Esiste un consenso politico trasversale sul fatto che il Regno Unito deve facilitare l’acquisto delle case. Lo dimostra un dato: su 7,5 milioni di britannici gravano mutui per 1.700 miliardi di sterline (quasi duemila miliardi di euro), un record. Tuttavia questo debito è esposto alle variazioni dei tassi d’interesse più di quanto succede negli altri paesi avanzati. La conseguenza è che milioni di famiglie rischiano la povertà estrema ogni volta che i tassi aumentano all’improvviso. C’è una totale indifferenza nei confronti di questa situazione.

Alla fine del 2023 circa 4,4 milioni di famiglie saranno costrette a ristrutturare il mutuo con tassi d’interesse molto più alti di quelli del febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina. All’epoca i mutui a tasso fisso biennale erano intorno al 3 per cento, oggi sono al 6 per cento. Il gruppo di studio Resolution foundation, partendo dal presupposto che anche l’anno prossimo il costo dei mutui a tasso fisso biennale resterà al di sopra del 6 per cento, prevede che l’esborso annuale delle famiglie aumenterà di 15,8 miliardi di sterline.

Alla fine del 2023 nel Regno Unito circa 4,4 milioni di famiglie saranno costrette a ristrutturare il mutuo con interessi molto più alti di quelli del febbraio 2022

In questo contesto è comprensibile che la fiducia della popolazione nella Banca d’Inghilterra e nella sua capacità di gestire l’inflazione e i tassi d’interesse sia al minimo storico. Il governatore della banca, Andrew Bailey, ha ammesso alla camera dei lord che sono stati fatti vari errori. Tuttavia, non si è concentrato sulla necessità di riforme o innovazioni ma solo sul modello economico della banca (che evidentemente aveva fornito previsioni errate) e si è limitato a promettere una revisione interna. Tutto qui? Dopo tredici anni di tassi vicini allo zero, il Regno Unito sta vivendo il più drammatico aumento dagli anni ottanta, e la situazione sembra destinata a peggiorare.

Certo, anche altre economie registrano un aumento dei tassi, ma c’è un elemento che rende diversa la crisi britannica: nel Regno Unito i debitori sono abbandonati a se stessi e costretti ad affrontare da soli gli enormi rischi legati ai tassi d’interesse. Serve un’indagine approfondita sulla struttura della finanza britannica, e bisognerebbe rinnovare anche le istituzioni che gestiscono l’economia.

Il governo non sembra conoscere il mercato dei mutui britannico, dove circa il 95 per cento dei prestiti è a tasso variabile o ha un tasso fisso biennale. Il paese deve ispirarsi al new deal promosso dal presidente statunitense Franklin D. Roosevelt negli anni trenta. Oggi negli Stati Uniti i tassi d’interesse sono saliti più o meno come quelli britannici, ma più dell’80 per cento dei mutui è a tasso fisso per quindici o trent’anni e quindi immune alle fluttuazioni a breve termine. Perché? Il mercato statunitense è stato modellato da Roosevelt, che creò una serie di agenzie pubbliche in grado di prestare direttamente ai cittadini a un tasso fisso trentennale oppure, come fanno la Federal national mortgage association (Fannie Mae) e la Federal home loan mortgage corporation (Freddie Mac), di fornire garanzie al sistema. In questo modo Washington offre un sostegno sui mutui, ne condivide il rischio e rende disponibili prestiti a tasso fisso fino a trent’anni.

Non basta un fondo di protezione dei mutui da tre miliardi di sterline, come ha proposto il leader dei liberaldemocratici britannici Ed Davey. Servono nuove agenzie pubbliche in grado di rifinanziare e garantire debiti fino a cinquecento miliardi di sterline, in modo che la nuova norma siano i mutui a tasso fisso. Il problema è che in questo mondo l’idea che una Fannie Mae o una Freddie Mac britannici possano fare la differenza è improponibile. Se esiste una richiesta di mutui con tasso fisso a lungo termine, il mercato li fornirà, dicono, senza bisogno di agenzie da new deal.

Un altro aspetto della crisi è che non esiste un coordinamento sistematico tra le politiche economiche e quelle monetarie. Inoltre bisogna tenere presente la Commissione per il cambiamento climatico, nata con l’obiettivo di aiutare il governo a eliminare le emissioni di gas serra. I piani per le infrastrutture da realizzare entro il 2030 valgono già 650 miliardi di sterline e potrebbero superare i mille miliardi. Manca, però, un meccanismo per verificare come queste richieste si combinino con la politica economica, con la gestione di un debito pubblico da duemila miliardi di sterline e con il rifinanziamento di mutui a breve termine per centinaia di miliardi di sterline. Serve una riforma della struttura del mercato britannico dei mutui, ma anche del coordinamento tra la politica per il clima e la politica economica, quella monetaria e quella per le infrastrutture.

Roosevelt, molto attento quando si trattava di spesa pubblica e finanziamento, dovette essere creativo per far muovere l’economia degli Stati Uniti. Il Partito laburista, altrettanto prudente in politica economica, dovrà dare prova della stessa inventiva. Ormai è chiaro che c’è un assoluto bisogno di un new deal in salsa britannica. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati