20 gennaio 2017 14:53
Aleppo, il 17 dicembre 2016. (Omar Sanadiki, Reuters/Contrasto)

Astana, la capitale del Kazakistan, si prepara a ospitare lunedì 23 gennaio i negoziati sulla Siria promossi dalla Russia, dalla Turchia e dall’Iran, paesi che hanno svolto un ruolo importante negli ultimi sei anni di guerra. Gli organizzatori hanno accettato l’offerta fatta a metà dicembre dal presidente kazaco Nursultan Nazarbayev, che aveva dato la sua disponibilità a ospitare i colloqui di pace tra le fazioni siriane.

Fin dall’inizio del conflitto i governi di Mosca e Teheran sono rimasti fedeli alleati del regime di Damasco guidato da Bashar al Assad, a cui hanno fornito assistenza e sostegno sul campo di battaglia. La Turchia, invece, inizialmente appoggiava l’opposizione armata ad Assad, chiedendo esplicitamente la caduta del regime di Damasco, e lasciava passare liberamente sul suo territorio gli aspiranti jihadisti che volevano andare a combattere in Siria. Tuttavia Ankara ha cambiato radicalmente politica alla fine dell’estate del 2016 nel contesto di un riavvicinamento alla Russia, che molti siriani hanno visto come un voltafaccia.

Gli obiettivi di Astana
Come ha dichiarato il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, il principale obiettivo dell’incontro di Astana è rafforzare il cessate il fuoco entrato in vigore il 30 dicembre 2016. Un proposito confermato dal presidente siriano Bashar al Assad in un’intervista a una tv giapponese: Astana sarà l’occasione per rafforzare il cessate il fuoco grazie ad accordi locali di riconciliazione con i vari gruppi ribelli. In generale, spiega la Reuters, il governo siriano privilegia le intese locali per pacificare le aree ribelli, perché in sostanza questi accordi consistono nella resa di un determinato gruppo, a cui viene chiesto di consegnare le armi in cambio di un’amnistia.

L’esercito siriano intanto continua a bombardare alcune zone della Siria, come la valle del fiume Barada, vicino a Damasco, sostenendo che i ribelli attivi in quelle regioni, in particolare quelli del Fronte Fatah al Sham (ex Fronte al nusra, il ramo siriano di Al Qaeda), non sono coperti dall’accordo di cessate il fuoco. Come si legge sul sito del ministero della difesa russo, i gruppi ribelli che hanno sottoscritto la tregua sono sette: Faylaq al Sham (Legione della grande Siria, circa quattromila combattenti), Ahrar al Sham (Uomini liberi della grande Siria, circa sedicimila miliziani), i jihadisti Jaish al islam (Esercito dell’islam, 12mila combattenti), Thuwar al Sham (2.500 miliziani), Jaish al mujahidin (ottomila uomini), Jaish Idlib (seimila), Jabhat al shamiyah (tremila). Ahrar al Sham e Jaish al islam sono due gruppi islamisti che la Russia in precedenza aveva etichettato come terroristi.

Finora tra le formazioni che hanno confermato la partecipazione ad Astana, ci sono Jaish al islam e l’Alto comitato per i negoziati, l’organizzazione ombrello che comprende vari gruppi dell’opposizione nata a Riyadh nel dicembre del 2015 in vista dei negoziati di pace di Ginevra dell’anno successivo. Il 20 gennaio è stata confermata anche la presenza dell’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura.

Di cosa si discuterà
I colloqui di Astana non coinvolgeranno i ministri degli esteri dei paesi partecipanti, ma si svolgeranno tra rappresentanti di livello minore riguardo a questioni essenzialmente militari, non politiche. Tra le priorità fissate da Lavrov, oltre a consolidare il cessate il fuoco, c’è quella di convincere i comandanti dei gruppi armati a partecipare al processo di transizione politica.

La delegazione di Damasco sarà guidata dalla stessa squadra che partecipa ai colloqui di Ginevra, con a capo l’ambasciatore presso l’Onu, Bashar al Jaafari. Lo stesso discorso vale per la delegazione dei ribelli, che farà capo al negoziatore Mohammad Allush, il leader politico di Jaish al islam. La squadra sarà essenzialmente composta da militari, che saranno sostenuti da tecnici inviati dall’Alto comitato per i negoziati per approfondire le materie politiche e giuridiche.

Chi manca
Sul successo dei negoziati pesano varie assenze. Innanzitutto, per la prima volta, gli Stati Uniti non sono tra gli organizzatori, a dimostrazione del ruolo sempre più marginale che stanno assumendo nel conflitto siriano. La Russia ha comunque fatto sapere che ad Astana sarebbe giusto fossero presenti anche gli inviati dell’amministrazione Trump, entrata in carica il 20 gennaio. L’invito – duramente osteggiato dall’Iran – è partito, ma non è stato ancora accettato formalmente.

Inoltre mancano i curdi a causa della strenua opposizione di Ankara, che li combatte nel nordest della Siria con l’operazione Scudo dell’Eufrate. Per la Turchia invitare i curdi equivarrebbe a invitare il gruppo Stato islamico. Per questo, come fanno notare alcuni commentatori, i negoziati di Astana in fin dei conti potrebbero essere poco più che simbolici, e rappresentare soprattutto un modo per la Russia di affermare il suo nuovo ruolo di mediatrice invece di costituire una reale speranza di pace. In ogni caso se i negoziati di Astana portassero dei risultati, la discussione potrebbe essere portata avanti a Ginevra l’8 febbraio nel corso dei colloqui patrocinati dalle Nazioni Unite.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it