13 novembre 2023 14:26

Elon Musk è spesso paragonato a Henry Ford, l’imprenditore che più di cento anni fa creò le prime fabbriche basate sulle catene di montaggio, ponendo le basi per la produzione su vasta scala. Entrambi hanno trasformato l’industria delle automobili ed entrambi sono diventati personaggi molto potenti negli Stati Uniti e famosi anche nel resto del mondo. C’è anche un’altra somiglianza, meno positiva: tutti e due sono stati accusati di aver alimentato l’odio dell’opinione pubblica contro gli ebrei.

Dopo che Musk ha comprato il social network Twitter (oggi conosciuto come X), sono aumentati sulla piattaforma i discorsi d’odio antisemiti. Un fatto che è stato denunciato da molte associazioni, a cominciare dall’Anti-defamation league (Adl), un’organizzazione non profit che da più di un secolo tiene traccia degli attacchi contro gli ebrei negli Stati Uniti. Musk ha risposto accusando l’Adl di “voler uccidere” il suo social network, ha detto di voler fare causa ai suoi dirigenti e ha anche mostrato apprezzamento per i post con l’hashtag #BanTheAdl, banniamo l’Adl. A settembre, cioè prima dell’attacco di Hamas contro Israele, ha incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma si è rifiutato di denunciare con forza l’antisemitismo e di impegnarsi a combatterlo su X.

Per la verità le accuse contro Ford erano molto più serie. Alla fine del 1922 il New York Times pubblicò un articolo in cui riportava le “voci” che giravano a Berlino secondo cui Ford aveva finanziato Adolf Hitler e il suo movimento nazista. Su un muro dell’ufficio di Hitler, affermava il giornale, campeggiava una grande foto dell’imprenditore statunitense e su un tavolo c’erano delle copie di un libro intitolato L’ebreo internazionale. Il problema principale del mondo. Il volume raccoglieva articoli pubblicati sul Dearborn Independent, un giornale che l’imprenditore aveva comprato nel 1919. Hitler negò di aver ricevuto finanziamenti da Ford, ma non nascose di essersi ispirato a lui. “Guardiamo a Heinrich Ford come al leader del crescente movimento fascista in America”, disse nel 1923, diversi anni prima di arrivare al potere. “Ammiriamo in particolare la sua politica antiebraica, che è la piattaforma del fascismo bavarese”.

L’antisemitismo di Henry Ford è un fatto molto noto negli Stati Uniti, ma secondo Daniel Schulman, che ha scritto un libro sul contributo degli ebrei alla società statunitense e un articolo sull’Atlantic, negli anni è diventato “una spiacevole nota a piè di pagina di una carriera ricca di storia, solo un triste capitolo della vita di Ford”. In realtà, sostiene Schulman, l’odio contro gli ebrei è una parte molto significativa dell’eredità dell’imprenditore, perché ha prodotto risultati che si possono osservare ancora oggi. “Si può intravedere l’influenza di Ford nell’antisemitismo disinvolto di Donald Trump, in particolare nei riferimenti ai ‘globalisti’ e alle ‘banche internazionali’ che complottano segretamente con uno dei suoi rivali democratici per indebolire gli Stati Uniti; nelle prese di posizione di Elon Musk, secondo cui il banchiere George Soros ‘sembra non volere altro che la distruzione della civiltà occidentale’; e nell’aumento delle aggressioni e dei crimini d’odio contro gli ebrei in tutto il mondo, compresa la strage del 2018 alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh”.

Secondo le ricostruzioni storiche, le tendenze antisemite di Ford cominciarono a manifestarsi dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. “So chi ha causato la guerra: i banchieri ebrei tedeschi!”, disse a un suo amico nel 1915. Da quel momento in poi la sua ostilità si rivolse principalmente contro l’imprenditore Jacob Schiff, nato a Francoforte e trasferitosi negli Stati Uniti nella seconda metà dell’ottocento, sui soci di Schiff nella banca d’investimento Kuhn, Loeb & Co. e sui rappresentanti della dinastia bancaria Warburg, che avevano stretti legami personali e professionali con Schiff e la sua famiglia”.

L’interesse di Ford per Schiff e per i Warburg fu stimolato da Boris Brasol, un uomo che era emigrato negli Stati Uniti dalla Russia dopo la rivoluzione bolscevica del 1917. Brasol aveva lavorato per il ministero della giustizia russo ed era un membro dei Centoneri, un’organizzazione ultranazionalista formata da persone fedeli allo zar che avevano organizzato molti pogrom antiebraici in Russia. “Mentre negli Stati Uniti erano in piena isteria anticomunista, Brasol diventò un investigatore dell’intelligence militare statunitense, che cercava di estirpare i radicali e gli agitatori stranieri. Il russo fornì ai suoi superiori un flusso costante di informazioni sul gruppo che considerava l’elemento più sovversivo di tutti: gli ebrei. E sopratutto fu responsabile della diffusione su larga scala del documento alla base dell’antisemitismo moderno, i Protocolli degli anziani di Sion”. Si tratta di un documento falso creato per dimostrare l’esistenza di un piano degli ebrei per distruggere la civiltà cristiana e ottenere il controllo globale. Fu pubblicato per la prima volta in Russia nel 1903, ma il testo cominciò a circolare dopo la rivoluzione russa, quando Brasol e altri zaristi lo promossero per dimostrare che la rivolta – e il bolscevismo in generale – faceva parte di un piano internazionale degli ebrei.

Scuse senza pentimento

Le strade di Ford e Brasol si incrociarono nel 1919. Ford aveva da poco perso le elezioni per un seggio al senato. Convinto che la vittoria gli fosse stata rubata e amareggiato per il trattamento riservatogli dalla stampa, l’imprenditore cercò una piattaforma per il suo messaggio populista, non filtrato dagli scettici e dai detrattori dei media. Comprò il Dearborn Independent, il giornale della città di Dearborn, nell’area di Detroit, dove erano nati sia Ford sia la Ford Motor Company. Con l’aiuto di Brasol, il giornale diventò la principale fonte di bugie antisemite del paese. Alcuni titoli: “Esiste un programma mondiale ebraico definitivo?”, “Gli ebrei hanno previsto la guerra mondiale?”, “Il potere ebraico controlla la stampa mondiale?”.

La tiratura passò in pochi anni da 70mila a 900mila copie. L’Independent era onnipresente nelle concessionarie Ford, che erano spinte a vendere il giornale insieme agli ultimi modelli di automobili. Nel maggio del 1920 il giornale cominciò a pubblicare la serie L’ebreo internazionale, che andò avanti per 92 numeri. Gli articoli furono poi raccolti in un volume che fu stampato in milioni di copie, alcune delle quali finirono sul tavolo di Hitler.

A metà degli anni venti Aaron Sapiro, un avvocato ebreo, fece causa a Ford per averlo diffamato sull’Independent. Il processo fu annullato dopo due anni, ma nel frattempo l’imprenditore si era reso conto che la questione dell’antisemitismo rischiava di danneggiare la sua immagine pubblica e di fargli perdere molti soldi. Chiuse il giornale e firmò una lettera di scuse rivolta agli ebrei. Non fu un vero pentimento. Negli ultimi anni della sua vita Ford continuò a frequentare simpatizzanti nazisti, alcuni dei quali lavoravano nella casa automobilistica. E nel giugno del 1940, l’anno prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, disse a un giornalista dell’Associated Press: “Continuo a pensare che questa sia una guerra fasulla fatta dai banchieri ebrei internazionali”.

Alla fine la punizione arrivò, con un colpo di scena che sembra tratto da Bastardi senza gloria, il film di Quentin Tarantino sulla seconda guerra mondiale. Nel maggio del 1946 partecipò insieme ad altri dirigenti della Ford alla proiezione di Death stations, un film prodotto dal governo statunitense che documentava la liberazione dei campi di concentramento nazisti. Racconta Schulman sull’Atlantic: “Per un’ora, sullo schermo passarono immagini terrificanti: un forno crematorio nel campo di Majdanek, camere di tortura, un magazzino pieno di oggetti confiscati agli ebrei uccisi. Quando il film finì e furono accese le luci, i presenti si accorsero che Ford era stato colpito da un grave ictus durante la proiezione. Morì l’anno dopo a 83 anni. È impossibile sapere cosa gli sia passato per la mente prima dell’ictus, ma secondo Josephine Gomon, una dirigente di uno stabilimento Ford, il filmato lo aveva profondamente turbato. Alla fine Ford ‘vide le devastazioni di una piaga che aveva contribuito a diffondere. Il virus aveva chiuso il cerchio’”.

La capitale araba

Oggi Dearborn, la città del Michigan dove nacque Henry Ford, è conosciuta come “la capitale araba” degli Stati Uniti. Secondo il censimento del 2020, il 54,5 per cento della popolazione (circa centomila persone) è originario del Medio Oriente e del Nordafrica. La città ha la più grande moschea del Nordamerica, l’Islamic center of America, che comprende due minareti di dieci piani e può ospitare fino a tremila fedeli. Nel 2021 ha eletto il primo sindaco di origine araba, Abdullah Hammoud, un uomo di 33 anni nato negli Stati Uniti da genitori libanesi.

Hammoud è uno dei tanti funzionari e politici con origini mediorientali eletti negli ultimi anni in Michigan. Tra loro c’è anche Rashida Tlaib, che nel 2018 è diventata la prima donna di origine palestinese a entrare al congresso, eletta nel Partito democratico. Negli ultimi giorni Tlaib, che rappresenta Dearborn e altre comunità della periferia di Detroit, è stata attaccata duramente per le sue prese di posizione a proposito dell’attacco di Hamas e della guerra israeliana nella Striscia di Gaza.

Tlaib è stata criticata soprattutto per aver condiviso un video in cui compariva lo slogan “dal fiume al mare”, una frase che si riferisce all’obiettivo di costruire uno stato palestinese che vada dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, che si estenda quindi anche sul territorio dove sorge Israele. L’8 novembre la camera dei rappresentanti ha approvato una mozione di censura contro di lei (una sorta di ammonimento pubblico e formale), con ventidue democratici che hanno votato insieme ai repubblicani.

Due settimane fa la rivista francese Mediapart ha pubblicato un reportage da Dearborn. I primi migranti dal Medio Oriente arrivarono all’inizio del novecento per lavorare nelle fabbriche della Ford. Tantissimi palestinesi arrivarono nel 1948, dopo la creazione dello stato di Israele. Poi fu il turno dei libanesi e degli yemeniti, che scappavano dalle guerre civili nel loro paese. E infine degli iracheni, dopo l’invasione statunitense del 2003. Dal giorno dell’attacco di Hamas contro Israele a Dearborn ci sono state manifestazioni continue e raccolte fondi a sostegno degli abitanti di Gaza.

Gli abitanti di origine araba temono che la guerra in Medio Oriente faccia crescere di nuovo gli attacchi razzisti, come è successo dopo l’11 settembre 2001 e in altri casi. In passato la loro comunità è stata etichettata come “cellula islamista” e soprannominata “Dearbornistan”. Nel 2015 la Fox News mandò in onda un servizio in cui si diceva che una donna era stata lapidata in quella città; su internet alcune persone proposero di bombardare Dearborn.

L’altro sentimento, racconta Mediapart, è la rabbia contro l’amministrazione Biden, accusata di sostenere il governo israeliano senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi. Alle elezioni del 2020 il voto degli statunitensi di origine araba della zona di Detroit contribuì a consegnare il Michigan a Biden, un tassello molto importante per la vittoria finale del candidato democratico. A Dearborn il 74 per cento degli elettori votò per lui. Ora molte di quelle persone stanno pensando di astenersi alle elezioni del 2024.

Questo testo è tratto dalla newsletter Americana

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