03 luglio 2017 13:15

A tutti può capitare di dover chiedere scusa. Non a tutti succede di volerlo o saperlo fare in modo onesto, efficace e trasparente. Di fatto il gesto di chiedere scusa è complicato per diversi motivi così come, per diversi altri motivi, è necessario e virtuoso.

Non è vero che scusarci ci fa stare subito meglio (e non è questa la motivazione da dire ai bambini quando li invitiamo a chiedere scusa) scrive The Atlantic. Ma, d’altra parte, l’obiettivo delle scuse è quello di far sentire meglio chi ha subìto un’offesa, non chi l’ha arrecata. Il secondo obiettivo è incentivare chi ha offeso qualcuno a non ripetere quel comportamento.

Scuse e autostima
Ma il fatto di scusarsi ha altre, e maggiori, conseguenze positive: imparare a chiedere scusa è (per i bambini, ma anche per gli adulti) parte integrante dell’addestramento alla vita sociale. Migliora le relazioni interpersonali. Riduce la rabbia e la contiene. Accresce la coesione delle comunità. E poi, chi si scusa dimostra di avere una buona autostima: sono le persone con bassa autostima quelle che fanno più fatica a scusarsi.

Sapersi scusare è importante anche nel mondo degli affari, e a scriverlo è Fortune. Gli amministratori delegati e i dirigenti che rifiutano di scusarsi quando dovrebbero farlo mettono a rischio la reputazione dell’intera azienda. D’altra parte, farsi carico degli errori dell’impresa appartiene al loro ruolo (e, aggiungo, il fatto di scusarsi quando è necessario dimostra la loro capacità di sostenere quel ruolo pienamente).

“Sorry / Is all that you can’t say / Years gone by and still / Words don’t come easily / Like sorry like sorry”, Scusami. È tutto qui quello che non riesci a dire”, canta la musicista nera Tracy Chapman in un indimenticabile brano di fine anni ottanta. Riascoltarlo può essere una buona idea, perché suggerisce in modo semplice e potente come l’atto di dire “mi dispiace” possa essere tanto difficile quanto desiderabile.

Dire solamente ‘mi dispiace per quanto è successo’ significa non riconoscere il proprio ruolo per quanto è successo

Ma scusarsi non basta: bisogna farlo bene e sul serio. La Harvard Business Review descrive quattro tipi di scuse inefficaci: ci sono le scuse formali, vuote di ogni sentimento autentico. Solo parole dette in modo reticente e frettoloso, senza coinvolgimento sostanziale. Non servono a niente.

Ci sono poi quelle eccessive, ripetute e fastidiose – “oh, provo un terribile, enorme dispiacere” – che mettono al centro della relazione chi ha commesso il danno e i suoi sentimenti di rimorso, e paradossalmente obbligano il danneggiato a confortare chi ha causato il danno.

E ancora: ci sono le scuse incomplete. Dire solamente “mi dispiace per quanto è successo” significa non riconoscere il proprio ruolo (e la propria responsabilità) per quanto è successo, e non assumersi alcun impegno per evitare che in futuro una situazione analoga si ripeta. Troppo facile…

Infine, ci sono le scuse negate: “Ehi, non è colpa mia!”. Se non altro, sono sincere: è l’ego che parla, e rifiuta di ammettere ogni colpa. Questo genere di scuse è non solo inefficace, ma controproducente: accrescono il danno inferto e pregiudicano definitivamente la possibilità di salvare la relazione. Alle non-scuse, cioè alle scuse incomplete o negate, il blog dell’Oxford Dictionary dedica un articolo assai gustoso.

Cambiare prospettiva
In realtà, per chiedere scusa in modo appropriato c’è una sola cosa da fare: cambiare prospettiva e mettersi nei panni della persona offesa. Vuol dire capirne lo stato d’animo, desiderare sinceramente di porre riparo e proporsi di migliorare i propri comportamenti futuri. Sì, non è facile.

A proposito del cambiare prospettiva: anche “perdonare nel modo giusto” è difficile ha scritto Claudio Magris in un articolo uscito qualche anno fa. Magris distingue diverse modalità relazionali del perdonare.

C’è quella supponente, secondo cui l’atto del chiedere scusa è un gesto di sottomissione, e il perdonare è una grazia concessa da una posizione di superiorità.

C’è il perdono cristiano, che nasce dal riconoscere una fragilità umana condivisa, e con questo mette su un piano di parità il confessore e il peccatore: chi perdona e chi è perdonato.

E c’è la tragica parodia mediatica del perdono: quello che a gran voce viene chiesto (e istantaneamente preteso) alle vittime di crimini efferati, originando uno stravolgimento di ruoli che pone chi ha subìto un torto nella posizione di dovere ancora qualcosa a chi, quel torto, l’ha inflitto.

Infine, dice Magris, c’è il perdono differito. Che può avere un valore emotivo, simbolico, storico anche forte, ma da un punto di vista relazionale è un po’ un controsenso, perché non mette a confronto i due attori (individui o comunità) effettivamente coinvolti nel torto inflitto e subìto.

Chiedere scusa per torti inflitti in passato è importante quando determina comportamenti attuali

E Magris si chiede “fino a che punto ci si deve sentire responsabili per colpe non personali, ma perpetrate dalla parte cui si appartiene, chiesa, patria, partito, comunità, sistema economico e sociale”, per poi concludere che le scuse stanno diventando anche una mania, per misfatti sempre più antichi, e che presto ci sentiremo in colpa anche per l’invasione della Gallia da parte di Giulio Cesare.
Eppure, anche questo genere di scuse può essere importante, nella misura in cui chiedere scusa per torti inflitti in passato si riflette e determina i comportamenti attuali. Per esempio, gli psicologi australiani si sono di recente scusati formalmente con le tribù aborigene per la pratica pluridecennale di separare le madri dai figli, che ha dato origine al fenomeno atroce delle stolen generations, le generazioni rubate.

In questo caso, le scuse hanno rilievo perché segnano un’importante inversione di tendenza nel modo in cui le classi dirigenti bianche interagiscono con gli aborigeni. L’atto di scusarsi formalmente è stato anche parte integrante della faticosa opera di riconciliazione intrapresa dopo i genocidi nel Ruanda, che hanno coinvolto un milione circa di persone: il New York Times ne dà conto in un articolo toccante. Time, invece, raccoglie le dieci maggiori scuse nazionali dei tempi recenti. L’articolo è del 2010: mi vengono in mente almeno un paio di pagine che andrebbero aggiunte.

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