“Senza gas russo”, scriveva qualche giorno fa il Corriere della Sera, “l’autunno sarà freddo”. In senso letterale, sì, ma anche in senso metaforico per quanto riguarda la situazione generale.

Solo ora gli italiani si stanno rendendo conto di quanto il paese è dipendente dalle forniture di gas provenienti dall’estero, soprattutto dalla Russia. La guerra in Ucraina fa vacillare certezze che sembravano incrollabili. In Italia la preoccupazione è più forte che altrove visto che il gas serve per riscaldare e cucinare e provvede a una parte importante del fabbisogno di energia elettrica. In primavera e in estate probabilmente non ci saranno problemi, ma l’autunno è una minaccia cupa.

Il presidente del consiglio Mario Draghi non ha escluso un razionamento del gas per il settore industriale. L’Italia sta pagando le sue strategie miopi, la svendita della propria autonomia, l’insufficiente differenziazione delle fonti energetiche. Nel 1980, quando consumava solo quaranta miliardi di metri cubi di gas all’anno, ne produceva quasi la metà grazie a 115 piattaforme offshore, situate principalmente nel nord dell’Adriatico. Oggi consuma un quantitativo di gas quasi doppio rispetto a quarant’anni fa e ne produce solo 3,5 miliardi di metri cubi. Negli ultimi vent’anni le piattaforme d’estrazione e i combustibili fossili sono passati di moda e le quantità prodotte si sono ridotte sempre di più.

Da sapere
Un continente di importatori

◆ Percentuale di gas importato dalla Russia sul totale delle importazioni di gas di ciascun paese. Regno Unito e Bosnia Erzegovina, dati del 2019. Nel 202o la Norvegia ha importato dieci milioni di metri cubi di gas dalla Russia, ma non dipende da Mosca perché è un’esportatrice netta (esporta più gas di quanto ne importa). Eurostat, Agenzia statistica e analitica del dipartimento statunitense per l’energia, Bloomberg


Il resto del gas viene da Russia (circa il 40 per cento), Algeria (28 per cento), Azerbaigian (9 per cento) e Libia (4 per cento), per citare solo i fornitori maggiori. Il gas liquefatto trasportato dalle navi cargo che partono dal Qatar, invece, è convertito nei rigassificatori a Livorno, a Panigaglia e a Cavarzere, dov’è stoccata la maggior parte delle riserve italiane, che però sono piuttosto scarse: secondo il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, infatti, se s’interrompessero le forniture di gas dall’estero, le riserve basterebbero solo per otto settimane.

Diversificare le fonti

Ora l’Italia sta cercando di aumentare le quantità importate da fonti non russe, per sottrarsi ai possibili ricatti di Mosca. Da quando è scoppiata la guerra il ministro degli esteri Luigi Di Maio è già stato in Algeria e in Qatar, insieme all’amministratore delegato dell’Eni. Ma le trattative con il Qatar sono difficili, perché il paese ha impegni contrattuali a lungo termine con altri compratori in estremo oriente. Le cose sono andate meglio con l’Algeria, da cui ultimamente attraverso il condotto Transmed arrivano più forniture di gas rispetto a quelle provenienti dalla Russia. Anche dall’Azerbaigian ci si aspetta un aumento delle importazioni, visto che il nuovo gasdotto Trans-Adriatico al momento non è sfruttato a pieno regime. E poi c’è la Libia, ex colonia italiana, da cui in passato l’Italia importava grandi quantità di gas, anche per la vicinanza geografica tra i due paesi. Poi però l’Italia si è resa conto che Muammar Gheddafi sfruttava questa dipendenza a scopi politici e ha cercato nuovi fornitori. Ma la lezione non è bastata.

Alcuni studi dimostrano che se l’Italia interrompesse del tutto le forniture di gas russo, aumentando la propria produzione e le importazioni da Algeria, Azerbaigian e Libia, sarebbe in grado di compensare solo la metà del quantitativo perso: all’appello mancherebbero circa 15 miliardi di metri cubi di gas all’anno, una quantità considerevole.

Il ritorno del carbone

Ma quali sono le alternative? L’Italia non ha centrali nucleari. Inoltre, aumentare la produzione da fonti rinnovabili non è facile: serve tempo, soprattutto a causa della burocrazia. A breve termine, perciò, la via d’uscita è una sola e in parlamento Draghi ne ha parlato con tono rassegnato: il governo ha dato disposizioni perché sei centrali a carbone si preparino a riportare la produzione a pieno regime.

L’Italia si era impegnata a dismetterle tutte entro il 2025, per contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2. Circa l’otto per cento dell’inquinamento atmosferico in Italia, infatti, si deve a queste centrali. Quella di La Spezia era già stata chiusa, mentre le altre avevano ridotto la produzione. La centrale di Monfalcone, nel nordest del paese, era vicina alla chiusura, con grande sollievo della popolazione locale, che ora a causa di Vladimir Putin rischia di tornare a vivere tempi bui.

All’improvviso si parla di nuovo anche di trivelle, le piattaforme di estrazione da sempre contestate per motivi ecologici e per il loro impatto sul paesaggio. Cingolani ha annunciato che il governo ha semplificato le procedure per autorizzare nuovi impianti. Una dichiarazione singolare visto che il suo ministero ha il compito di rendere più sostenibile la produzione di energia in Italia. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 45. Compra questo numero | Abbonati