Il 17 febbraio una commissione etica incaricata di monitorare le sperimentazioni cliniche nel Regno Unito ha autorizzato un’équipe di ricerca a infettare dei volontari con il sars-cov-2, il virus che causa il covid-19. L’obiettivo dell’esperimento, il primo del genere al mondo, è ottenere informazioni importanti sulla malattia e sui vaccini.

La tanto dibattuta “sfida umana” consiste innanzitutto nell’individuare la quantità minima di sars-cov-2 necessaria per infettare dei volontari giovani e sani. In seguito i ricercatori vaccineranno altri volontari e li esporranno a quella quantità di virus per valutare il livello di protezione e la risposta immunitaria.

Il modello della sfida umana, usato da tempo per l’influenza e per altre malattie infettive, permette di confrontare rapidamente i diversi vaccini ed è un modo più semplice, rispetto ai test su larga scala, per stabilirne l’efficacia. Il rischio, però, è che la malattia risulti fatale anche per individui giovani e sani; inoltre, non c’è ancora un farmaco di “salvataggio”, cioè una terapia affidabile in grado di fermare l’infezione. Chi è contrario alla pratica sottolinea che anche un’infezione lieve può avere conseguenze negative nel lungo periodo, e che comunque i test tradizionali possono dare tutte le risposte che servono.

Conseguenze nel lungo periodo
Eppure in tanti, non solo nel Regno Unito, sono disposti a offrirsi come volontari. E, secondo molti scienziati, nonostante il successo dei vaccini messi a punto negli ultimi mesi, quest’esperimento potrebbe fornire informazioni fondamentali.

L’équipe britannica che ha ottenuto il via libera sceglierà novanta volontari sani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, li esporrà a quantità diverse di sars-cov-2 e poi li isolerà e li monitorerà ventiquattr’ore su 24. “Gli infettati assumeranno subito il Remdesivir, un farmaco approvato in vari paesi per trattare le persone ad alto rischio di contrarre forme gravi di covid-19 o già ricoverate a causa della malattia”, spiega l’immunologo Christopher Chiu, dell’Imperial college di Londra, coordinatore della ricerca. “Misureremo la carica virale due volte al giorno per verificare se il Remdesivir è efficace come terapia preventiva”.

Finora il farmaco è stato somministrato solo a pazienti già ricoverati, con esiti variabili, ma l’azienda che lo produce sostiene da tempo che funzionerebbe meglio nelle prime fasi dell’infezione. Anche se fosse realmente in grado di prevenire la malattia nei volontari, usarlo su ampia scala sarebbe comunque poco pratico, perché si assume per via endovenosa, è piuttosto costoso e, anche senza ricevere cure, la maggior parte delle persone ha sintomi lievi o inesistenti.

Il modello della sfida umana potrebbe essere usato per testare i vaccini che sono stati modificati per essere più efficaci contro le nuove varianti del coronavirus, o almeno quelle che sono più contagiose, aggirano la risposta immunitaria o fanno entrambe le cose. Ma inizialmente i ricercatori britannici si occuperanno di un ceppo isolato nell’estate del 2020, prima della comparsa delle varianti più pericolose. “Al momento stiamo valutando su quali varianti concentrarci per i test su vaccini modificati”, spiega Chiu.

(Traduzione di Stefania De Franco)

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Science. Il titolo originale era: “To aid vaccine research, U.K. approves deliberate infections of volunteers with coronavirus”. Reprinted with permission from Aaas. This translation is not an official translation by Aaas staff, nor is it endorsed by Aaas as accurate. In crucial matters, please refer to the official English-language version originally published by Aaas.

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