14 aprile 2021 13:34

Il concetto di consegna è ampiamente sottovalutato. Per quanto posso, vorrei provare a porre rimedio.

Di fatto, su una consegna eseguita bene si gioca una gran parte dell’utilità, dell’efficacia e del successo di qualsiasi idea, offerta, merce, tecnologia, progetto, messaggio, eccetera.

Cominciamo con il chiarire bene il concetto: “consegnare” significa dare o affidare una qualsiasi entità, materiale come un oggetto o immateriale come un’informazione, a un destinatario che vuole o deve poi farne qualcosa: ricevere, custodire, trasferire, usare (ti consegno i miei pensieri, le chiavi di casa, una cassa di pomodori, una missiva…). Vuol dire anche conferire (ti consegno un premio, ma anche: ti consegno al tuo destino). E vuol dire tramandare (consegno alla fama, alla memoria).

Ma si può anche coltivare l’ottima idea di “consegnare ai figli e ai nipoti un paese migliore e più giusto”.

Insomma: stiamo parlando di qualcosa di importante che viene trasferito a cura di qualcuno, per essere appunto, recapitato (consegnato) a qualcun altro.

Prima i beni materiali
A proposito di consegne importanti: l’inglese usa deliver e delivery per tutti i casi in cui noi parliamo di “consegne” e “consegnare”, e anche, con un po’ di rudezza anglosassone, nel senso di partorire un bebè, e in quello di far arrivare al pubblico un discorso forte e chiaro.

Per cominciare, parliamo di beni materiali.

Possiamo facilmente renderci conto di quanto, in quest’ambito, la consegna sia cruciale se solo pensiamo che uno degli elementi alla base dell’”inarrestabile successo globale” (così lo definisce la Bbc) di Amazon è, insieme ai prezzi contenuti e alla vastità dell’offerta, proprio l’impressionante capacità di consegnare qualsiasi cosa, dovunque, in modo rapido e certo. Ma possiamo anche considerare come, più in generale, l’espansione dell’e-commerce sia inestricabilmente legata al tema della consegna.

La logistica ha origini militari assai remote

E possiamo considerare come la pandemia abbia definitivamente reso centrale la capacità di consegnare. Oppure come, al contrario, il temporaneo blocco del canale di Suez, impedendo le consegne, abbia gettato nel panico armatori e paesi. Tra l’altro, rinnovando (è un grande classico) l’atavico timore di una penuria mondiale di carta igienica.

Infine, possiamo ricordare come vaccini già in origine scarsamente consegnati ai governi nazionali siano poi stati, tra disorganizzazione, furbizie e opacità di molte organizzazioni territoriali, malamente conferiti ai legittimi destinatari. Con le conseguenze che tutti sappiamo.

L’arte e la scienza del consegnare beni materiali hanno un nome bellissimo: “logistica”. È una parola che viene dal greco λογικός, e che significa “dotato di senso logico”. La logistica ha origini militari assai remote: senza approvvigionamenti certi, i grandi eserciti greci e romani non avrebbero potuto muovere le loro guerre di conquista.

“Oggi la logistica può decidere del successo o del fallimento di un’attività”, scrive l’Harvard Business Review.

La logistica si è evoluta a partire dalla seconda metà del novecento, anche grazie a due invenzioni importanti. La prima è il codice a barre che garantisce la tracciabilità, e quindi la gestione e il controllo, delle merci in transito, comprese le valigie che noi stessi consegniamo all’aeroporto.

La seconda è l’invenzione del container (e poi delle navi portacontainer – e rieccoci al canale di Suez), che consente di muovere grandi quantità di merci senza doverle stivare più volte nel passaggio, per esempio, dalla ferrovia alla nave, al trasporto su gomma. Ed è la vera chiave della globalizzazione.

Le cose si complicano
In sostanza, e nei puri termini del consegnare beni, oggi le cose sembrano funzionare alla grande, anche se ci sono aree di miglioramento ampie, e non solo al livello ambientale.

Ma torniamo al punto.

Le cose si complicano (e si complicano doppiamente) quando parliamo del consegnare roba importante almeno quanto le merci, ma immateriale come lo è l’informazione. Sto parlando della mole enorme e intricata di notizie, istruzioni, nozioni, raccomandazioni, cognizioni, proposte, idee, regole che ci scambiamo ininterrottamente ogni giorno.

Un primo problema è questo: i mass media classici e i nuovi media oggi rendono disponibile una quantità di notizie così gigantesca da sovrastarci. Ne risulta il sovraccarico cognitivo con il quale quotidianamente dobbiamo fare i conti.

E qui, proprio in termini di consegna, c’è un’interessante differenza. Mentre le fonti d’informazione più tradizionali ci offrono notizie di interesse generale, che ci tocca, per così dire, andare a ritirare (questo vuol dire, offline oppure online, prendersi la briga di accedere alle testate dedicate, e magari di confrontare diverse fonti), i social media ci recapitano notizie, per così dire, a domicilio: sulla nostra bacheca personale, sul nostro telefono cellulare.

Non tutti producono, confezionano e consegnano merci, mentre tutti noi produciamo, in qualche misura, informazione

Sono notizie comode, profilate e confezionate apposta per noi. Per questo sono irresistibili, perfino quando nutriamo qualche dubbio sulla loro affidabilità. E per questo il 50 per cento (dato 2020) degli italiani adulti usa i social network per “informarsi”, nonostante la presenza pervasiva di fake news.

Ed ecco il secondo problema: mentre non tutti producono, confezionano e consegnano merci, tutti noi produciamo, in qualche misura, informazione che scambiamo con mille referenti diversi. Se si trattasse di pacchetti, e anche se non siamo esperti di logistica, ci preoccuperemmo del fatto che arrivino alla giusta destinazione nelle migliori condizioni possibili.

Ma, poiché è roba immateriale, non ci facciamo caso. E tendiamo a trascurare la parte finale, e cruciale, del processo: quella che riguarda, appunto, la confezione e la consegna. Diciamo o scriviamo ciò che vogliamo comunicare, così come ci viene, e pensiamo che questo basti e avanzi. Non è così.

Trascuratezze imperdonabili
Vorrei sottolinearlo mille volte: di qualsiasi tipo d’informazione si tratti (raccomandazioni, aggiornamenti, istruzioni per l’uso, regole, insegnamenti, idee, proposte, progetti), produrre non basta. Bisogna confezionare e consegnare. Quando un’informazione non arriva, è come se non fosse mai esistita.

Giusto per chiarire il concetto faccio qualche esempio.

Trascura la confezione e la consegna il pubblico amministratore che produce norme illeggibili, o irreperibili, e poi accusa i cittadini di non seguirle. O il politico che lancia messaggi ambigui o contraddittori, e poi si lamenta di essere stato frainteso. O di non aver ottenuto il consenso che si aspettava.

Trascura confezione e consegna l’insegnante competentissimo nella propria materia, che però non si preoccupa di evitare che gli studenti si annoino o si distraggano (e, anzi, li rimprovera perché sono distratti e annoiati). O il tecnico che scrive un manuale di istruzioni incomprensibile per chiunque non sia un tecnico come lui. O il candidato che spedisce a una mailing list generica un curriculum pieno di errori, nel quale oltretutto vanta una laurea in comunicazione (sì, ne ho visti).

Trascura confezione e consegna il manager che non sa trasmettere istruzioni chiare e cortesi ai suoi dipendenti, e poi li maltratta perché sbagliano qualcosa. O che è incapace di gestire una notizia non buona, e poi si risente perché le reazioni sono pessime (la Harvard Business Review consiglia: siate diretti e non ambivalenti, e occhio al linguaggio del corpo).

Trascura confezione e consegna (e risulta decisamente antipatica) la padrona di casa che presume che la sua collaboratrice domestica abbia facoltà telepatiche e le legga nel pensiero, salvo poi piagnucolare che “le colf non sono più quelle di una volta”. E lo stesso accade con il teenager che tratta il più anziano da deficiente perché non condivide il suo gergo (e viceversa, ovviamente).

Trascura confezione e consegna il genitore che si lamenta che i bimbi piccoli sono ingovernabili, e non si fa domande sul modo in cui trasmette istruzioni.

Qui cinque suggerimenti grandiosi ed efficaci: cerca il contatto visivo; indica una cosa positiva da fare (dì “metti a posto i giocattoli” invece che “non lasciare i giocattoli in disordine”); sii chiaro e concreto; sii assertivo (afferma invece di chiedere); dai istruzioni per una singola azione, invece che per azioni multiple.

Sono certa che vi verranno in mente mille altri esempi.

Vorrei solo, sommessamente, aggiungere che chiunque abbia l’ambizione di formulare un progetto per il paese, o per qualche sua area, si obbliga contestualmente a consegnarlo agli interessati nel modo migliore, e ad applicare, se non un’eccellente logistica, almeno una qualche esplicita logica. Altrimenti, come già è successo, il progetto risulterà “non pervenuto”.

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