04 marzo 2020 13:30

Gli elettori israeliani hanno preferito i partiti e le coalizioni con un chiaro messaggio ideologico, punendo quanti hanno preferito posizioni e linguaggio ambigui. Il Likud – il partito di centrodestra del premier Benjamin Netanyahu – e la Lista araba unita, che secondo gli exit poll avrebbero guadagnato seggi, hanno portato avanti delle campagne elettorali con un messaggio chiaro, che esprimeva la volontà di cambiamento. Hanno conservato una coesione interna e mantenuto la propria linea dall’inizio alla fine.

Al contrario il partito di centro Blu e bianco, di Benny Gantz, e la coalizione di centro sinistra Laburisti-Gesher-Meretz hanno faticato a superare le loro divisioni interne e a lanciare un messaggio interessante o determinato, mentre Avigdor Lieberman, leader del partito di destra Israeli Beiteinu, ha modificato il suo messaggio nel tentativo di mantenere un minimo di credibilità. Tutti questi partiti perderanno seggi nella ventitreesima knesset.

Idee chiare
Cominciamo con la destra. A differenza delle due precedenti campagne elettorali, nelle quali il Likud si era concentrato sulla battaglia di Netanyahu contro polizia e magistratura, stavolta il blocco di destra ha messo avanti due posizioni chiare e ponderate, tanto in politica estera quanto in politica interna: annettere i Territori occupati e la valle del Giordano, in linea col piano per il Medio Oriente presentato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e cancellare l’indipendenza del sistema giudiziario, subordinandolo alle gerarchie politiche. Tutti i partiti di destra e ultra-ortodossi si sono compattati su queste posizioni. Tutti vogliono la sovranità sugli insediamenti, senza dover rendere conto in alcun modo alla corte suprema.

Questi chiari messaggi hanno reso più semplice, per Netanyahu, recuperare una posizione di leadership e controllo. Invece di dipingersi come vittima di forze più potenti di lui, come la polizia e la magistratura, come ha fatto nelle precedenti elezioni, stavolta il premier ha trasmesso l’immagine del vincente, del leader onnipotente che sa come parlare con lo stesso grado di serietà e determinazione ai leader mondiali e agli attivisti di sperdute sezioni del Likud. La sua rielezione, ha fatto capire, non ha per obiettivo solo quello di salvarlo dal suo imminente processo, ma gli permetterà di portare a termine le sue due missioni di vita: stabilire i confini del paese e “sostituire le élite”. I suoi sostenitori hanno di gran lunga preferito il leader determinato e concentrato al criminale in fuga delle precedenti campagne elettorali.

Negli undici anni da quando ha ripreso l’incarico di primo ministro, Netanyahu ha generalmente evitato di esprimere posizioni ideologiche. Ha preferito essere visto come un pragmatico, anche quando questo gli è valso gli attacchi della destra. È stato anche felice di nascondersi dietro a ministri dominanti come Naftali Bennett, Ayelet Shaked e Miri Regev, lasciando che fossero loro a combattere con istituzioni accademiche, militari e culturali. Stavolta, tuttavia, invece che comandare dalle retroguardie, è tornato alle sue radici e ha chiarito che questa è la sua battaglia. E la cosa ha pagato.

Blu e bianco si è concentrato sull’unico messaggio sul quale tutti i suoi aderenti potevano concordare, ovvero “tutto tranne Bibi”

Netanyahu ha rafforzato il fervore ideologico e i successi diplomatici tramite una delle sue più importanti nomine ministeriali: quella di Amir Ohana come ministro della giustizia. Facendo di Ohana il comandante dell’enclave di destra all’interno del quartier generale del ministero della giustizia, Netanyahu ha dimostrato di essere determinato a combattere fino alla fine, senza concessioni. Ohana, da parte sua, ha lottato per nominare Dan Eldad procuratore della repubblica. Questi ha ordinato un’indagine sulle attività e il successivo fallimento di The fifth dimension, un’azienda tecnologica in passato guidata da Benny Gantz. È stato a quel punto che Gantz e il suo partito, Blu e bianco, hanno cominciato a calare nei sondaggi. Il colpo di grazia è stato, naturalmente, la registrazione in cui lo stratega politico di Gantz, Israel Bachar, descriveva lo stesso Gantz come un perdente di poco valore.

Blu e bianco si è concentrato sull’unico messaggio sul quale tutti i suoi aderenti potevano concordare, ovvero “tutto tranne Bibi”, ma poi ha fatto fatica a trovare un accordo su praticamente tutto il resto. Gantz ha risposto al piano di Trump con un sì e no. Ne ha sostenuto l’impianto legale, ma poi lo ha accusato di persecuzione politica, proprio come aveva fatto Netanyahu. Ha provato ad avvicinarsi alla Lista araba unita, un attore fondamentale nel blocco di sinistra, salvo poi abbandonarla. In mancanza di un’ideologia concordata, la campagna elettorale del partito si è concentrata sulle differenze personali tra Gantz e Netanyahu. Ma non è stato abbastanza.

A sinistra la Lista araba unita è riuscita a superare gli screzi e le rivalità tra i partiti che la compongono e i suoi dirigenti, presentandosi come un partito di protesta e di alternativa. Il boicottaggio del partito da parte delle formazioni sioniste e la proposta di trasferire la regione del Triangolo (la zona a maggioranza araba lungo la linea verde) allo stato palestinese, come suggerito nel piano Trump, le hanno permesso di ottenere un risultato senza precedenti e, a quanto pare, di aumentare i consensi nella sinistra ebraica. Non è stato un compito difficile, dal momento che l’alternativa, per gli elettori di sinistra, era la coalizione Laburisti-Gesher-Meretz, che ha portato avanti una campagna elettorale molle e svagata, nella quale ha perlopiù sottolineato quali ministeri desiderassero i suoi dirigenti, e concentrandosi troppo su questioni marginali.

Il Likud e la Lista araba unita rappresentano ormai due estremi ideologici in Israele: annessione dei territori contro divisione della terra, supremazia ebraica contro uguaglianza civica. Questi scontri saranno al cuore del dibattito politico degli anni a venire, indipendentemente dagli sviluppi del processo per corruzione contro Netanyahu.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.

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