21 dicembre 2017 09:38

Si parla di elezioni, il mondo accarezza un vecchio sogno folle in cui un presidente non viene presentato con l’apertura di un sipario, né annunciato con un taglio del nastro, come all’inaugurazione di un nuovo centro commerciale.

Alle prime elezioni temevo per il mio paese, ma dopo le seconde elezioni ho cominciato a temere il mio paese. Adesso si parla di una terza tornata elettorale, e non riesco a pensare ad altro che a danzare. Vorrei danzare, ma non sono un granché come ballerino.

Da piccolo ogni anno, nel giorno della nascita del profeta, mi alzavo presto al mattino e aspettavo al balcone che la processione sufi arrivasse e passasse da casa nostra. Ogni anno una grande folla di persone si univa a loro. Loro suonavano e danzavano.

Persecuzione salafita
In seguito, quando ero diventato ormai adulto, hanno smesso di sfilare, e gli è stato vietato per anni. Nel 2012 la processione danzante è tornata, ma solo quell’anno. Le milizie salafite hanno distrutto le moschee sufi, rapito i loro seguaci e vietato di danzare e perfino di festeggiare la nascita del profeta.

Alle milizie comunque non va giù nessun tipo di danza o di musica. Una volta hanno arrestato le persone di una compagnia di ballo, le hanno terrorizzate per un po’, gli hanno rasato i capelli e le hanno liberate dopo qualche ora. Poi hanno arrestato Pkt, un mio amico rapper, lo hanno terrorizzato, gli hanno tagliato i capelli a zero, l’hanno picchiato e lo hanno liberato dopo qualche mese.

Io non sono un bravo ballerino. A Padova ho preso un volantino in cui si pubblicizzavano delle lezioni di ballo. Ce l’ho ancora appeso al muro, una promessa rinviata, come quella di chi si è impegnato a insegnarmelo, a Ferrara. Comunque non credo che potrebbero insegnarmi il genere di danza che vorrei imparare.

Un poeta arabo ha detto: “Non pensare che la mia danza tra voi sia una gioia, l’uccello massacrato danza per il dolore”. Solo una tragedia epica ed enorme lascia un simile dolore, contro cui non puoi fare niente se non alzare le braccia e scacciarlo con la danza. Zorba l’ha spiegato bene: “Quella volta che morì mio figlio, il mio piccolo Dimitris, nella Calcidica, mi misi a ballare come poco fa. I parenti e gli amici che mi videro ballare davanti alla salma si buttarono su di me, ‘Zorba è impazzito’, gridavano, ‘Zorba è impazzito!’. Ma io, in quel momento, se non avessi ballato sarei impazzito per il dolore”.

Molto tempo fa in Nordafrica un altro danzatore epico vagava per le strade e i villaggi della Libia, della Tunisia e dell’Algeria. Lo chiamavano Busadia, “padre di Sadia”. Indossava abiti colorati fatti di pelli animali e piume di uccello, e accessori di metallo e osso che producevano dei suoni quando danzava al ritmo del tamburo che portava con sé.

Il viaggio di Busadia
Nel folclore libico, tunisino e algerino esiste questa figura nera di nome Busadia, e nessuno sa da dove sia venuto. Alcuni dicono dal Mali, altri dal Niger. Per noi nordafricani tutti i neri sono “africani”. A volte dimentichiamo di essere anche noi africani.

La foto più antica che gli è stata scattata in Libia risale all’inizio degli anni trenta. Abbiamo un canto tradizionale per bambini che parla di lui e che i bambini intonavano quando faceva visita ai loro villaggi. Si raccoglievano attorno a lui, danzavano e cantavano, recitando una sorta di conversazione che ripeteva una domanda su di lui. Il primo gruppo di bambini cantava: “Dov’è la casa di Busadia?” e il secondo gruppo rispondeva: “È un po’ più lontano”.

Anche in Algeria i bambini si raccoglievano attorno a lui e ballavano. Lui bussava alle porte, la gente gli dava quello che poteva, cibo o soldi. Le madri erano solite minacciare i bambini capricciosi avvertendoli che avrebbero chiesto a Busadia di portarseli via con sé se non fossero andati presto a dormire.

Per anni la sua tradizione è rimasta in vita, qualcuno si vestiva come lui e danzava. A un certo punto però, proprio come dal nulla era apparso nella nostra storia, nel nulla è sparito. In Libia è sparito a metà degli anni cinquanta, è sopravvissuta solo la canzone. In Tunisia è rimasta una danza tradizionale eseguita solo in occasione di eventi festivi con gran divertimento dei turisti.

Secondo la leggenda, in origine era un re africano. Gli schiavisti rapirono sua figlia e la vendettero. Lui si travestì e cominciò il suo viaggio infinito per cercarla. Andò in Libia, Tunisia e Algeria, dove all’epoca si trovavano i più grandi mercati di schiavi del Nordafrica. Non capivano un granché delle sue canzoni, e lui continuava a vagare, a danzare e a suonare il suo tamburo. Forse un giorno, da qualche parte, sua figlia lo sentirà.

Se tornasse oggi lo arresterebbero di sicuro. È un “africano” che danza, e loro non tollerano né l’una né l’altra cosa. Lo getterebbero in un centro di detenzione. Gli prenderebbero il tamburo e lo picchierebbero. Poi le buone ong gli farebbero visita e gli offrirebbero la possibilità di “tornare volontariamente” a casa sua, ma dov’è la casa di Busadia? Nessuno lo sa.

“Danza, quando sei distrutto. Danza, se hai strappato le bende. Danza nel bel mezzo del combattimento. Danza nel tuo sangue. Danza quando sei perfettamente libero” (Rumi).

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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