08 maggio 2024 12:14

La prima volta che ho visto Ariete in concerto era l’estate del 2022, con gli spettatori in piedi dopo due anni di pandemia di covid-19. Non era ancora passata per il festival di Sanremo, alle spalle aveva solo un album autobiografico, Specchio, e una manciata di ep che la sua etichetta, Bomba dischi (la stessa di Calcutta, tra gli altri), aveva pubblicato durante i lockdown. Era all’ippodromo Capannelle di Roma, a pochi chilometri dalla cittadina in cui Ariete è cresciuta, Anzio, e c’erano migliaia di persone, soprattutto giovanissimi.

Alcune ragazze avevano dormito lì fuori, e lei la notte prima era andata a trovarle, sorpresa. Sul palco si sarebbe presa poi un momento per dare il microfono ad alcuni fan scelti a caso. “Purché avessero qualcosa di importante da dire. È stato il mio momento De Filippi”, scherza. “Avevo passato il tour precedente a leggere i loro cartelli e striscioni. Ho pensato di farli parlare”.

A fermarsi qui, ci si potrebbe immaginare Ariete ‒ nome d’arte di Arianna Del Giaccio, 22 anni compiuti da poco ‒ come l’ennesimo prodotto per adolescenti costruito a tavolino. In realtà le sue canzoni vengono dal basso, rivelano una certa complicità, uno stare sullo stesso piano di chi le ascolta, non sanno di plastica. L’ho realizzato quando i ragazzi sul palco hanno cominciato a parlare: c’era chi faceva coming out, chi rivolgeva appelli a genitori che non sentiva da mesi, uno addirittura ha improvvisato un pezzo suo sulla mancanza di dialogo tra la propria generazione e le altre. “Ho capito”, racconta lei, “che c’era qualcosa di forte da tirare fuori. Qualche settimana prima, a Milano, una ragazza disse che sarebbe dovuta venire al concerto con un’amica, avevano comprato il biglietto insieme. Solo che poi lei, che era già malata, era morta”.

La crepa, il cortocircuito, comincia qui: di solito i teen idol sono fenomeni messi in piedi da etichette che credono di sapere cosa voglia il pubblico, e descrivono la vita migliore di quella che è. Ariete, al contrario, non fa niente per addolcire la realtà: “Racconto la vita di tutti i giorni, comprese le relazioni tossiche, i problemi con la scuola, i genitori e il resto. Ma c’è tutto, non solo disagio. Il fatto che molti dicano che ‘Ariete scriva solo canzoni tristi’ è un pregiudizio”. In L’ultima notte, il pezzo che nel 2021 era diventato la colonna sonora dello spot di una marca di gelati (”L’unica volta in cui la fama mi è arrivata addosso senza che me lo aspettassi”), canta dei ricordi qualsiasi di una notte d’amore. Invece in uno dei suoi primi brani, Pillole, diceva “prendo pillole per stare calma”, mentre girava per la stazione Termini a Roma, cercando di dimenticare una storia finita male.

I testi, dice, sono in gran parte autobiografici: anche lei non ha avuto un’adolescenza semplicissima, con i genitori che hanno dovuto seguire la transizione di genere del fratello minore. In un’altra ancora, 18 anni, confessa di non essere “come gli altri, non cerco un’università, ma cerco di calmarmi”.

Il suo pop-rock sghembo, sempre un po’ strano e sporco, dal profilo basso, che non spettacolarizza le emozioni, somiglia al diario di un’adolescente, ed è uno spaccato di cosa significhi avere diciott’anni nel 2024. Lei non si sente “la voce di una generazione”, ma è orgogliosa che molti si rivedano in lei. C’è chi la considera un’amica, la chiamano “Ari”. Ed è un affetto reciproco: non è scontato che un’artista vada a trovare i fan in fila per il suo live. A un certo punto mi dice al telefono: “Sto dicendo queste cose a te come se fossi un amico. Ma io sono davvero senza filtri”. Evidentemente c’è bisogno di idoli così, che non sono un modello, ma sono reali, tangibili, vicini. Non sono neanche così tanti quelli che l’ascoltano, ma sono molto affezionati.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Ariete c’entra poco con ciò che sta succedendo nella musica italiana, con il pop femminile che ha una grande diffusione e l’immaginario dei rapper colonizza le classifiche. “Stimo le mie colleghe, ma io non ho la voce di Elodie e non l’avrò mai”, sorride. “Ci pensavo da ragazzina, al pop. Ma io vengo da Anzio e devo raccontare le mie storie”. Nonostante qualche ritornello melodico qua e là, è a tutti gli effetti una cantautrice difficile da catalogare: suona la chitarra, ha fatto coming out, indossa cappello, scarpe da ginnastica e cravatta, sui social network è molto confidenziale.

Quando le chiedo com’è cambiata la vita con il successo, dice che è “ancora gestibile”, però ha imparato che “se alle due di notte ho una fame chimica mando un amico a prendere i cornetti, non vado io, altrimenti mi fermerebbero e resterei lì per ore”. E ancora, che “essere belli nel mercato fa fare qualche passo in più”, ma lei percorre un’altra strada. In parte è antichissima, cresciuta con “i giganteschi” Dalla, Guccini e De Gregori; in parte è anche un animale raro, allergico alle etichette, come la Gianna Nannini di fine anni settanta, che non a caso l’ha battezzata come sua erede. Ma nei testi, più che moderna, è proprio contemporanea.

Il rischio è quello, classico, di non essere capita fuori dalla sua cerchia, che comunque non è tanto piccola: L’ultima notte ha ricevuto tre dischi di platino e i concerti la portano nei palasport e all’arena di Verona. Il passaggio a Sanremo nel 2023 è stata un’esperienza in chiaroscuro che oggi, dice, “mi è servita per farmi le ossa”. Mare di guai non è stata molto apprezzata dal pubblico che non la conosceva bene, e in generale comunicare il suo progetto non è stato semplice. Lei non cerca alibi, anzi dice che alle condizione giuste, semmai ci saranno, tornerebbe all’Ariston. “Il punto è che però non sono un’artista da tv: non ho quella voce, quello stile, quell’impostazione”.

Insomma, in certi contesti Ariete parla ancora un’altra lingua. “Anche per questo raggiungere la dimensione nazionalpopolare non è una priorità al momento”, conclude. Rispetto a tanti colleghi della sua generazione che hanno usato Sanremo anche per proporsi a un pubblico più adulto – come Lazza, per esempio – lei ha scelto di tenere come punto di riferimento solo la sua generazione. O almeno, una parte: “A volte non mi sento capita dai più grandi, ma sui social ci sono anche miei coetanei che m’insultano perché sono lesbica”.

Il messaggio, riflette, divide ancora, anche se lei lo lascia trasparire in modo più implicito, meno militante. Il fatto che molti pezzi siano dedicati esplicitamente ad altre donne, per lei, non è mai stato una notizia. “Me ne sono accorta in un secondo momento, che la gente si soffermava molto su quello”. Ma sui diritti, comunque, prende posizione. “Per me sono una priorità. Non è così per tutti i ragazzi della mia generazione, ma siamo in tanti a difenderli. Siamo i primi, veri nativi digitali , internet ci ha dato valori diversi da quelli dei nostri genitori. La spaccatura con chi è venuto prima c’è sempre stata, ma penso che il web l’abbia accentuata, in tutti i campi”. Ed ecco, è in quella spaccatura che si sono infilate le canzoni di Ariete.

Il 12 maggio Ariete sarà ospite al festival di Internazionale Kids a Reggio Emilia. L’appuntamento è al teatro Cavallerizza, alle 16.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it