“Come state? Come stiamo?”, chiede ripetutamente l’attore e regista bolognese Nicola Borghesi nelle prime scene dello spettacolo Il capitale, in scena in questi giorni con la compagnia Kepler-452 al teatro Arena del Sole di Bologna e poi in tour in Italia.
Dopo la pandemia la compagnia teatrale formata da Borghesi e da Enrico Baraldi aveva deciso di scrivere una pièce sul Capitale di Karl Marx, “un libro che ancora non abbiamo letto”, dice la locandina dello spettacolo. Ma qualche tempo dopo, in una manifestazione a Bologna, i due artisti hanno incontrato gli operai della Gkn di Campi Bisenzio, che nel luglio 2021 sono stati licenziati in tronco attraverso un’email. Quattrocento persone che hanno perso così il lavoro. Da quel momento, la compagnia ha deciso di andarli a trovare nel capannone che avevano occupato dal giorno successivo al licenziamento e trascorrere con loro diversi mesi per capire cosa stava succedendo. In fabbrica tutti li chiamavano scherzosamente “quelli della Digos”, perché all’inizio non capivano le loro curiosità e le loro domande.
Nel tempo che trascorrono alla Gkn, Borghesi e Baraldi ascoltano, partecipano, osservano, cercando di far dialogare in modo creativo Il capitale di Marx, un classico della filosofia, e il dramma di un gruppo di lavoratori, che nel momento della crisi rimettono in discussione in maniera radicale il rapporto tra la vita privata e il lavoro, e scoprono il valore del tempo. “Qualcuno pensa che compito dell’arte è rendere visibile quello che non è reale, noi pensiamo che compito dell’arte è rendere visibile quello che è reale, ma per qualche motivo nascondiamo ai nostri occhi”, mi spiega Borghesi prima della rappresentazione.
“Certo, mettere in scena una pièce fatta con attori non professionisti e a partire da fatti successi realmente significa essere pronti a riscrivere continuamente il proprio lavoro, rimetterlo in discussione”, continua Borghesi. Per esempio dalla prima rappresentazione dello spettacolo, alcuni operai che erano in scena sono stati sostituiti, perché nel frattempo hanno trovato un altro lavoro e hanno smesso di frequentare il presidio alla Gkn. Poi ci sono state le evoluzioni della vicenda, come la sentenza del tribunale del lavoro di Firenze che ha annullato i licenziamenti, definiti illegali. Anche in questo caso è cambiato in parte il testo dello spettacolo, che prova a dare conto dei cambiamenti.
“Qualche tempo fa, alla fine del primo lockdown, noi di Kepler-452 ci siamo fatti una promessa: che non avremmo dimenticato quello che era successo”, racconta Borghesi. “Non avremmo partecipato alla spensierata ripartenza del paese, rimuovendo quanto quello strano periodo appena trascorso ci aveva mostrato”, continua. Così, quando ci sono state le riaperture dopo il lockdown, in platea hanno provato a mantenere una promessa, cercando di “indagare ciò che la pandemia ha lasciato dietro di sé, a partire dallo sblocco dei licenziamenti avvenuto nell’estate 2021”.
In scena ci sono gli stessi operai che raccontano la vicenda dal principio: tre uomini e una donna, tra cui un rappresentante sindacale. Poi c’è Nicola Borghesi che assume il punto di vista di un intellettuale, che prima dell’incontro con la Gkn si è permesso di ignorare i meccanismi che sono alla base del sistema di produzione delle merci e se ne accorge proprio in quel momento. Quando incontra i lavoratori è un disvelamento. Meccanismi di sfruttamento che per anni non erano stati visibili non possono essere più ignorati. Ma il sistema stesso è in crisi, è fragile e rischia di crollare.
Quando improvvisamente gli operai scoprono la loro precarietà, ricevendo la lettera di licenziamento, sono travolti da un sentimento di sorpresa, insieme al senso della realtà. Molti sono sindacalizzati o hanno un percorso di militanza alle spalle, ma solo di fronte al loro licenziamento si rendono conto della ferocia di alcune dinamiche.
“Se ora gridassi: vergogna, ci hanno licenziato con un’email, confesserei di essere stato colto alla sprovvista. Lo stupore è un’ammissione di impreparazione. Sì, ci hanno licenziati, e sì, brutalmente, perché questo è quello che fa il capitale. Anzi, dovremmo fargli i complimenti. Hanno fatto bene il loro lavoro”, grida Dario Salvetti, uno dei rappresentanti sindacali, quando entra in scena con il megafono in mano. È originale il modo in cui i Kepler-452 hanno deciso di mettere in scena le storie personali e integrare il linguaggio del teatro di narrazione con inserti video e l’uso di oggetti scenici che permettono allo spettatore di entrare nella fabbrica e di capire i meccanismi di funzionamento.
“Abbiamo anni di arretramento, anni di povertà assoluta in aumento in questo paese. Perché mai io avrei diritto a lamentarmi o a chiamare persone che stanno peggio di me alla solidarietà? Se ci penso, il giornalista che mi sta intervistando forse lavora a cottimo, forse lo pagano a pezzo e io, che in questo momento ho ricevuto una lettera di licenziamento e ho ancora settantacinque giorni di stipendio pieno, prima di ritrovarmi senza nulla, e dopo avrò la disoccupazione, forse ancora per molto tempo prenderò più reddito di lui. Perché venite a chiedere a noi come stiamo? Voi, come state? Noi stiamo così, che questa lotta la perderemo, a meno che tutte e tutti noi non consideriamo questa lotta un momento di riscatto sociale. A meno che Gkn non diventi un punto di riscossa per tutte e per tutti. Perché noi qua probabilmente perderemo, a meno che voi non ci diciate come state”, conclude Salvetti nel suo monologo.
Il finale è aperto, ma quello che è chiaro è che dalla crisi si può uscire solo se si è disposti davvero all’ascolto dell’altro, degli altri, che finalmente appaiono alleati, fragili e vivi nel tempo della lotta.
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