Una goccia cade a terra dal rubinetto. Più in là risuonano voci e risate che si rifrangono sui muri di calce bianca delle case di argilla. Quattro donne in abiti tradizionali siedono su una panca e una quinta si è sistemata su una pelle di yak su un gradino davanti a una porta di legno consumata. Un uomo con in braccio un bambino dalle guance rosse completa il gruppo.

In questa piazza di Lo Manthang, un villaggio nepalese in cima all’Himalaya, gli abitanti non vengono solo a prendere l’acqua, ma coltivano anche i rapporti sociali e si scambiano le ultime notizie. Vicino alla fontana è seduto anche Lhakpa Wangdi Gurung, 32 anni. Ci mostra un video postato su Facebook neanche un’ora prima. Sono immagini del ghiacciaio del Dhaulagiri che, con i suoi 8.167 metri, è la settima montagna più alta dell’Himalaya. Nel filmato si vede un enorme pezzo di ghiaccio che si stacca dalla montagna con un gran frastuono. Lo smottamento e la valanga micidiale che sono seguiti hanno lasciato dietro di sé devastazione e scompiglio. Una scuola nella vallata è stata sgomberata appena in tempo. “Questa è la conseguenza del riscaldamento globale”, dice Lhakpa. “È solo una delle prove che qui il caldo aumenta, anno dopo anno. Questo”, dice indicando il telefono, “arriva ai telegiornali, ma i problemi con cui abbiamo a che fare ogni giorno non interessano a nessuno”.

Charang, Nepal, 14 novembre 2021 (Nicole Franken, Nomad reports)

Lo Manthang, nascosta tra le immense cime e i profondi dirupi dell’Himalaya, è la capitale dell’antico regno di Lo. Le temperature in questo territorio desertico aumentano a una velocità fino a cinque volte maggiore rispetto alla media mondiale. Il Mustang superiore è una regione remota nel nord del Nepal, al confine con il Tibet. Si trova nel Transhimalaya (una zona dell’Himalaya) e, dal punto di vista climatico, nell’ombra pluviometrica (che ostruisce il passaggio dei sistemi nuvolosi che determinano le precipitazioni) del massiccio del Dhaulagiri e dell’Annapurna. È uno dei territori più aridi del paese, con precipitazioni estremamente basse, in media duecento millimetri all’anno.

Meno neve, meno raccolto

“Noi loba siamo un popolo di coltivatori”, spiega Lhakpa. “L’agricoltura è una tradizione, ci sostentiamo così da secoli. Tutto quello che abbiamo ci è dato dalla natura. La conosciamo bene e siamo legati spiritualmente a essa. I miei genitori lavorano la terra ogni giorno, coltivano frumento, orzo, grano saraceno e patate. Abbiamo anche due cavalli e qualche mucca. Con il latte facciamo burro e formaggio. Il letame lo usiamo come concime o l’essicchiamo per bruciarlo nella stufa. È una vita dura e semplice”.

Lo Manthang, Nepal, 14 novembre 2021 (Nicole Franken, Nomad reports)

Il cambiamento climatico ha gravi conseguenze su questo modo di vivere. Una quindicina d’anni fa le cime delle montagne intorno a Lo Manthang erano ancora coperte di neve perenne e ghiacciai che portavano un vento freddo. Ma il clima è cambiato e le temperature si sono alzate danneggiando questo fragile ecosistema.

Da una recente ricerca guidata dall’università del Maine, negli Stati Uniti, risulta che i ghiacciai dell’Himalaya sono colpiti gravemente dal riscaldamento globale. Qui la neve, che riflette la luce del sole e isola, è praticamente sparita. La conseguenza è un rapido scioglimento dei ghiacciai, alcuni dei quali hanno più di duemila anni.

L’aumento delle temperature influisce sulle precipitazioni, oggi più spesso piovose che nevose, dice Lhakpa. “L’acqua scorre via più in fretta, mentre la neve si scioglie nel corso della primavera e dell’estate, nutrendo le nostre fonti, i nostri ruscelli e fiumi. La neve, poi, non è solo diminuita ma si scioglie anche molto più in fretta in primavera”, continua. “L’acqua con cui irrighiamo i campi sparisce prima ancora della semina. Molte piante, quindi, non spuntano neanche. E, se lo fanno, spesso rimangono indietro nella crescita”.

Oltre a combattere con la mancanza d’acqua, i loba devono fare i conti anche con i parassiti che attaccano le coltivazioni e con le erbacce infestanti che sottraggono preziosa umidità al terreno. In estate le colture soffrono ancora di più. Se un anno prevale la siccità, quello dopo è caratterizzato da precipitazioni improvvise ed estreme. “Da generazioni per portare l’acqua ai campi usiamo degli speciali canali d’irrigazione. Ma se manca l’acqua sono inutili e se ce n’è troppa finiscono per provocare molti danni. Inondazioni e smottamenti si verificano sempre più spesso e portano via con sé prezioso terreno fertile e colture. A causa della stagione relativamente breve, abbiamo un solo raccolto all’anno, e sempre più scarso”, continua Lhakpa. “La terra non dà più abbastanza frutti per mettere insieme riserve sufficienti per l’inverno. Sopravvivere è sempre più difficile. Se va avanti così, molte persone non saranno più motivate a continuare a lavorare la terra”.

In alcuni dei villaggi più in quota della regione la situazione è ancora peggiore. Le fonti d’acqua forniscono a malapena (o per niente) acqua da bere e per l’irrigazione; i letti dei fiumi sono asciutti e i campi brulli e polverosi. Agli abitanti non resta che abbandonare il loro villaggio e cercare di costruirsi una vita altrove. Uno di questi villaggi è Samzong. Dopo più di mille anni, è praticamente morto, i suoi abitanti si sono spostati in una località più in basso, Namashung, nella speranza di un futuro migliore.

Il terreno per il nuovo villaggio e le vicine terre da coltivare sul fiume Kali Gandaki sono stati donati dall’ex famiglia reale di Mustang, tutt’oggi molto rispettata e onorata. Solo una manciata di anziani sono rimasti a Samzong per occuparsi del bestiame, e tra il vecchio e il nuovo villaggio ci si scambiano carne, latte, verdura e patate.

Dal governo nepalese i loba non ricevono molto aiuto, anche se la regione frutta a Kathmandu discrete somme di denaro

Cultura tibetana

Vicino allo stupa, un piccolo edificio sacro buddista, sventolano bandiere blu, rosse, gialle, bianche e verdi. Sfruttando il vento, portano i mantra fino agli dei. Le bandiere rappresentano i cinque elementi della cosmologia tibetana – cielo, fuoco, terra, acqua e aria, spiega Lhakpa, che insieme al monaco Tsewang Gurung, il suo migliore amico, ha appena celebrato un rituale per la fertilità. “I loba del Mustang superiore sono di origine tibetana. Ma siamo finiti in Nepal nel 1950, quando, dopo che la Cina ha invaso il Tibet, i confini sono stati ridisegnati”, spiega Lhakpa. “Però abbiamo sempre continuato a vivere, come pochi altri, secondo la cultura tradizionale tibetana, in cui il buddismo ricopre un ruolo centrale. Per i miei genitori e le generazioni precedenti, la fede è stata come una scuola e la natura un dono divino da rispettare e proteggere. Siccità, inondazioni, un raccolto andato male o gelate notturne in agosto come l’anno scorso per loro rappresentano l’ira degli dei”.

Al tempo dei suoi genitori non c’era ancora alcuna forma d’istruzione, Lhak­pa invece ha frequentato la scuola a Lo Manthang, ha studiato due anni a Jomsom e poi qualche altro anno a Pokhara. I genitori sapevano che lo studio era la strada per un futuro migliore, ma alla fine Lhakpa è comunque tornato alle sue radici. “I miei vogliono che vada in città o all’estero per guadagnare di più, anche se per la nostra cultura è compito del figlio maggiore occuparsi dei genitori. Andarmene non mi dà alcuna soddisfazione. La mia cultura è tutto per me. Voglio prendermi cura dei miei genitori, voglio usare la mia conoscenza e le mie capacità per preservare la cultura loba. Anche se significa vivere in una casa piccola e non navigare nell’oro”.

La casa di Lhakpa e dei suoi genitori si trova nel centro della città circondata da mura rosse. Al piano terra c’è un magazzino, di sopra una piccola terrazza e il salotto con la cucina. La stufa è il centro della stanza, intorno ci sono due panche che servono anche da letto. Su una mensolina in un angolo le tradizionali lampade a burro illuminano le immagini delle divinità buddiste.

Lo Manthang, Nepal, 15 novembre 2021 (Nicole Franken, Nomad reports)

La strada

Per via delle tensioni al confine con la Cina, tra il 1950 e il 1992 il Mustang superiore è stato completamente chiuso agli stranieri. Da qui il soprannome di “regno proibito di Lo”. A causa dell’isolamento e della mancanza di un collegamento con il resto del mondo, la cultura loba fino a oggi non ha subìto influenze esterne. A Lo Manthang e dintorni vivono circa duemila abitanti, prevalentemente dei loro raccolti. Data la natura desertica della zona e l’altitudine elevata (3.800 metri) qui crescono solo poche piante: frumento, senape, orzo, grano saraceno e patate.

Lhakpa sta assistendo al graduale cambiamento del modo di vivere tradizionale. E non solo come conseguenza del riscaldamento globale: sette anni fa è stata costruita una strada da Jomsom e Lo Manthang fino al confine con la Cina. È sterrata e a volte non è facilmente percorribile, ma ha accorciato la distanza con il mondo moderno. Al posto dei muli carichi di merci oggi ci sono le jeep. “Sono arrivati vestiti occidentali, riso, plastica, televisori, telefoni e internet. Anche viaggiare è diventato molto più semplice e veloce. Se prima per arrivare a Pokhara servivano almeno quattordici giorni a piedi su sentieri secolari, oggi ne bastano due”.

La novità ha delle conseguenze. “Gli abitanti vanno a passare l’inverno in città come Kathmandu o Pokhara”, racconta Lhakpa, “e guadagnano vendendo erbe di montagna e lana, o facendo qualsiasi altro tipo di lavoro. Con quei soldi possono mandare i figli a scuola in città. Non solo come status symbol, ma anche perché lì l’istruzione è migliore. Io andavo a scuola qui con altri novanta bambini, ma ora pare che ci siano più insegnanti che alunni”, dice commentando il drastico calo del numero di studenti.

La nuova strada è però anche fonte di opportunità economiche per i loba. I turisti, soprattutto nepalesi, cinesi e indiani, hanno scoperto il Mustang superiore come destinazione di viaggio. Ora ci sono piccoli supermercati che vendono cibo cinese e ristoranti, alberghi e spuntano come funghi negozi di souvenir. “I giovani cercano un impiego nel turismo, lavorano negli hotel o come guide, alcuni se ne vanno proprio, l’agricoltura non gli interessa più”, spiega Lhakpa. “La conseguenza è che la generazione più giovane non conosce la nostra cultura, non parla la lingua madre e non canta canzoni tradizionali. Canzoni che io ho imparato da bambino dai miei genitori aiutandoli nei campi. Non fraintendetemi, riconosco i lati positivi di questo sviluppo”, dice Lhak­pa. “Ma abbracciando la modernità si crea una tensione tra la crescita economica e la sopravvivenza della nostra cultura. L’economia locale dipende sempre di più dal turismo, mentre i campi rimangono incolti. Vendere la terra, nella nostra cultura, è un disonore. È dei tuoi antenati, qualcosa a cui devi rispetto. Se non si fa niente, la nostra cultura sparirà”.

Da sapere
Migranti climatici

◆ Anche se ha contribuito solo in minima parte alla crisi climatica globale, il Nepal è in cima alla lista dei posti che ne subiscono gli effetti più pesanti, scrive il Kathmandu Post. Secondo le Nazioni Unite, il paese è al quarto posto in termini di vulnerabilità ai cambiamenti climatici, che stanno aggravando alcune condizioni ambientali già fragili e portando a siccità e alluvioni devastanti. E avendo un’economia prevalentemente agricola e un ambiente diversificato, il Nepal è anche sensibile ai cambiamenti legati al clima in modo meno evidente e meno immediatamente disastroso. Circa il 70 per cento della popolazione dipende dall’agricoltura, responsabile del 34 per cento del pil nazionale. Nei prossimi decenni si prevede che l’aumento delle temperature e l’irregolarità dei monsoni stagionali spazzeranno via le colture più importanti del paese, incluso il riso, i cui raccolti nei prossimi ottant’anni caleranno del 4,2 per cento. Migliaia di nepalesi sono stati costretti a emigrare a causa delle conseguenze della crisi climatica e probabilmente il fenomeno non si fermerà, scrive The Record. Secondo una ricerca del think tank Center for social change di Kathmandu, ci sono due tipi di migrazioni legate alle condizioni climatiche: lo sfollamento in seguito a fenomeni estremi come le alluvioni o il trasferimento obbligato per la mancanza d’acqua, i raccolti scarsi e l’insicurezza alimentare.


Fonti alternative

Lhakpa si sta dando da fare per mettere a frutto le opportunità economiche e allo stesso tempo preservare la cultura loba. Aiuta a ristrutturare gli stupa, a costruire muretti intorno ai campi per prevenirne l’erosione, a organizzare corsi per insegnare ai giovani la lingua e le tradizioni. “Lo Manthang è sempre stata una comunità unita, in cui le persone si aiutavano a vicenda e passavano molto tempo insieme. Oggi ognuno pensa più a se stesso”. Lhakpa vuole far riavvicinare gli abitanti di Lo Manthang e dare nuova vita alla cultura loba. Prima di tutto migliorando l’offerta scolastica, in modo che i bambini possano di nuovo studiare qui. “Non deve migliorare solo la qualità dell’istruzione, servono anche buoni servizi che ruotano intorno alla scuola, come un ostello in cui possano alloggiare gli studenti dei paesi vicini”.

Dal governo nepalese i loba non ricevono molto aiuto, anche se la regione frutta a Kathmandu discrete somme di denaro. Per visitare il Mustang superiore, infatti, serve un visto che costa cinquecento dollari e che vale un massimo di dieci giorni. Quando nel 1992 è stato introdotto il visto obbligatorio, ai loba era stato promesso il 60 per cento dei guadagni. Soldi che avrebbero potuto investire nella comunità per sviluppare infrastrutture, salvaguardare tesori culturali e proteggere l’ambiente. Ma il governo non ha rispettato i patti. Nel 1997 la percentuale promessa era già calata al 5 per cento, fino a scomparire del tutto negli anni successivi. Allo stesso tempo, secondo l’Annapurna conservation area project, il numero di turisti è aumentato in maniera esponenziale: da quasi cinquecento nel 1992 a più di 57mila nel 2019. “Aprire la nostra regione così isolata non ci è convenuto, mentre avremmo molto bisogno di quei soldi”, conclude Lhakpa, che rimane comunque ottimista. “La mancanza d’acqua è un grande problema, ma non riusciremo a risolverlo. Quello che possiamo fare è sfruttare altre fonti di guadagno. Io aiuto il più possibile i miei genitori e qualche anno fa ho aperto un negozietto di souvenir. È stato un investimento impegnativo e le entrate per il momento sono basse. Naturalmente ha molto a che fare con il covid e con le restrizioni in vigore per i viaggi. Ma c’è anche tanta concorrenza”.

Lhakpa osserva i campi polverosi e le montagne spoglie erose dal vento. Poi afferra le briglie della cavalla incinta e si dirige di nuovo verso il paese. “Probabilmente venderemo il puledro quando sarà più grande, è un’entrata anche quella. Speriamo che sia un maschio perché valgono di più”. ◆ vf

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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati