26 aprile 2024 13:01

Anche se non è ancora entrato ufficialmente nel Guinness dei primati, Tunde Onakoya, uno scacchista nigeriano di 29 anni, è già un eroe nazionale. Tra il 17 e il 21 aprile ha giocato a scacchi insieme allo statunitense Shawn Martinez per sessanta ore su una pedana allestita per l’occasione a Times square, nel centro di New York. Ad accompagnarli, musica afrobeats, riso jollof e incoraggiamenti da tutto il mondo.

L’organizzazione del Guiness dei primati si prenderà un po’ di tempo per valutare se i due giocatori hanno rispettato tutte le regole per battere il record precedente, stabilito nel 2018 da due norvegesi che avevano giocato per 56 ore. Come da regolamento, Onakoya e Martinez hanno disputato delle partite l’uno contro l’altro in maniera continuativa, concedendosi delle pause di cinque minuti ogni ora e una più lunga di mezz’ora ogni sei ore.

Per l’impresa Onakoya ha già ricevuto le congratulazioni del presidente nigeriano Bola Tinubu, di vicepresidenti e governatori, in carica e passati. I giornali del suo paese hanno scritto che “i nigeriani possono essere orgogliosi di lui” e che è “un valido ambasciatore” della Nigeria nel mondo. Sui social network il suo ritorno in patria il 24 aprile è stato festeggiato come il rientro dell’“eroe”.

Non è il primo nigeriano a prefiggersi l’obiettivo di entrare nel Guiness dei primati: l’anno scorso c’era riuscita la cuoca di Lagos, Hilda Baci, che per mettere in buona luce il suo paese aveva cucinato per 93 ore consecutive. Ma la storia personale e l’impegno di Onakoya rendono il suo sforzo particolarmente significativo. Con l’esibizione di New York, lo scacchista non cercava visibilità per sé o per il suo paese, ma voleva accendere i riflettori sulla situazione dei bambini e delle bambine del suo continente e, soprattutto, sulla necessità di mandarli a scuola.

Nel 2018 ha fondato un’organizzazione non profit che ha esattamente questo obiettivo: si chiama Chess in slums (scacchi nelle baraccopoli), e punta a portare i bambini delle baraccopoli sui banchi di scuola proprio attraverso l’insegnamento degli scacchi. Con l’esibizione di New York, l’organizzazione benefica statunitense The gift of chess, partner dell’iniziativa, ha fatto sapere di aver raccolto più di 130mila dollari di donazioni individuali, e conta di riceverne altre vendendo scacchiere firmate da Onakoya e Martinez.

Secondo la Banca mondiale, in Nigeria 8,6 milioni di bambini vivono per strada, più di centomila solo nella capitale economica Lagos. Chess in slums opera nelle baraccopoli di Lagos e di altre città nigeriane, e vuole risollevare la vita di bambini e bambine insegnandogli un passatempo che gli faccia acquisire consapevolezza delle proprie capacità intellettuali, rendendoli più sicuri di sé e attrezzati per tornare a scuola. Gli scacchi non sono il fine, ripete Onakoya, ma un mezzo per raggiungere altri obiettivi, una porta d’accesso a nuove opportunità. Giocare a scacchi allena i bambini a essere ricettivi e pronti a imparare, nonché a pensare in maniera strategica. Vincere dei premi mostra loro che si può essere premiati per l’impegno profuso nello studio, aiutandoli a sviluppare la loro ambizione. Perché la prima cosa che manca ai bambini poveri è proprio la fiducia in sé e nelle proprie capacità.

Come racconta un lungo ritratto uscito alcuni mesi fa su Open Country Mag, una rivista culturale nigeriana, Onakoya è cresciuto in un quartiere povero di Lagos, sperimentando in prima persona cosa significa combattere ogni giorno per la sopravvivenza e la dignità. I suoi genitori erano giovani e poveri, e lui ha potuto studiare solo grazie all’ostinazione di sua madre, che per accettare un lavoro come donna delle pulizie in una scuola aveva posto come condizione che suo figlio frequentasse le lezioni. Da adolescente, Onakoya ha scoperto gli scacchi da un barbiere vicino a casa, che quando non aveva clienti si sedeva davanti a una scacchiera e ai manuali di teoria. A poco a poco Onakoya si è reso conto che gli scacchi potevano essere la sua strada per eccellere, per “rompere il ciclo del fallimento”.

Grazie agli sforzi dei genitori ha studiato informatica all’università, ma sempre con grandi difficoltà economiche. Ad aiutarlo in quegli anni è stato un gruppo di quattro amici, con i quali ha rispolverato la passione per gli scacchi, partecipando alle competizioni e guadagnando ogni tanto qualche soldo. Un giorno, diventato insegnante, si è reso conto che i bambini che incontrava sotto i cavalcavia e che gli chiedevano soldi e da mangiare erano molto incuriositi alla vista della scacchiera. Ha cominciato a insegnargli a giocare, anche se i piccoli non sapevano neanche parlare inglese o riconoscere i pezzi.

Il successo internazionale di serie tv come La regina degli scacchi di Netflix ha dato qualche opportunità in più a Onakoya, che ha cominciato a fare lezione online a persone in Cina e negli Stati Uniti. A 23 anni ha deciso di dedicare la sua vita alla ong, invece di fare come molti suoi coetanei, cioè cercare lavoro all’estero, fare quella che è chiamata “japa”. Lavorare con i bambini, aiutarli a trovare la loro strada, portare le loro storie all’attenzione del mondo era per lui più importante e soddisfacente che perseguire una sua carriera. Si è legato tanto ad alcuni di loro che, quando hanno perso i genitori, li ha adottati.

A 29 anni Onakoya ha sei figli adottivi che ha conosciuto negli slum. Lo chiamano “papà”, anche se lui non vuole. Il più grande gioca a scacchi e studia all’università. Ha insegnato gli scacchi a un campione di calcio, Patrice Evra, che era curioso di sapere cosa fanno a Chess in slums ed era andato a trovarli sotto il ponte Oshodi a Lagos. La ruota della speranza e della fortuna continua a girare.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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