Due grandi fogli appesi alla porta di casa di Jike Shibu ad Atuleer, un villaggio arroccato su una rupe tra le montagne della Cina sudoccidentale, sono bastati per decidere il destino della sua famiglia. Il primo è bianco e diviso in quattro sezioni: “Avere una buona casa; vivere una vita buona; coltivare buone abitudini; creare una buona atmosfera”. Ogni sezione ha un punteggio da uno a cento, e per la casa la famiglia di Jike Shibu ha solo 65 punti.
Accanto al cartello bianco ce n’è uno rosso, che riconosce a Jike e ai suoi lo status di “nucleo familiare colpito dalla povertà con tessera e iscrizione a registro”. Sopra ci sono le raccomandazioni scritte a mano da un funzionario su come la famiglia può migliorare la sua condizione. La “principale causa di povertà”, si legge nelle raccomandazioni, è una “cattiva infrastruttura dei trasporti e la mancanza di denaro”. Tra le misure consigliate ci sono dedicarsi a colture con un margine di profitto maggiore, come il pepe del Sichuan, e “cambiare abitudini”.
Di per sé, i cartelli non sono molto utili agli abitanti del villaggio: pochissimi di quelli nati prima del 2000 sanno leggere correntemente i caratteri cinesi. Le osservazioni scritte, però, possono cambiare il futuro delle persone. Nel caso di Jike, la sua famiglia è stata trasferita in un brulicante complesso residenziale nella vicina città mercantile di Zhaojue.
Zhaojue è una città che va di fretta. Il governo ha fissato una scadenza: entro la fine del mese vuole eliminare la povertà nella prefettura di Liangshan, una delle più svantaggiate della Cina. “Vincere la difficile battaglia per metter fine alla povertà”, recita l’insegna elettronica rossa dell’hotel centrale, con sotto il numero dei giorni che mancano alla scadenza. Nelle stradine strette lì intorno, i contadini corrono da una parte all’altra con cesti di vimini pieni di prodotti della terra mentre gli ambulanti vendono scarpe e abiti ammucchiati su teli di plastica.
L’inizio di quest’attività frenetica risale a sette anni fa, quando il presidente cinese Xi Jinping ha fissato l’obiettivo di eliminare la povertà estrema in tutte le contee rurali del paese entro la fine del 2020. Nei quarant’anni trascorsi dall’inizio della riforma che ha sancito il passaggio all’economia di mercato, la Cina ha fatto enormi progressi in questa direzione, guadagnandosi gli elogi delle Nazioni Unite, della Banca mondiale e di personaggi importanti come Bill Gates e Bernie Sanders: circa 850 milioni di persone sono state strappate alla miseria.
Per Xi e per il Partito comunista cinese gli obiettivi di riduzione della povertà non hanno solo un significato politico, sono anche fondamentali fonti di legittimazione, all’interno della Cina e di fronte al mondo. “I politici occidentali lavorano per le prossime elezioni. Pechino, invece, ha un partito al potere che si è dato grandi obiettivi”, osserva Hu Angang, consigliere del governo e responsabile per gli studi cinesi all’università di Tsinghua. “Nella storia dello sviluppo umano, raggiungere questo traguardo sarebbe, se non un caso unico, quanto meno un risultato degno di ammirazione”.
Laboratorio nazionale
Stando al governo cinese, nei cinque anni del primo mandato di Xi sono state strappate alla povertà in media 13 milioni di persone all’anno. Circa 775mila funzionari sono stati inviati nei villaggi per guidare le operazioni, e il fondo pubblico contro la povertà è aumentato del 20 per cento e più ogni anno a cominciare dal 2013. A marzo i mezzi d’informazione hanno fatto sapere che le casse dello stato hanno già distribuito 139,6 miliardi di yuan (17,6 miliardi di euro) dei circa 144 previsti. Ma l’epidemia di covid-19 ha causato una recessione economica, e il pil del paese nel primo trimestre è calato per la prima volta dopo quarant’anni. Le regioni povere sono state tra le più colpite.
Alla fine del 2019 nelle campagne della Cina c’erano ancora 5,5 milioni di persone in condizioni di povertà estrema. L’obiettivo di Xi è portare la cifra a zero entro luglio del 2021, per il centenario della fondazione del Partito comunista cinese. Rispettare questa scadenza permetterebbe al presidente di dichiarare che la Cina merita di esercitare la sua leadership nel mondo, spiega Gao Qin, esperto di previdenza sociale cinese alla Columbia university: “Il governo è determinato a raggiungere questo obiettivo. Da marzo, le pubblicazioni ufficiali hanno ribadito che deve avvenire entro la fine dell’anno”. Il fronte della “difficile battaglia” di Xi contro la povertà si sta spostando.
“In alcuni villaggi è difficile intervenire a causa delle condizioni naturali e della mancanza d’infrastrutture di trasporto”, afferma Wang Xiangyang, docente di affari pubblici alla Southwest Jiaotong university di Chengdu. “Pochissime persone sono in grado di trovare lavoro emigrando e la comunità deve fare affidamento sull’agricoltura di sussistenza”. Come succede nella comunità montana sperduta dove vive Jike. Atuleer, noto come il “villaggio sulla rupe”, si trova in cima a una montagna alta 1.400 metri. Al pari di molte comunità appartenenti alla minoranza etnica yi nella prefettura di Liangshan, il villaggio è raramente visitato dai turisti e difficile da raggiungere, e nulla sarebbe cambiato se a un certo punto non fosse diventato un caso nazionale. Nel 2016 un notiziario locale ha trasmesso le immagini di alcuni bambini che scendevano su una vecchia scala di liane per raggiungere la scuola più vicina, a due ore di distanza. Subito sono arrivati sul posto altri giornalisti e l’amministrazione locale si è impegnata a realizzare una nuova scala d’acciaio lunga 800 metri. “La prefettura di Liangshan è diventata un’avanguardia nella lotta alla povertà, una specie di laboratorio nazionale”, osserva Jan Karlach, ricercatore all’accademia delle scienze della Repubblica Ceca, il cui lavoro negli ultimi dieci anni si è concentrato sulle prefetture di Liangshan e Nuosu-Yi. Nel 2017, durante la riunione annuale dell’assemblea nazionale del popolo, Xi si è presentato alla delegazione della provincia del Sichuan per chiedere informazioni sui progressi nella riduzione della povertà tra la popolazione yi. “Quando ho visto in tv il servizio sul villaggio sulla rupe nel Liangshan mi è venuta l’ansia”, racconta Karlach.
Trasloco in città
Negli ultimi mesi l’amministrazione locale ha ordinato il trasferimento di 84 nuclei familiari (circa la metà del villaggio) a Zhaojue, mettendo a disposizione una serie di appartamenti a un canone annuale agevolato di diecimila yuan (1.257 euro) per ogni alloggio. Le nuove case si trovano a due ore di auto dalla base della montagna di Atuleer, con uno striscione rosso che accoglie i nuovi residenti all’ingresso. Gli assegnatari dei nuovi appartamenti sono contenti di trasferirsi. In cima alla montagna le loro case di argilla sono esposte alla pioggia e alle frane, l’unica attività praticabile è l’agricoltura di sussistenza e non esistono né assistenza medica né scuole.
Anche se alcuni accademici della comunità yi criticano il cambiamento delle abitudini imposto alle famiglie che si sono trasferite da Atuleer, gli sforzi del partito sono stati accolti quasi sempre con favore. “Anche un mio amico tradizionalista che diceva di non poter vivere in una casa senza un camino yi ha abbandonato l’idea nel giro di un anno”, dice Karlach. Ora il suo amico vive in città, in un appartamento con un manifesto di Xi Jinping sul muro, gentile omaggio dei funzionari locali per ricordare alle famiglie povere chi devono ringraziare. Altri, però, ancora non hanno capito come adattarsi alla realtà cittadina, perché le abitudini montanare mal si conciliano con la vita in appartamento. “Mia madre non vuole lasciare la montagna”, dice Jike, 24 anni. “Agli anziani la città non piace, dicono che manca la terra e che non c’è niente da mangiare. Io gli dico: ‘Mangerete quello che mangiano gli altri’. Gli anziani non possono restare lassù da soli”.
Le famiglie in difficoltà hanno diritto a un reddito di base e a nuovi appartamenti a un prezzo ridotto. In più, ricevono trenta polli
Per prepararsi al trasloco, nelle ultime settimane Jike ha cominciato a portare a valle grandi carichi di biancheria e vestiti, e si è anche guadagnato un discreto seguito sui social network: mentre saltella da una roccia all’altra con il suo gigantesco zaino di plastica in spalla, chiacchiera allegramente con i fan su Douyin, la versione cinese di TikTok, portando il suo smartphone su un bastone da selfie. Jike arriva a incassare fino a tremila yuan al mese grazie alle dirette in streaming: una fortuna rispetto al reddito medio delle popolazioni rurali locali, che è di circa 700 yuan (quasi 88 euro).
Jike ha accettato di accompagnarci al suo villaggio anche perché è convinto che quelli che restano abbiano bisogno di un mezzo per far conoscere le loro opinioni. In alcune regioni la strategia di sviluppo attraverso l’urbanizzazione ha portato a demolizioni forzate ed espropriazioni ai danni degli agricoltori, che da un momento all’altro si sono ritrovati senza più la terra coltivata dalle loro famiglie per generazioni. Atuleer ha il problema opposto: le persone che vogliono spostarsi sono molte di più di quelle previste dal governo.
Nei due giorni che trascorriamo nel villaggio molte persone ci mostrano le loro case per farci vedere come l’amministrazione locale li ha trascurati. A Zhaojue la soglia della povertà estrema è 4.200 yuan all’anno e ad Atuleer le famiglie ufficialmente “colpite dalla povertà” hanno diritto a un reddito di base e a nuovi appartamenti a un prezzo agevolato. In più, ricevono trenta polli.
Ma c’è anche chi non ha la fortuna di essere ufficialmente dichiarato povero, per negligenza, errore di calcolo o intoppi della burocrazia. Anche se hanno diritto ad alcuni aiuti come il salario minimo garantito, queste persone non ricevono gli stessi sussidi e non contano ai fini degli obiettivi di eradicazione della povertà. In alcuni casi, il governo è riuscito a centrare gli obiettivi grazie a una soluzione “amministrativa”: dall’inizio dell’anno alcune regioni hanno semplicemente smesso di registrare i residenti come “poveri”. “È stato tutto già censito, il sistema non accetta più nuovi nuclei familiari”, spiega Azi Aniu, segretario del partito per la prefettura (in seguito si è contraddetto, ammettendo che il sistema era in grado di registrare nuove famiglie povere ma che non è stato fatto per scelta).
Anche se il tasso di riduzione è stato effettivamente molto elevato, il livello reale della povertà può essere impossibile da misurare in un sistema che non è stato concepito per ammettere errori. Secondo il governo, se l’assegnazione del reddito minimo funzionasse correttamente, le famiglie povere non esisterebbero. L’attuale banca dati sarà revisionata per la prossima fase del piano di sviluppo, che riguarderà i nuclei familiari in condizioni “precarie” o “borderline”.
Secondo Li Shi, docente di economia all’università Normale di Pechino, i dati raccolti nel 2014 indicano che circa il 60 per cento dei cittadini che in base al reddito avrebbero dovuto risultare tra i “poveri” in realtà non ha ottenuto lo status. Negli anni successivi “sono stati apportati alcuni aggiustamenti e dovrebbero esserci dei progressi”, scrive Li.
Molte delle persone rimaste ad Atuleer si sentono abbandonate. “Mica sarai venuto qui per scrivere uno di quegli articoli sull’‘addio al villaggio sulla rupe’, vero?”, mi chiede Jike Quri, che è stato tutto il giorno ad aspettarci in cima alla scala d’acciaio. “Guarda che non c’è nessun addio: la metà di noi è ancora qui”. Meno di un’ora dopo che abbiamo fatto il check-in, alcuni funzionari locali si presentano davanti al nostro albergo per segnalarci la delicatezza della situazione. Una settimana fa le tv e i giornali di stato sono venuti a vedere cosa succede in questo avamposto della lotta alla povertà e hanno scritto una serie di articoli sugli abitanti del villaggio che si trasferiscono felici nei loro appartamenti.
Su un giornale locale è stata pubblicata una foto di Mouse Xiongti, 25 anni, e della sua famiglia nel loro nuovo appartamento, davanti a una pila di coperte accatastate sul letto. Quando entriamo in casa di Mouse, la troviamo completamente spoglia, a parte i pochi mobili forniti dal governo: un set di armadi, divano, sedie, tavoli e letto. Su quasi tutti i mobili c’è una targa con la scritta “Governo popolare del comitato provinciale del Sichuan del Partito comunista cinese”.
Il nervosismo dei politici locali è in gran parte dovuto al fatto che Atuleer è diventato il simbolo di un obiettivo fondamentale per il governo: Xi si è impegnato personalmente a ridurre la povertà, rafforzando la sua immagine populista di “imperatore contadino” che simpatizza con la gente comune, un personaggio non lontano da quello costruito da Mao Zedong.
La propaganda di stato mostra spesso Xi mentre parla dei raccolti con i contadini o è seduto a gambe incrociate nella casa di un villaggio o ride insieme ai pensionati. Nel suo primo mandato presidenziale, cominciato nel 2012, ha visitato 180 regioni povere in venti province. È stato nel Liangshan nel 2018.
I cartelli rossi e bianchi che hanno assegnato un appartamento alla famiglia di Jike Shibu sono la parte finale di un programma che ha richiesto la creazione di una banca dati delle famiglie e il monitoraggio costante dei loro progressi. La campagna prevede un aumento dei finanziamenti pubblici per progetti di assistenza sociale nelle zone rurali, l’istituzione di un potente comitato incaricato di guidare l’intervento e la creazione di una banca dati nazionale delle famiglie povere. Entro la fine di quest’anno, la famiglia di Jike e altre dovranno essere tolte dal sistema.
Gli abitanti rimasti ad Atuleer, però, si lamentano di non aver ricevuto la stessa attenzione dalle autorità locali, e le accusano di non visitare così assiduamente le case in cima alla montagna. Non c’è alcuna reale differenza, sostengono, tra le famiglie “colpite dalla povertà” e le altre.
Figli a carico
Alcune famiglie hanno il problema di essere accorpate in un’unica voce sul registro. Questo succede quando gli adulti con figli risultano ancora a carico dei genitori, e quindi gli viene assegnata una sola casa. Le richieste di registrazione di nuovi nuclei familiari sono spesso respinte. Altri sono vittime di processi burocratici kafkiani. Jizu Wuluo, 37 anni, vedova e madre di quattro figli, di cui due dati in adozione forzata, vorrebbe che i suoi bambini avessero una buona istruzione e ha preso in affitto un appartamento vicino alla scuola ai piedi della rupe. Jizu avrebbe diritto a pieno titolo allo status di famiglia “povera”. Eppure, anche se ha cercato più volte di ottenerlo, ogni volta le hanno detto di aspettare. A ottobre 2019 è stato finalmente assegnato a lei e ai suoi due figli un salario minimo garantito di 2.940 yuan all’anno, parte del pacchetto di misure contro la povertà a cui il governo attinge quando non ha altre soluzioni. In Cina lo ricevono circa 43 milioni di persone. Nella contea di Zhaojue l’importo massimo annuale pagato agli aventi diritto che abitano nelle campagne è di 4.200 yuan (525 euro). “So che Xi Jinping ha detto di aiutare i poveri, ma quando le cose finiscono in mano ai funzionari locali come voi, aiutate solo chi ha già una posizione nella società”, dice Jizu durante un incontro con Azi, il segretario locale del partito, che ascolta pazientemente una serie di rimostranze.
Alcuni economisti stimano che circa 50 milioni di lavoratori migranti abbiano perso il lavoro dall’inizio dell’epidemia
Dopo la nostra partenza Azi si è occupato della pratica di Jizu. I motivi per cui non ha avuto la priorità nell’assegnazione di un appartamento sono incomprensibili. Nel 2013 è stata esclusa dal primo censimento delle famiglie povere. In un secondo momento è stata registrata come capofamiglia di un “nucleo familiare impoverito senza iscrizione nel registro ufficiale”. Azi non sa dire quando la lista delle famiglie povere ha smesso di essere aggiornata, ma assicura che Jizu sarà trasferita in città entro la fine dell’anno. “Gli appartamenti assegnati sono bellissimi, più di molte altre proprietà immobiliari in città, perciò alcuni abitanti del villaggio sono un po’ invidiosi”, dice Azi. “Te lo dico con la massima sincerità”.
Trasferirsi in città può essere il primo passo per assicurarsi mezzi di sostentamento più sicuri, ma la cosa più importante è trovare lavoro. I funzionari locali incoraggiano i giovani a cercare lavoro in città, in particolare lungo la costa sudorientale industrializzata. Per decenni la migrazione dalle campagne è stata la strada maestra per il miglioramento delle condizioni di vita: secondo le statistiche del governo, in Cina ci sono circa 236 milioni di lavoratori migranti.
La maggior parte dei ragazzi con cui mi è capitato di parlare, per lo più tra i 18 e i 25 anni, lavorano solo per periodi di pochi mesi. Di solito svolgono attività poco qualificate nell’edilizia e si spostano in gruppi organizzati da amici o parenti. Come tutti i migranti cinesi, quando arrivano in città i lavoratori del Liangshan sono svantaggiati: non avendo la residenza, nella stragrande maggioranza dei casi non hanno accesso all’assistenza sanitaria e non possono mandare i figli a scuola. Quando è scoppiata l’epidemia di covid-19 questi lavoratori – che spesso hanno dovuto continuare a consegnare la spesa o a fare le pulizie negli ospedali – sono stati particolarmente esposti.
Spesso hanno un basso livello d’istruzione. Quelli che abbiamo intervistato erano in gran parte e nella migliore delle ipotesi semialfabetizzati, e alcuni non parlavano il mandarino. Oggi, grazie a internet, la situazione sta cambiando. I social network, il commercio online e le piattaforme di live streaming offrono più opportunità di leggere e scrivere fuori dalla scuola. Jike, che è andato a scuola solo per due anni, ha imparato a leggere, a scrivere e a parlare cinese grazie ai video in streaming. A un certo punto, scorrendo i commenti di altri utenti sullo schermo, risponde a una donna: “Sorella, non ho capito cosa c’è scritto”.
Un altro mezzo per uscire dal villaggio è l’istruzione. Mentre alcune famiglie mandano i figli a lavorare, altre preferiscono che studino. Mouse Lazuo, 17 anni, sorella di Xiongti, spera d’invertire la tendenza del suo villaggio andando all’università. È l’unica della sua età a studiare ancora, le altre sono andate a lavorare o si sono sposate. Nella sua classe ci sono in tutto 72 studenti. A casa Mouse parla yi ma studia in mandarino, a parte un’ora e mezza di lezioni di lingua yi a settimana. “Penso che sia un bene introdurre la cultura han (l’etnia del 90 per cento dei cinesi), a patto che coesista con quella tradizionale”, osserva. “Non possiamo rinunciare alla nostra lingua”.
Progetto di civilizzazione
Il popolo yi ha vissuto sulle montagne del Liangshan per secoli, non lontano dai confini del Sichuan con il Tibet e la Birmania. Rimasto ai margini dell’impero cinese per più di un millennio, nel 1957 il Liangshan finì sotto il dominio comunista grazie all’aiuto dell’esercito popolare di liberazione. Gli yi furono identificati come tali dagli antropologi inviati dal governo nazionale di Pechino negli anni cinquanta, che compilarono l’elenco delle 55 minoranze etniche ufficialmente riconosciute.
“È un progetto di civilizzazione forzata”, dice Karlach, che ha vissuto nel Liangshan, per spiegare la strategia del governo per ridurre la povertà tra le minoranze. “Quasi sempre nel Liangshan agli abitanti non viene proposto di modernizzarsi alle loro condizioni: la modernità gli viene portata dall’esterno. Gli yi vogliono essere cinesi e sono orgogliosi di essere cinesi, ma vogliono anche essere yi”.
Il governo sostiene che insegnare il mandarino e i costumi han non solo rende più facile governare le minoranze, ma le aiuta anche a inserirsi in un’economia dominata dalla cultura han. In Cina la rapida urbanizzazione ha cambiato le culture locali, che si sono uniformate alla monocultura della città e del denaro.
A Zhaojue molti negozi danno lavoro alla gente del posto, anche se le attività più recenti spesso sono gestite da migranti han provenienti da zone più ricche della Cina. “In genere i lavoratori locali non rimangono a lungo”, spiega Mao Dongtian, un imprenditore della città costiera di Wenzhou che ha aperto una catena locale di caffè e bar con karaoke. I suoi dipendenti guadagnano tra i mille e i tremila yuan – una cifra dignitosa per la zona – ma non amano la disciplina e la scarsa flessibilità del lavoro a tempo pieno. “Hanno abitudini più arretrate rispetto alla maggioranza han, e stiamo cercando di insegnargli le nostre”, sostiene Mao. Racconta di aver incoraggiato alcuni dipendenti malati a cercare assistenza medica invece di affidarsi ai rimedi tradizionali, un atteggiamento verso le minoranze tipico degli han.
Quando chiedo a Jike cosa gli mancherà di più di Atuleer, risponde “il panorama”. Ogni tanto, dice, tornerà al villaggio per goderselo. Dopo il tramonto il cielo si riempie di stelle e la notte è buia e calma. A Zhaojue, invece, c’è la luce dei lampioni e le strade brulicano di pedoni e automobili.
Dal 30 giugno il governo è passato alla fase successiva del piano di sviluppo: “Il rilancio dei villaggi”. Anche se i piani di sviluppo si sono concentrati sui poveri delle aree rurali, i poveri delle città preoccupano sempre di più. Le città sono poco propense ad accogliere i migranti: due anni fa, Pechino ha “fatto pulizia” della “popolazione di fascia bassa”. Alcuni economisti stimano che circa 50 milioni di lavoratori migranti abbiano perso il lavoro dall’inizio dell’epidemia.
Qualche settimana fa, dopo i successi sbandierati da Xi nella lotta alla povertà, il premier Li Keqiang ha scatenato l’indignazione popolare dopo aver rivelato che i due quinti più poveri della popolazione cinese guadagnano in media meno di mille yuan al mese. Sono circa 600 milioni di persone, che costituiscono una percentuale significativa degli abitanti delle città e dei poveri delle aree rurali. “In un modo o nell’altro, l’obiettivo sarà dichiarato raggiunto e farà parte delle grandi celebrazioni del 2021. Poi gli obiettivi si sposteranno, immagino su questioni come l’uguaglianza e l’equità”, osserva Kerry Brown, studioso di politica cinese al King’s college di Londra. “Questo è davvero un campo di battaglia chiave, perché la disuguaglianza in Cina è un problema serio e non ci sono stati miglioramenti”. ◆ fas
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Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati