13 aprile 2015 12:38

“Per quanto tempo è per sempre?”, domanda Alice.

“A volte, solo un secondo”, risponde il Bianconiglio.

Maurizio Ferraris scrive che, con l’avvento della rete, nel giro di una manciata di decenni siamo passati da una rigida e riconoscibile strutturazione del tempo di vita e di lavoro, modellata sui ritmi della produzione industriale, a un flusso indistinto di attività che si interrompono costantemente a vicenda perché ciascuna sembra richiedere la nostra urgente attenzione. Non solo: “Il moltiplicarsi delle interruzioni che ha luogo in un archivio infinito non ci porta, come ingenuamente si potrebbe credere, nel cuore dell’attualità, ma in un’ucronia in cui tutto è contemporaneo di tutto”.

In questo contesto ci si ritrova immersi, proprio come accadeva nelle società arcaiche e pretecnologiche, in un eterno presente. “Il carattere fondamentale della nostra epoca è l’anacronismo”, scrive Ferraris, che torna poi sul tema con alcuni esempi: c’è la vicenda del necrologio dello scrittore Chiunua Achebe che, ripostato sui social network, scatena una quantità di mesti commenti anche se Achebe è morto due anni prima. Ci sono i concorrenti all’Eredità, convinti che Hitler sia salito al potere nel 1948 (secondo Ilaria), nel 1964 (secondo Matteo), nel 1978 (secondo Tiziana).

Di fatto, nel web, ciò che è passato e ciò che è contemporaneo si somigliano e sono ugualmente accessibili: l’occhio del navigatore si fa catturare da immagini e storie, e trascura le date. Di “eterno presente del web” ho scritto nel 2012 a partire da una fantastica storia di giornalismo sportivo e piccioni viaggiatori raccontata da David Randall: la storia è ancora buona e, l’abbiamo appena visto, la data è irrilevante.

Bene: tutto ciò sembra significare che in rete il nostro “adesso” soggettivo scorre all’interno di un continuum fatto di innumerevoli contemporaneità, che ci sembrano tali perché sono tutte simultaneamente accessibili. Ma quanto dura effettivamente, nella nostra percezione, il tempo che noi chiamiamo “adesso”?

Ne scrive New Scientist (l’articolo è uscito, tradotto, sul numero 1090 di Internazionale).

L’adesso, secondo i neuroscienziati, è l’attimo di cui siamo coscienti: il nostro presente psicologico. Il cervello lo costruisce integrando e sincronizzando le diverse percezioni degli stimoli (sonori, visivi) che ci arrivano dal mondo esterno. Dura tra i due e i tre secondi: un tempo sorprendentemente lungo.

È la combinazione degli adesso che riusciamo a percepire a darci il senso della continuità, costituendo un periodo di circa 30 secondi, l’“adesso dell’io”, che ci sembra coincidere con il momento che stiamo vivendo tra ciò che è successo prima e ciò che succederà dopo. Ma si tratta di un adesso elastico: se coincide con un momento di massima allerta (per esempio, con un incidente automobilistico) percepiamo tutto quanto come se si svolgesse al rallentatore, e l’adesso sembra durare molto di più. Un analogo, e assai meno rischioso, effetto di dilatazione del presente si può ottenere grazie alla meditazione.

Il mio sospetto è che, navigando in rete, la percezione dell’adesso possa cambiare: gli stimoli sono circoscritti al perimetro dello schermo, e nella scarsa distanza che sta tra lo schermo e il nostro naso si sviluppano interi e, come dice Ferraris, ucronici universi che appaiono e scompaiono in un clic. L’adesso della rete potrebbe contrarsi per via delle continue interruzioni (compresa l’apparizione di fastidiose e a volte rumorose finestrelle pubblicitarie). Ma la mia sensazione è che, invece, sul web l’adesso si dilati e si sfuochi, appunto, nell’ucronia. Insomma: è un “adesso” fluido, per certi versi simile a quello dei sogni.

Dunque, sarebbe interessante confrontare la durata dell’“adesso” che viviamo compiendo azioni concrete che cominciano e finiscono nel mondo reale (cucinando, chiacchierando, trasportando una valigia pesante) e quella dell’adesso che viviamo navigando (e a volte perdendoci) nell’ucronia della rete. Sarebbe anche interessante vedere se l’adesso delle persone che passano molto tempo in rete varia rispetto all’adesso di chi frequenta poco il web.

In attesa di ulteriori studi, chi vuole potrebbe cominciare a starci un po’ più attento. Magari per decidere che, al fine di recuperare un normale senso del tempo, fare una passeggiata può essere una buona idea. Chi vuole ragionare di tempo, di attimi e di ucronia continuando a navigare, invece, può dare un’occhiata a L’attimo precedente, 10 fotografie che hanno cambiato il mondo. La rassegna è stata già pubblicata nel 2012 su Taringa!, un sito argentino. E forse, prima o dopo, da qualche altra parte. Ma, se non l’avete mai vista, è come se fosse stata pubblicata adesso adesso.

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