10 novembre 2014 16:49
  • Il 31 marzo 2009 sette scienziati e tecnici furono convocati all’Aquila dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, per esprimere un parere sulla situazione a L’Aquila dopo tre mesi di sciame sismico. La riunione durò 40 minuti. L’obiettivo del vertice era “di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane”.
  • La commissione era formata da: Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della commissione Grandi rischi; Bernardo De Bernardinis, già vicecapo del settore tecnico del dipartimento di Protezione civile; Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Istituto di geofisica e vulcanologia; Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del Progetto case; Claudio Eva, ordinario di fisica all’università di Genova; Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico della Protezione civile.
  • Il 6 aprile 2009 alle 3.32 un terremoto di magnitudo 6,3 colpì la città. Il terremoto causò la morte di 309 persone, 1.500 feriti e danni per dieci miliardi di euro.
  • Nel 2011 i sette membri della commissione Grandi rischi sono stati accusati di omicidio colposo plurimo e lesioni per la morte di 29 persone e il ferimento di altre quattro. Secondo l’accusa, gli scienziati hanno rassicurato la popolazione attraverso i mezzi d’informazione dimostrando “una magistrale negligenza e imprecisione” nella comunicazione del rischio di un terremoto di magnitudo maggiore.
  • Sempre secondo l’accusa, a causa delle rassicurazioni dei tecnici le vittime non lasciarono le loro case dopo la prima scossa di terremoto del 5 aprile e non misero in atto tutte le precauzioni necessarie in un territorio sismico come quello aquilano.
  • Dopo tredici mesi di processo, il 22 ottobre 2012 il giudice Marco Billi, ha condannato in primo grado i sette imputati a sei anni di carcere per omicidio colposo plurimo e lesioni.
  • Nelle motivazioni della sentenza è scritto che la “valutazione dei rischi connessi all’attività sismica in corso sul territorio aquilano fu approssimativa, generica ed inefficace in relazione alle attività e ai doveri di previsione e prevenzione”. E che per questo le vittime “furono indotte” a rimanere in casa la notte del 6 aprile.
  • Il 10 novembre 2014 è attesa la sentenza d’appello del processo.

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