30 aprile 2018 15:55

Questo vecchio adagio mi torna in mente ogni tanto, a proposito di desideri o progetti miei o altrui che sembrano di complessa realizzazione e anche, a far mente locale, di soddisfazione meno certa e meno persistente di quanto, in teoria ma solo in teoria, potrebbe essere.

L’adagio mi ronza in testa con una frequenza insolita in questi giorni, in cui anch’io, nel mio piccolo, assisto perplessa (e ormai piuttosto sfinita) al succedersi di ipotesi, proposte, piani, idee più o meno praticabili che riguardano il nuovo, futuro governo del paese.

Ovvio: ciascuno degli attori postelettorali continua a promuovere la sua idea di futuro desiderabile per sé e per i suoi, facendolo automaticamente coincidere con il futuro desiderabile per la nazione. Ma questo fa parte del gioco propagandistico.

La cosa davvero notevole è che, da spettatrice, lo stai attento a quel che vuoi mi viene in mente considerando ogni attore e ogni ipotesi, comprese quelle contrapposte tra loro e che si escludono l’una con l’altra. E comprendendo nell’ammonizione anche me stessa e quello che forse vorrei, se solo avessi qualche certezza in più.

Accelerazioni diverse
Così, a un certo punto, lascio l’ennesimo talk show e mi immergo in una serie tv adrenalinica nella quale, se non altro, la trama delle alleanze e delle inimicizie si ridisegna sì di puntata in puntata, ma per motivi più che espliciti: soldi, successo, potere, vendetta. Ed è più che chiaro quali sono i buoni per cui si può fare il tifo.

Il fatto vero è che sempre, quando si parla di decisioni riguardanti il futuro, le cose sono un po’ meno semplici di come appaiono. E lo sono, nel caso specifico, non solo per noi spettatori, ma perfino per gli attori postelettorali: anche per quelli che vantano granitiche convinzioni e forse, se solo facessero mente locale, potrebbero stare, come si dice dalle mie parti, un po’ più schisci, più calmi.

Ecco di che si tratta: il futuro non succede mai tutto insieme. Gli elementi che compongono il nostro presente hanno inerzie diverse, e si modificano con diverse accelerazioni. Per dire: siamo riusciti a mappare 1,7 miliardi di stelle della galassia (il risultato è stato presentato pochissimi giorni fa), ma continuiamo a esaltarci per un gioco nato nel terzo secolo avanti Cristo, e nella sua forma moderna a metà ottocento.

E poi. Il futuro è sempre più complicato (nel senso di composto da molti più nuovi elementi, impastati coi vecchi) di quanto possiamo immaginare.

E poi. Le prime conseguenze di una decisione hanno sempre ulteriori conseguenze, e conseguenze delle conseguenze delle conseguenze, che infine si perdono in una nebbia di boh.

Quel che capita al pianeta prima o poi toccherà anche me e gli amici miei, anche se faccio finta di niente

E poi. Nel futuro c’è una dose di assoluta imprevedibilità, e di caotici battiti d’ali di farfalla che possono ridisegnare un intero scenario in modo tanto repentino quanto incontrollabile.

E poi. Per alcuni il “futuro” è fra tre anni, per altri fra dieci, per altri fra sei mesi, per altri ancora, domattina: è difficile mettersi d’accordo perfino sulla misura del “futuro”. Ed è ancora più difficile considerarne l’estensione: stiamo parlando del futuro mio e di quello dei miei amici più intimi? O del futuro del pianeta, visto che quel che capita al pianeta prima o poi toccherà anche me e gli amici miei, anche se faccio finta di niente? O di qualcosa che sta da qualche parte, lì in mezzo?

E poi. Progettare pensando al futuro, e cercando di orientarne l’andamento in modo a noi favorevole, è un comportamento funzionale alla sopravvivenza dell’individuo e della specie. Non riusciamo a non farlo (del resto, se non lo facessimo, smetteremmo perfino di lavarci i denti).

Ma occhio: progettiamo il futuro essenzialmente modellandolo sulle nostre esperienze passate. La qual cosa, per esempio, ci ha consentito per millenni di prepararci all’inverno da brave formichine quando era ancora estate, e tanto da non morire poi di fame e di freddo.

Tutto questo, però, funziona bene quando si tratta del susseguirsi degli inverni e delle estati. Meno bene quando si tratta delle mille variabili che determinano i destini individuali, o sociali, o nazionali o, appunto, planetari.

Una storia cinese
E poi. Siccome ciascuno di noi – questione di punti di vista, eh – tende a vedersi al centro degli eventi per l’ineliminabile motivo tecnico che osserva tutto il resto dall’esatto punto in cui si trova, è anche facile che ciascuno di noi sovrastimi sia la propria capacità di comprendere gli eventi, sia la propria possibilità di cambiarne il corso.

Il risultato di tutto ciò (e questa è una previsione facile) è che continuerò a passare da un dibattito politico a una serie tv. E che alla fine, ammesso che una fine ci sia, mi ritroverò ancora più incerta di adesso.

Però, per consolarmi, recupero la vecchia storia del contadino cinese. È graziosa e, se non la conoscete, vi piacerà.

Dunque: ci sono un vecchio contadino e suo figlio. Sono poveri e possiedono solo un cavallo, che un giorno se ne scappa. I vicini si dispiacciono, ma il contadino risponde “vedremo”.

Succede che il cavallo torni, e si porti dietro una mandria di cavalli bradi. I vicini corrono a congratularsi, e il contadino risponde “vedremo”. E succede che il figlio del contadino provi ad addomesticare uno dei nuovi cavalli, cada e si rompa una gamba. Tutti si dispiacciono, ma si sentono nuovamente rispondere “vedremo”.

E succede che il paese entri in guerra. Tutti i giovani del villaggio, tranne il figlio del contadino che ha la gamba rotta, vengono arruolati. Nessuno sopravvive. A guerra finita, il figlio è guarito e i cavalli, venduti a ottimo prezzo, hanno procurato una buona rendita al non più povero contadino.

Però la storia non ci dice che cosa capita in seguito al figlio, e al figlio del figlio.

Insomma: vedremo.

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