InvestigaLaPandemia, coordinata da Convoca in Perù e da Runrunes ed El Pitazo in Venezuela, il 13 aprile erano arrivate solo 380mila dosi”.

Le donne si preoccupano: sono anziane e rischiano di stare molto male se si ammalano.

“Danno sempre notizie che non conoscevo”, dice Miriam. “Attaccano un foglio enorme con le informazioni che dobbiamo sapere, spiegano quello che succede nel quartiere o ci aggiornano sulla campagna vaccinale. L’altro giorno hanno parlato dei bambini che attraversano da soli la frontiera”.

In uno dei giornali murali hanno scritto una sintesi di un reportage pubblicato su Alianza Rebelde Investiga. Si parlava della corruzione e del caso Pdvsa, l’azienda petrolifera statale.

“Il settore petrolifero è stato a lungo una fonte di ricchezza nazionale, ma anche un mezzo di arricchimento per pochi funzionari pubblici e imprenditori legati al potere: 42 miliardi e 321 milioni di dollari di fondi pubblici destinati al settore petrolifero sono stati gestiti male. La ­Pdvsa, che dal 2003 finanzia progetti su alimentazione, sanità e questioni abitative, è in testa alla lista delle venti aziende con più casi di corruzione in Venezuela”.

Una trasmissione del Bus tv. Caracas, giugno 2021 (Cristian Hernández Fortune)

Miriam cerca di ricordare quando è stata l’ultima volta che ha visto un telegiornale in tv o ha letto un giornale, ma non ci riesce. “Sicuramente più di tre anni fa”, dice.

Molti abitanti camminano sul marciapiede senza neanche alzare lo sguardo. Non tutti ascoltano con la stessa attenzione e concentrazione di Marilyn Figueroa, la giornalista di quartiere che lavora con Joshua. Collabora con El bus tv dal 2020.

“Prima ero impiegata in un negozio di giocattoli che ha chiuso durante la pandemia. Sono rimasta a casa e mi occupavo di mia figlia di quattro anni”, racconta.

Quando El bus tv è arrivato nel suo quartiere, Figueroa, 42 anni, ha cominciato a cercare notizie tra gli abitanti. Due mesi dopo il gruppo le ha offerto di occuparsi dei giornali murali e di scattare le foto a La Cruz e a Bello Campo. Riceve uno stipendio che le garantisce di avere una certa indipendenza dai programmi sociali del governo e una maggiore stabilità economica.

Rispetto a quando lavorava nel negozio di giocattoli, ora guadagna di più (il salario minimo in Venezuela è di circa tre dollari al mese).

“Se qualcuno mi chiede cosa faccio, rispondo: ‘Sono una giornalista del Bus tv. Diamo notizie offline e le diffondiamo sui social network’”, dice Figueroa.

Senza corrente

Quando va via la corrente a Mérida o nello stato di Táchira – succede quasi tutti i giorni e a volte le interruzioni durano più di dieci ore – le cucine elettriche si fermano, l’acqua per farsi la doccia non arriva, non c’è internet e non si può chiamare con il cellulare. Il trasporto pubblico precipita nel caos, perché se manca la benzina solo pochi mezzi riescono a circolare. Le code per fare rifornimento sono lunghe chilometri.

Durante la pandemia Paula, María Fernanda e Alejandro, tutti e tre studenti di comunicazione, hanno scritto sui muri notizie come queste: “Accendono dodici paesi e spengono il Venezuela, un reportage pubblicato su El Pitazo”. Negli ultimi quindici anni il governo ha versato almeno due miliardi di dollari alle aziende statali di elettricità di dodici paesi dei Caraibi e alla Bolivia. Con quei soldi sono state comprate attrezzature e lampadine a basso consumo, sono state coperte le spedizioni di combustibile, i sussidi alle tariffe elettriche, la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture. Tra i paesi che hanno ricevuto questi aiuti ci sono Nicaragua, Bolivia, Haiti, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Giamaica, Grenada, Guyana e Antigua e Barbuda. Se le risorse fossero state investite correttamente in Venezuela, probabilmente oggi non ci sarebbe nessuna interruzione di corrente.

L’indifferenza dei cittadini verso le notizie è aumentata durante la pandemia

“Molti di noi hanno preparato i giornali murali alla luce di una candela”, racconta Alejandro Herrera, 21 anni, dell’Universidad de Los Andes, a Mérida. “Io lavoro con l’aiuto di una zia. Decido la struttura del testo e lei scrive con i pennarelli”.

Un’altra giornalista che ha lavorato senza salire sugli autobus è stata María Fernanda Chaparro. Vive a San Cristóbal, la capitale dello stato di Táchira, a più di dodici ore di strada dalla redazione di Caracas.

“Quelli che apprezzano di più il nostro lavoro sono gli anziani”, dice. “Una volta abbiamo attaccato un giornale murale nelle farmacie e alcuni hanno chiesto al proprietario perché non avessimo più aggiornato le notizie. Il commento più comune è: ‘Di questo non si parla in tv né alla radio’”.

Molti collaboratori regionali hanno imparato a scrivere e a raccontare le notizie con El bus tv, che è stato il loro primo impiego e quindi la loro prima esperienza sul campo. María Fernanda e altri venticinque studenti sono pagati, così come i nove cronisti di quartiere di Bello Campo, La Cruz, Chapellín e La Lucha. A volte fare pratica implica anche ricevere qualche insulto.

Il lavoro nello stato di Bolívar, una regione dove ci sono le miniere e alcune industrie di base, è molto difficile. A Ciudad Guayana, la città più popolosa dello stato, Marialejandra Meléndez, 23 anni, ha imparato sulla sua pelle cosa significa lottare per un territorio. Con altri colleghi ha attaccato un giornale murale con l’estratto di un’inchiesta di Runrunes sull’attività mineraria illegale nella regione. Tra le altre cose si leggeva: “L’oro estratto non solo è scambiato come moneta comune nella zona, ma è anche trafficato fuori dal paese come parte di una rete di contrabbando, nota allo stato venezuelano”. Un mese prima delle restrizioni imposte per la pandemia la squadra ha trasmesso le notizie a una fermata dell’autobus piena di venditori ambulanti. Tra loro c’era una donna che vendeva gelati e si infastidiva ogni volta che li vedeva arrivare. “Non ci voleva lì. Ci ha detto: ‘C’è una taglia sulla vostra testa, andatevene da un’altra parte’. La signora faceva parte di un gruppo di difesa chavista e aveva il comando della zona”, spiega Meléndez.

Allora Meléndez e gli altri hanno fatto una “ritirata strategica”, come prevede il loro protocollo di sicurezza in caso di conflitti.

Nel resto del paese la diffusione del Bus tv è aumentata durante la pandemia. Dal rapporto annuale risulta che nel 2020 il pubblico è più che raddoppiato: da 59mila persone nel 2019 a più di 138mila.

È morto Maradona

Darío Chacón è famoso nel quartiere della Cruz. È noto anche all’estero, perché il suo nome compare nei più di cento articoli e servizi che giornali e tv hanno dedicato al Bus tv. Quando Chacón grida “Attenzione, vicini!”, gli abitanti della zona sanno che verranno a sapere qualche notizia utile. Sa a memoria la data di ogni trasmissione: “Sono sessantotto, compresa quella di oggi. Tengo tutto in ordine per ricordare quello che ho imparato”, dice. “Prima di scrivere una notizia so che devo rispettare alcune regole fondamentali del giornalismo, come quella anglosassone delle cinque w, che suggerisce in un discorso di rispondere sempre alle domande chi, cosa, quando, dove e perché”.

Vive da tanto tempo a La Cruz che molti lo considerano un fondatore del quartiere. Ma la sua famiglia è sparsa un po’ ovunque: quattro dei suoi cinque figli sono emigrati in Cile, in Spagna e a Miami, negli Stati Uniti.

La trasmissione di oggi si terrà dalla casa di Rosa Elena Román, una signora che diventa gelosa se i giornalisti scelgono di trasmettere da un altro balcone.

“Se non fosse per il signor Darío non sapremmo quello che succede”, dice Román mentre fa spazio per sistemare l’altoparlante e i cavi.

Florantonia Singer, che coordina i rapporti con i quattro quartieri di Caracas in cui l’organizzazione trasmette le notizie, è colpita da come la gente abbia perso l’abitudine di informarsi da quando non ci sono più i contanti per andare in edicola e la tv dà solo informazioni approvate dal governo. “Si è persa l’abitudine perché ci sono altre cose che occupano tutto il tempo della gente”.

È successo a Chapellín, un altro quartiere del centro di Caracas dove trasmettono La ventana tv. Molti nella zona hanno paura di dare e ricevere notizie perché temono di perdere gli aiuti del governo, come i pacchi di generi alimentari a prezzi calmierati, i buoni per la maternità, per gli anziani e per i disabili. I giornalisti sono due abitanti del quartiere: Roberto Colmenares, un tassista disabile, e Joel Barreto, un ex giocatore di pallacanestro che è diventato organizzatore di eventi sportivi.

“All’inizio ci consideravano degli oppositori politici”, ricorda Colmenares.

Colmenares e Barreto hanno cominciato attaccando giornali murali e la gente li ha strappati. Allora hanno spiegato al consiglio comunale che stavano dando informazioni d’interesse pubblico. Hanno affisso un altro giornale con reportage tratti da mezzi d’informazione censurati, ma anche quello è stato strappato. Poi sono arrivate minacce pesanti alle loro famiglie. Lavoravano da appena un mese.

“A poco a poco ci siamo ritagliati uno spazio”, dice Joel. “Ora le persone ci chiedono cosa sappiamo dei vaccini, com’è andata la partita di campionato, quando sarà pagata la pensione”.

La disinformazione nel quartiere, dove vivono più di quattromila persone, è così diffusa che molti non sapevano neanche che Diego Armando Maradona fosse morto. Lo hanno scoperto solo una settimana dopo, quando i “signori della radio”, come sono chiamati Colmenares e Barreto, ne hanno parlato.

Da sapere
Verso le elezioni

◆ Il Venezuela è guidato dal 2013 da Nicolás Maduro, eletto presidente dopo la morte di Hugo Chávez. Nel 2018 Maduro ha vinto di nuovo le elezioni, che sono state contestate dall’opposizione.

◆ In questi anni la crisi economica, sociale e politica del paese si è aggravata. Secondo le Nazioni Unite, dal 2014 a oggi più di quattro milioni di persone hanno lasciato il Venezuela a causa della violenza e della povertà. Nello stesso periodo, le richieste dei venezuelani nel mondo per ottenere lo status di rifugiati sono aumentate dell’8.000 per cento. Il governo attribuisce la crisi economica alle sanzioni degli Stati Uniti. Il 21 novembre 2021 si svolgeranno le elezioni regionali. Dopo vari anni di boicottaggio, parteciperà anche l’opposizione. Bbc, Reuters


“Una signora non ci credeva”, racconta Barreto. “Durante la trasmissione un altro signore ha gridato: ‘Cosa vuol dire che è morto Maradona? Dove l’avete sentito?’”.

Sembra inverosimile che una notizia del genere non arrivi, ma Chapellín è come un bunker su cui rimbalzano tutti i segnali telefonici.

“Ogni volta che devo inviare o ricevere sms o messaggi su WhatsApp devo uscire di casa e arrivare fino al ponte, sperando di trovare campo”, spiega Colmenares. “E spesso non abbiamo elettricità, quindi non riusciamo a vedere la tv”.

Efficacia limitata

Durante la pandemia, la ripresa dei trasporti pubblici in Venezuela è stata lenta e non ha riguardato tutti. È chiaro che molte cose sono cambiate in questo periodo, anche la dinamica del Bus tv con il suo pubblico.

“Alcune linee di autobus sono scomparse, altre hanno cambiato percorso, ma la gente ha ancora voglia di essere informata”, dice Marylee Blackman, una giornalista di Maracaibo, capitale dello stato di Zulia.

Tutti questi giornalisti che come lei hanno poco più di vent’anni sono accomunati da un fatto: sono nati quando Chávez era già arrivato al potere e non hanno conosciuto nessun’altra forma di governo.

“Quando frequentavo il primo anno di scienze della comunicazione a Mérida eravamo in 36”, ricorda Alejandro Herrera. “Siamo rimasti in otto, e in quattro lavoriamo per El bus tv. Molti sono emigrati, altri hanno cercato un lavoro diverso per sopravvivere. Dal primo momento ho sentito che stavo facendo qualcosa di buono per il mio paese, per oppormi alla censura. Ho 21 anni e non voglio andarmene dal Venezuela, la crisi economica non mi ha fatto cambiare idea. El bus tv ha avuto un ruolo importante nella mia scelta”.

Ma fino a che punto un’iniziativa nata dal basso è in grado di contrastare la carenza di notizie? Per essere davvero efficaci progetti del genere dovrebbero moltiplicarsi, dice Andrés Cañizález, direttore di Medianálisis.

“El bus tv rivela la profonda disinformazione che c’è in Venezuela, ma il suo impatto è circoscritto”, aggiunge. “Serve l’impegno di molte più persone consapevoli che l’informazione è un gesto di attivismo civico”.

L’indifferenza dei cittadini è aumentata con la pandemia. Prima la gente ringraziava sempre quando i cronisti leggevano le notizie sugli autobus, dice Juan Pablo Lares, il giornalista di Caracas. Ora gli applausi sono sporadici.

I tre componenti della squadra del Bus tv stanno per prendere il settimo autobus della giornata. Chiedono il permesso all’autista e salutano i passeggeri. Tre ragazzi in ultima fila si girano qualche secondo quando li vedono salire e poi ricominciano a parlare. La notizia dei venezuelani emigrati in Cile non attira la loro attenzione.

Un uomo urla dai sedili posteriori: “Non si sente!”.

Maximilian appoggia il microfono alla mascherina in modo che la sua voce non rimbombi. Poi ripete, come ha detto già su tutti gli altri autobus e come dirà anche sul prossimo e ultimo della giornata, che il governo di Santiago quest’anno vuole rimpatriare 1.500 stranieri irregolari e che nell’ultima settimana sono già stati espulsi sessanta venezuelani. Prima di chiudere la trasmissione dice: “Sapete perché non potete vedere i reportage di Armando.info? Perché il sito è costantemente bloccato dalla censura del governo. Questo telegiornale che portiamo in strada è un modo per aggirare la censura. Grazie per la vostra attenzione. Continueremo a informarvi”. ◆ fr

Liza López è una giornalista venezuelana. Dirige il sito indipendente Historias que laten e nel 2007 ha fondato la rivista Marcapasos. Insegna giornalismo all’Universidad central de Venezuela.

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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati