Il cognome della signora Ye significa “foglia”, come quelle del tè che vende sulla Yonghegong lu, la via del famoso Tempio dei Lama di Pechino. Il suo negozietto sta poco più a nord e sull’altro lato della strada rispetto al “terzo tiao”, l’hutong dove mille barbecue si accendevano la sera e si mangiava il cosciotto di agnello. Uso l’imperfetto perché proprio in questi giorni il san tiao è al centro di una ristrutturazione che raderà al suolo la sua anarchica vitalità e lo trasformerà nell’ennesima via commerciale tirata a lucido.
In questo ciclo di distruzione e ricostruzione continua, che esiste da quando esiste Pechino, anche la signora Ye sta ridefinendo la propria vita.
Suo marito è già tornato nel natio Fujian con la figlia più grande; lei resterà nella metropoli ancora un anno, tirerà avanti il commercio di tè e quindi, con il figlio piccolo rimasto con lei, raggiungerà l’altra metà della famiglia al sud. Sono stati a Pechino quattordici anni in tutto. Ma lei non si mostra troppo triste alla prospettiva di andarsene: “Quando siamo arrivati, qui c’erano le opportunità che non esistevano da noi. Adesso non è più così”.
Il sistema presenta il conto
L’attuale separazione si è resa necessaria perché la famiglia della signora Ye non ha l’hukou di Pechino, il certificato di residenza che, unico documento, dà accesso a diritti fondamentali: il servizio sanitario e l’istruzione per i figli. Finché un migrante – come la signora Ye e i suoi familiari – ha un reddito da lavoro tale da permettere di “comprare” privatamente i servizi riservati ai residenti, allora vivere lontano da casa conviene. Ma a un certo punto il sistema presenta il suo conto.
È questo il caso del gaokao, il fondamentale e terrificante “esame di maturità” cinese che dà accesso all’università. La figlia della signora Ye non può farlo a Pechino, deve sostenerlo nel Fujian. Così, padre e figlia sono tornati per tempo da quelle parti in modo che la ragazza frequentasse le scuole superiori dove effettivamente affronterà poi l’esame. Poi, chissà, l’università.
“Non so se mia figlia tornerà a studiare a Pechino”, dice la signora Ye, “per le università di qui ci vuole un voto molto alto. Magari anche a Xiamen ci sono buone università. C’è anche il mare e l’aria è migliore che a Pechino”.
Ma lei e suo marito non andranno a vivere a Xiamen. Sono originari di un piccolo villaggio di montagna ai confini con il vicino Zhejiang, molto più a nord. E soprattuto, per campare, andranno a lavorare in una fabbrica di materassi nel Jiangsu, ancora più a nord. “Non possiamo mica vendere tè al sud”, spiega la signora ridendo, “lo fanno già tutti”. Come vendere ghiaccio agli eschimesi, diremmo noi. “Nel Fujian abbiamo una casa grande, quattro stanze. Nel Jiangsu invece è molto piccola. Abbiamo trovato il lavoro nella fabbrica di materassi attraverso conoscenze”.
Va di moda chiamare ‘resilienza’ la capacità così cinese di sopportare l’insopportabile purché si veda la luce
In occasione della festa della donna, il Quotidiano dei Lavoratori ha presentato la storia di un’impresa edile di Xi’an che ha incaricato alcuni fotografi professionisti di ritrarre nove lavoratrici migranti dei suoi cantieri. I fotografi le hanno truccate e rivestite fino a renderle belle “come divinità”. Pare che le donne si siano divertite e una di loro, la gruista Xin Cunai – sposata e con due figli –, dice che spera in un futuro migliore. Come la signora Ye.
C’è una bellezza in tutte queste donne che prescinde dai fotografi, dal trucco e dai vestiti sberluccicanti. Sta nella loro determinazione nel perseguire i propri obiettivi.
Il ventaglio delle opportunità
Va di moda chiamare “resilienza” la capacità così cinese di sopportare l’insopportabile purché si veda la luce. In realtà non è un atteggiamento psicologico che piove dal cielo, ma il prodotto di una concatenazione di realtà concrete che offrono continue opportunità e vie di fuga: la famiglia in quanto nucleo microimprenditoriale flessibile, così evidente in quel dividersi-ricongiungersi per la grande Cina della signora Ye e dei suoi cari; il guanxi – la rete di relazioni – che ti trova il lavoro nella fabbrica di materassi; lo stesso immenso territorio cinese che ti restituisce altrove quello che ti toglie qui; un’economia ancora dinamica, nonostante le previsioni di crescita per il 2017 ridotte al 6,5 per cento. E poi c’è una visione chiara del proprio obiettivo: l’università per la figlia, cioè l’apertura di un nuovo ventaglio di opportunità.
Questo sistema così efficiente sembra precludere il conflitto, la rivendicazione. In parte è vero, ma guai a spegnere la luce là, in fondo al tunnel. Lo sanno bene a Zhongnanhai, la “casa” della leadership cinese, pochi chilometri in direzione sudovest dal negozio di tè della signora Ye.
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