03 dicembre 2019 13:41

“Il cambiamento climatico è la principale sfida del nostro tempo. Ci troviamo in un momento decisivo per fare qualcosa. Siamo ancora in tempo per trovare una soluzione, ma servirebbe uno sforzo senza precedenti di tutti i settori della società”. Queste parole sono state pubblicate sul sito delle Nazioni Unite in vista del vertice sul clima (Cop25), cominciato il 2 dicembre. Previsto inizialmente in Cile, il vertice è stato spostato a Madrid.

“Il vertice è una tappa fondamentale nella cooperazione politica internazionale ed evidenzierà gli ottimi risultati dell’economia reale a sostegno del programma per il clima”, si legge nel comunicato. “Questi risultati rafforzeranno i mercati e le politiche fornendo lo slancio necessario nella ‘corsa verso la vetta’ ai paesi, alle imprese, alle città e alla società civile per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e quelli fissati dall’accordo di Parigi”.

Una visione ottimista o pessimista?
La ricerca scientifica sul cambiamento climatico ha ormai più di 150 anni. Probabilmente si tratta di uno degli argomenti più studiati dalla scienza moderna. Tuttavia da trent’anni l’industria energetica e i gruppi di pressione politica diffondono dubbi sulla realtà del cambiamento climatico. Uno studio recente sottolinea che le cinque principali società petrolifere e del gas a livello mondiale investono ogni anno circa duecento milioni di dollari per finanziare lobby che influenzano, ostacolano o bloccano lo sviluppo delle politiche per il clima. Gli ultimi cinque anni, dal 2015 al 2019, passeranno alla storia come il periodo caratterizzato dalla più alta temperatura media mai registrata, come si legge in uno studio sull’ambiente presentato recentemente dalle Nazioni Unite in vista del vertice sul clima.

Aspettative contro realtà
Il documento, dal titolo United in science, sottolinea la crescente distanza che separa la realtà dei fatti dagli obiettivi fissati per arginare la crisi climatica. Per esempio, secondo i dati dell’Agenzia statale per la meteorologia, sette dei dieci anni più caldi registrati in Spagna dal 1965 fanno parte del ventunesimo secolo. L’ultimo anno da record è stato il 2017, quando la temperatura media è stata di 16,2 gradi, 1,1 gradi in più rispetto al periodo di riferimento (1981-2010). Lo studio rivela inoltre che i livelli dei principali gas serra – anidride carbonica, metano e protossido di azoto – hanno raggiunto i massimi storici. La concentrazione di anidride carbonica aumenta dell’1 per cento ogni anno. Nel 2018 l’aumento ha raggiunto il 2 per cento. Nonostante il grande sviluppo delle energie rinnovabili, il sistema energetico globale è ancora dominato dai combustibili fossili.

CO2 sempre più abbondante
Negli ultimi anni si è passati da una concentrazione di epoca preindustriale di 280 ppm (parti per milione) di CO2 nell’aria alle 390 ppm del 2009. I gas a effetto serra restano attivi nell’atmosfera molto a lungo, per questo sono chiamati “di lunga permanenza”. Dell’anidride carbonica emessa nell’atmosfera, circa il 50 per cento impiegherà trent’anni prima di sparire. Il 30 per cento resterà per diversi secoli mentre il restante 20 per cento non svanirà prima di migliaia di anni. Secondo United in science la stabilizzazione dei gas serra a 445 ppm limiterebbe l’aumento della temperatura globale a circa 2 gradi centigradi. Per riuscirci, però, dovremmo ridurre le emissioni di gas serra tra il 50 e l’85 per cento entro la metà del secolo attuale. Il documento indica inoltre che nel 2018 sono state emesse 37mila tonnellate di anidride carbonica, una cifra da record. La concentrazione di questo gas ha raggiunto le 407,8 ppm. I dati preliminari raccolti nel 2019 suggeriscono che i livelli potrebbero raggiungere e superare le 410 ppm entro la fine dell’anno.

Secondo gli autori dello studio, l’ultima volta in cui la concentrazione di CO2 nell’atmosfera raggiunse i 400 ppm fu tra i tre e i cinque milioni di anni fa. In quel periodo la temperatura superava quella attuale di 2-3 gradi. A causa dell’aumento di temperatura, le calotte di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide si sciolsero e si verificò un innalzamento del livello del mare tra i dieci e i venti metri.

Temperature elevate e condizioni estreme
Lo studio indica che con le riduzioni nazionali programmate nell’ambito dell’accordo di Parigi la temperatura media aumenterà comunque tra i 2,9 e i 3,4 gradi centigradi. Gli esperti ritengono invece che l’incremento non dovrebbe superare 1,5 gradi, ma per raggiungere un simile obiettivo le proposte dei paesi per arginare la crisi climatica dovrebbero moltiplicarsi per cinque (“appena” per tre, se volessimo accontentarci di un aumento di due gradi). Uno studio del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) indica che già tra undici anni rischiamo di varcare la soglia limite di 1,5 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali, scatenando una “catastrofe globale”. Fenomeni come le siccità estreme, gli incendi boschivi, le alluvioni o le carestie potrebbero essere tra i primi segnali del problema.

Sul fiume Yamuna a Delhi, India, 11 novembre 2019. (Adnan Abidi, Reuters/Contrasto)

Secondo gli esperti, per evitare una situazione simile il mondo “avrebbe bisogno di cambiamenti rapidi, radicali e senza precedenti in tutti gli aspetti della società”. Gli scienziati sottolineano che la produzione industriale dovrebbe essere meno inquinante, o in alternativa essere ridotta.

Ripercussioni economiche della riduzione delle emissioni
Il rapporto presenta inoltre le possibili conseguenze economiche di una stabilizzazione della concentrazione di gas serra. Limitare l’emissione di gas avrà un forte impatto sull’attività economica globale. Secondo Bert Metz (ex copresidente dell’Ipcc), per ridurre le emissioni di gas serra tra il 50 e l’85 per cento sarà necessario tagliare ogni anno il prodotto interno lordo globale dello 0,12 per cento. La stabilizzazione a un livello superiore della concentrazione di CO2 (710 ppm) comporterebbe un aumento delle temperature fino a 4 gradi centigradi, con un incremento delle emissioni di gas serra tra il 10 e il 60 per cento entro il 2050. Ma questa possibilità provocherebbe un calo del pil dello 0,06 annuo. Probabilmente Cina, Stati Uniti e India temono gli effetti sulla propria crescita economica di eventuali tagli. E questo spiegherebbe gli sforzi compiuti per non figurare nel rapporto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Da sapere

Il 2 dicembre si è aperta a Madrid, in Spagna, la Cop25, che si chiuderà il 13 dicembre.

Che cos’è una Cop?
Cop è l’acronimo di conference of the parties (conferenza della parti), cioè l’incontro – normalmente annuale – dei quasi 200 paesi che fanno parte della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). La convenzione è stata adottata nel 1992 e ha stabilito che i gas serra emessi dagli esseri umani con le loro attività quotidiane stanno contribuendo alla crisi climatica. La convenzione chiede ai firmatari di ridurre queste emissioni. Per mettere in pratica il trattato si svolgono le Cop, a cui partecipano delegati e ministri di quasi 200 paesi del mondo. I vertici si svolgono ogni anno in una diversa regione del pianeta e questa edizione doveva essere in America Latina. Inizialmente si pensava al Brasile, ma con l’elezione del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro il paese ha ritirato la sua candidatura. In seguito anche il Cile ha rinunciato, per i disordini in corso, ma mantiene la presidenza del vertice, e quindi la guida dei negoziati.

Chi partecipa?
Si prevede la partecipazione ai colloqui di circa 25mila persone. Tra loro una trentina di capi di stato, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. È arrivata anche l’attivista svedese Greta Thunberg che si trovava negli Stati Uniti ed è tornata indietro in catamarano.

Qual è lo scopo dei colloqui?
Sono principalmente un trampolino verso il 2020, anno chiave nella lotta alla crisi climatica da quando nel 2015 è stato raggiunto l’accordo di Parigi. Questo perché per la prima volta i paesi dovrebbero aggiornare i loro piani di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e potenzialmente delineare i piani a lungo termine per arrivare a zero emissioni in vista del vertice di Glasgow del prossimo anno, la Cop26. I colloqui a Madrid devono fare ordine su alcune questioni in sospeso dell’accordo di Parigi. Tra queste il cosiddetto articolo 6, sulle nuove regole del mercato globale delle emissioni di CO2 (o mercato del carbonio): un sistema che prevede lo scambio di diritti o di quote di emissioni di gas a effetto serra tra paesi.

Cos’è l’accordo di Parigi?
L’Unfccc ha puntato inizialmente all’approvazione del protocollo di Kyoto del 1997. Quindi, nel 2015, è stato adottato l’accordo di Parigi, che dal prossimo decennio sostituirà Kyoto e costringe tutti i paesi a tagliare le emissioni di gas serra. La somma di tutte queste riduzioni deve essere sufficiente a raggiungere l’obiettivo principale dell’accordo di Parigi, secondo il quale l’aumento della temperatura media del pianeta dovrebbe essere mantenuto al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali e, nella misura del possibile, non dovrebbe superare gli 1,5 gradi. Questo è il limite che la scienza pone per evitare gli effetti più catastrofici di una crisi climatica i cui effetti non sono più reversibili. (New Scientist, El País)

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