Dopo il devastante terremoto del 6 febbraio, la comunità internazionale ha rapidamente organizzato l’invio di aiuti umanitari in Turchia. Per quanto riguarda la Siria, invece, la situazione è più complicata. I soccorsi internazionali, strumentalizzati per anni dal regime di Bashar al Assad, si trovano di fronte a un dilemma: come sostenere una popolazione in pericolo senza fare il gioco del regime di Damasco, soprattutto nelle regioni controllate dall’opposizione? Nelle ultime ore i social network sono pieni di immagini dei siriani che vivono in queste aree, abbandonati a se stessi mentre cercano di estrarre le vittime dalle macerie. In Siria il bilancio provvisorio del sisma di magnitudo 7,8 e delle forti scosse successive, con epicentro nel sudest della Turchia, è di quasi tremila morti e cinquemila feriti, di cui la maggioranza nella zona nordoccidentale, controllata dalle fazioni legate ad Ankara e in parte dall’organizzazione jihadista Hayat tahrir al Sham (Htc).

Dopo la notizia della catastrofe, gli aiuti sono arrivati in Siria soprattutto dagli alleati del regime di Assad, come l’Iran, e dalla Cina. Si sono aggiunti anche quelli di paesi impegnati in un percorso di normalizzazione dei rapporti con la Siria, come gli Emirati Arabi Uniti, e quelli di chi non ha mai interrotto del tutto le relazioni, come l’Iraq.

Un solo passaggio

Ma c’è anche un paese che ha sorpreso tutti, annunciando l’invio di aiuti umanitari ad Assad. In una dichiarazione a effetto, il 6 febbraio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di averli approvati “dopo aver ricevuto una richiesta da una fonte diplomatica”, senza però precisarne l’origine.

Secondo Ayman Aldassouky, specialista di questioni siriane e ricercatore del centro Omran di Istanbul, “Netanyahu vuole incrinare i rapporti tra il regime di Assad e l’Iran, dimostrando che esistono canali diplomatici non ufficiali con Israele, attraverso la Russia”. Il regime siriano, pur avendo lanciato un appello alla comunità internazionale, ha smentito di aver chiesto aiuto a Israele, paese che considera nemico.

Da quando Assad è stato isolato a livello internazionale, dopo la sua sanguinosa repressione delle rivolte del 2011, non ha mai smesso di usare gli aiuti umanitari per fini politici. Il governo siriano si oppone al meccanismo creato a livello internazionale per soccorrere le zone controllate dai ribelli, che aggira la sua autorità, e vorrebbe che tutti gli aiuti passassero da Damasco. L’obiettivo è fare in modo che il suo potere sia riconosciuto dall’Onu su tutto il territorio e ottenere una legittimità internazionale.

Dei quattro passaggi di frontiera esistenti nel 2014, dal 2020 ne è rimasto solo uno, dopo la chiusura pretesa dalla Russia e dalla Cina di un valico in Turchia e di altri due in Giordania e Iraq. “Il regime di Assad ha limitato questo meccanismo transfrontaliero per usare gli aiuti umanitari internazionali a proprio vantaggio e rafforzare la sua legittimità, la sua base e le sue istituzioni”, sottolinea Aldassouky.

I paesi occidentali sono in imbarazzo davanti alle manovre del regime siriano

Ormai l’Onu conta solo sul valico di Bab al Hawa, alla frontiera con la Turchia, per inviare gli aiuti ai siriani che vivono nel nordovest del paese, senza l’avallo delle autorità di Damasco. Ma secondo fonti locali il passaggio, colpito dal terremoto, sarebbe stato chiuso. La portavoce dell’Onu per gli affari umanitari, Madevi Sun-Suon, ha dichiarato che i convogli di aiuti sono fermi lungo il confine, ammettendo di non sapere ancora quando potranno ripartire.

Riproponendo la retorica di Damasco, il 6 febbraio l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bassam Sabbagh, ha dichiarato che “gli accessi in Siria esistono. Le organizzazioni internazionali possono coordinarsi con il governo”. E ha aggiunto che Damasco è pronta a gestire gli aiuti “per tutti i siriani, in tutti i territori”, rifiutando la possibilità che arrivino in modo indipendente attraverso i valichi di frontiera.

Gli Stati Uniti hanno escluso esplicitamente la possibilità di trattare con il governo siriano, che non considerano legittimo, precisando che consegneranno aiuti al paese attraverso le ong. “Sarebbe paradossale, oltre che controproducente, tendere la mano in questo momento a un governo che ha martoriato il suo popolo per dodici anni, colpendolo con il gas, massacrandolo e rendendosi responsabile della maggior parte delle sue sofferenze”, ha dichiarato il portavoce del dipartimento di stato statunitense Ned Price. Dal 2011 la comunità internazionale ha imposto una serie di sanzioni economiche alla Siria. Queste misure sono state rafforzate nell’estate 2020 dall’entrata in vigore della legge statunitense Caesar, che colpisce qualunque persona, azienda o istituzione faccia affari con il governo di Damasco o contribuisca alla ricostruzione del paese. Dopo il terremoto vari sostenitori del regime hanno diffuso sui social network l’hashtag #stopsanctionssyria, rafforzando la tesi delle autorità secondo cui la crisi economica sarebbe direttamente legata alle sanzioni.

Reti informali

“Per il regime il flusso di aiuti umanitari rappresenterà un’occasione per uscire dall’isolamento a livello regionale e internazionale”, suggerisce Fayçal Abbas Mohammad, ex professore di relazioni internazionali siriano-canadese. Secondo lui, dal 2021 Assad ha fatto grandi passi avanti in termini di normalizzazione dei rapporti internazionali, soprattutto dopo aver incontrato nel marzo 2022 il principe ereditario ad Abu Dhabi, la prima visita in un paese arabo dal 2011. Il 7 febbraio, in una conferenza stampa organizzata a Damasco, Khaled Haboubati, direttore della Mezzaluna rossa siriana, che opera nelle zone controllate dal governo, ha chiesto all’Unione europea di cancellare le sanzioni internazionali, perché “dopo questo terremoto è il momento di farlo”.

Nonostante le sanzioni, le aree controllate dal regime siriano ricevono aiuti internazionali attraverso le agenzie dell’Onu, che spesso hanno sede a Damasco. Tuttavia, diverse inchieste condotte negli ultimi anni hanno rivelato la scomparsa di somme astronomiche destinate agli aiuti e finite nelle tasche del regime. Secondo uno studio pubblicato nell’ottobre 2021 dal Center for strategic & international studies (Csis), tra il 2019 e il 2020 il governo siriano si sarebbe impossessato di cento milioni di dollari di aiuti umanitari dell’Onu attraverso l’imposizione di un tasso di cambio estremamente sfavorevole. “I soldi che arriveranno in Siria continueranno a passare attraverso le istituzioni finanziarie controllate dal regime, con il tasso di cambio imposto da Damasco”, nota Abbas Mohammad. Dopo il sisma, l’Unione europea ha annunciato una donazione di circa 650mila dollari alla Federazione internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa destinata alla Turchia e alla Siria, ma senza precisare il modo in cui il denaro sarà inviato nel secondo paese.

“Il regime cercherà di rafforzare le sue reti informali, come il Syria trust for development, assegnandogli il diritto di controllare gli aiuti umanitari internazionali e di usarli per finanziare la fornitura di servizi e sostenere la base di Assad, alle prese con le conseguenze del conflitto”, aggiunge Ayman Aldassouky.

I paesi occidentali sono in forte imbarazzo davanti alle manovre del regime siriano, ma è difficile che possano evitare di trattare con i suoi leader se vogliono aiutare la popolazione. “Dobbiamo considerare che tutti i mezzi pesanti necessari per sgomberare le macerie in vista delle operazioni di ricerca e salvataggio sono a diesel”, sottolinea Karam Shaar, economista siriano e ricercatore del Middle East institute. “È impossibile sapere quanto gasolio sia disponibile nel paese senza dialogare con le istituzioni governative”.

Negli anni è sembrato che diversi paesi della regione volessero avere un atteggiamento pragmatico con la Siria, partendo dal presupposto che, a dodici anni dalla rivoluzione, Bashar al Assad resterà a lungo al potere. Sul fronte interno il peggioramento della crisi economica sembrava aver ridotto il sostegno di una parte della base nei suoi confronti. Ma ora molti oppositori temono che il terremoto sia un’occasione d’oro per il regime. Assad ha l’abitudine di mettersi in scena al capezzale della sua popolazione, come quando ha visitato Latakia dopo i gravi incendi nei boschi che avevano provocato diverse vittime nell’ottobre 2021. “Il terremoto sarà usato dal regime per distogliere l’attenzione dagli abusi, dagli omicidi e dalla repressione, e dall’incapacità cronica di fornire servizi e soddisfare i bisogni più elementari di nove milioni di siriani che vivono sotto il suo controllo”, riassume Fayçal Abbas Mohammad. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati