21 settembre 2015 12:54

A giudicarla sotto il profilo del puro pragmatismo politico, la vittoria di Syriza alle elezioni greche è un netto successo, per il partito e per la strategia del suo leader. Alexis Tsipras si è liberato della zavorra dei parlamentari più radicalmente contrari all’accordo di luglio sul terzo bailout (che riuniti sotto la sigla Unità popolare sono rimasti fuori dal parlamento), guiderà con un po’ più di serenità una coalizione molto probabilmente ricalcata su quella precedente, e potrà dedicarsi alla realizzazione degli impegni sottoscritti a malincuore con i creditori, concentrandosi soprattutto su una qualche forma di ristrutturazione del debito.

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La sfida, insomma, Tsipras l’ha vinta, com’era già successo con il referendum del 5 luglio. Ha rischiato, ma ha ottenuto quello che cercava: una nuova investitura popolare. E ci è riuscito anche presentandosi agli elettori dopo aver dovuto rivedere al ribasso molte delle promesse fatte prima delle elezioni di gennaio, quando in gioco sembrava ci fossero la fine dell’austerità e un mutamento radicale nel rapporto con la Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea.

A convincere i greci questa volta sono bastati un programma molto meno ambizioso, che si traduce essenzialmente nel cercare di applicare le nuove misure di austerità in modo più equo e umano, e due fattori essenziali: il desiderio di un minimo di stabilità e una diffidenza ancora diffusa verso la vecchia classe politica, tra cui i socialisti del Pasok e il centrodestra di Nea dimokratia, che sono agli occhi della maggioranza degli elettori i veri responsabili del disastro del paese.

Quest’ultima vittoria di Syriza, tuttavia, non è paragonabile al trionfo del 25 gennaio. Soprattutto per un motivo: l’altissimo tasso di astensione, il più elevato nella storia della democrazia greca. Il 20 settembre è andato alle urne il 56 per cento degli aventi diritto, praticamente un elettore su due: un risultato deludente per un partito il cui principale obiettivo era restituire dignità e vigore alle istituzioni democratiche e risvegliare la partecipazione e l’impegno dei cittadini. Ma sei elezioni in cinque anni, e tre solo negli ultimi otto mesi, sono forse troppo anche per un popolo che è sempre andato a votare in massa (con comprensibili flessioni dall’inizio della crisi del debito).

L’entusiasmo di gennaio sembra esaurito, sostituito dalla dolorosa consapevolezza che cambiare le cose è sempre molto difficile e che le regole delle politica non si scardinano tanto facilmente. Oltre ad aver ottenuto una vittoria netta, e per niente scontata stando ai sondaggi diffusi fino a poche ore prima del voto, da queste elezioni Tsipras può trarre anche una piccola lezione per il futuro. Alla prossima crisi politica, che riguardi gli equilibri interni a Syriza o la sua maggioranza parlamentare, dovrà resistere alla tentazione di rivolgersi nuovamente agli elettori. A meno di non volersi ritrovare con un parlamento eletto da meno della metà dei greci.

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