07 settembre 2017 15:39

La realpolitik ha una brutta fama. La associamo al cinismo delle grandi potenze e alla crudeltà delle ragioni di stato, quando invece è una politica basata sulla realtà dei rapporti di forza e dei movimenti della storia. Quando le crisi sfuggono a questo realismo esse diventano, o restano, conflitti sanguinari.

Il ragionamento vale per la crisi coreana, che non avrà alcuna soluzione pacifica finché non ammetteremo che né la Cina né la Corea del Nord vogliono intraprendere la strada che porterebbe, un giorno, a una Corea unificata. Vale anche per tutte le altre crisi, a cominciare dalla crisi siriana che tutti gli attori coinvolti vorrebbero vedere risolta (perché al momento non ha veri vincitori), ma che resterà senza soluzione finché non accetteremo il fatto che gli stati nati dalla divisione del Medio Oriente tra le potenze coloniali fanno parte del passato.

Le loro frontiere sono state disegnate dal Regno Unito e dalla Francia dopo la prima guerra mondiale, con l’obiettivo di dividere per regnare. Dal Libano degli anni settanta all’Iraq e alla Siria di oggi, questi stati sono in grave crisi e stanno crollando perché le diverse comunità al loro interno non vogliono più vivere insieme: hanno troppa paura l’una dell’altra per cercare la via della convivenza.

Emanciparsi dai colonizzatori
Sunniti, sciiti, curdi e cristiani vorrebbero governarsi da soli e separarsi dagli altri. La maggioranza sunnita della Siria non vuole più sottomettersi al volere della minoranza alauita a cui appartiene il clan Assad. La minoranza sunnita dell’Iraq vuole sfuggire al dominio della maggioranza sciita messa ai posti di comando dall’intervento americano contro Saddam Hussein. Gli sciiti libanesi non vogliono più essere trattati come cittadini di seconda classe dai sunniti e dai cristiani. Gli sciiti iracheni non vogliono rischiare di perdere il potere che hanno appena conquistato. I curdi aspirano alla creazione di un loro stato. I cristiani vogliono potersi sentire al sicuro.

Tutti, in poche parole, vogliono emanciparsi dagli stati di cui i colonizzatori britannici e francesi avevano tracciato i confini sulle rovine dell’impero ottomano. Ma davvero potremmo cancellare queste frontiere artificiali?

No. Facendolo apriremmo il vaso di Pandora, scatenando nuove guerre nella guerra e, per riflesso, distruggendo la maggior parte delle frontiere africane, anch’esse fragili, artificiali ed ereditate degli imperi coloniali. Non è una strada percorribile.

Al contrario, bisogna conservare le frontiere internazionali degli stati del Medio Oriente, ma trasformare questi paesi in federazioni o confederazioni in cui ciascuna comunità beneficerebbe di una grande autonomia come quella dei cantoni della confederazione svizzera e potrebbe stringere legami transfrontalieri.

Rivali storici e capofila degli schieramenti sciita e sunnita, l’Iran e l’Arabia Saudita potrebbero così conservare le loro zone d’influenza. È in questa direzione che bisogna procedere, ma il cammino è lungo e accidentato, incerto come quello della Corea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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