06 marzo 2015 15:11

In questi ultimi anni Stamina ha animato feroci discussioni e ha forzato – facendola arretrare – la linea difensiva che le istituzioni e la politica dovrebbero tenere salda contro i ciarlatani.

Ora il clima è raffreddato, anche se non del tutto sedato. Il presunto trattamento Stamina – tenuto intenzionalmente nel mistero, privo di dati sperimentali e dei requisiti per accedere a una sperimentazione, assente dalle riviste scientifiche – era stato presentato da Davide Vannoni (laureato in lettere) come rimedio per molte malattie neurovegetative incurabili.

C’erano tutti gli elementi per un perfetto complotto: un eroe, incompreso e avversato, che vuole salvare l’umanità ma è ostacolato dagli interessi delle case farmaceutiche. Forse anche il crollo è un frammento dell’epica del prode isolato e in lotta contro tutti: Vannoni, imputato per accuse gravissime tra cui associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ha chiesto il patteggiamento. Un misero e deludente terzo atto.

Stamina è un ottimo pretesto per analizzare come si dovrebbero avvicinare le questioni, sia in una discussione sia (e soprattutto) quando bisogna decidere di una legge o di dove investire risorse limitate come quelle sanitarie.

Tutto quello che è successo con Stamina dimostra per l’ennesima volta perché sia necessario usare strumenti razionali e non lasciarsi trascinare dalla corrente delle emozioni: la paura, il terrore, il disgusto o la ripugnanza sono infatti bussole insoddisfacenti e inaffidabili. Insieme ai “secondo me è così” e ai “io non lo farei mai!”.

Ci servono strumenti analitici e argomentazioni.

Intorno a Stamina si sono agitate espressioni e parole inappropriate: il diritto alla speranza o alla cura, innumerevoli versioni di “perché no?” oppure di “meglio di niente”. In tutti questi mesi quasi tutti hanno ripetuto “metodo” o “metodica” senza ricordarsi o senza sapere che per parlare di metodo sono necessari alcuni requisiti: ci vogliono molti dati, ipotesi da mettere alla prova, se reggono si procede con altre ipotesi e con una teoria in grado di prevedere e di spiegare. Non ci vogliono segreti o misteri, perché i dati e le ipotesi e le teorie devono essere a disposizione di chi vuole provare a ripetere gli esperimenti, perché se riesce solo a me non sono uno scienziato geniale, ma più verosimilmente un cialtrone o un mitomane.

Si è parlato anche di “cure compassionevoli” come possibile eccezione a una sperimentazione compiuta, dimenticando che nel decreto ministeriale del 5 dicembre 2006 l’espressione non c’era e che comunque non si autorizzava nulla che non avesse già evidenze cliniche di efficacia e di sicurezza. Non si autorizzava, cioè, Stamina (si tratta del cosiddetto decreto Turco, poi Turco-Fazio; alla fine di gennaio la ministra della salute Beatrice Lorenzin ha firmato il decreto ministeriale “Disposizioni in materia di medicinali per terapie avanzate preparati su base non ripetitiva”; sui problemi costituzionali del caso Stamina si veda Paolo Veronesi).

Metodo o farneticazione?

La speranza infondata è illusione, e rispetto a qualcosa che non conosciamo o che conosciamo come dannoso è preferibile niente: è del 2012 un’analisi del contenuto di Stamina che lascia poco spazio alla speranza. Con un “metodo” non validato insomma si possono estorcere soldi alla comunità e al servizio sanitario nazionale approfittando di quel “diritto alla speranza” che è un imbroglio o, come ha commentato la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo durante la conferenza stampa di presentazione dell’indagine conoscitiva, “un tentativo di frode commerciale, un abuso verso i malati, vittime incolpevoli, il tradimento della richiesta di aiuto”. E con un “metodo” non validato non abbiamo nemmeno la garanzia che l’intruglio sia innocuo.

È bene infine ricordare che Vannoni non ha mai voluto rivelare “il metodo Stamina”, nascondendosi dietro a varie scuse (tra cui un brevetto inesistente) e ponendo un ulteriore e insormontabile ostacolo: come si può firmare un consenso informato per un intruglio ignoto e misterioso? E se domani sostengo che prendendo un po’ di X mescolato a Z posso curare decine di malattie incurabili – senza prove, senza dati, senza sperimentazione – il mio è un metodo o una farneticazione? Le promesse di Stamina non erano molto diverse dal mio siero miracoloso, eppure moltissimi si sono lasciati sedurre, non hanno preteso dimostrazioni, hanno abbandonato la razionalità per cedere alla seduzione della menzogna.

È chiaro che ognuno di noi potrà avere conoscenza di un numero molto limitato di questioni. Non si sta pretendendo l’onniscienza, ma la familiarità con un metodo.Un metodo che suggerisce, tra le opzioni, anche il tacere o il rimandare l’espressione di una opinione. In molti protesteranno: “Ma allora non posso esprimere il mio parere!”. Certo che sì, nessuno pretende di censurare o di frustrare l’urgenza espressiva delle persone, ma si vuole ribadire che non sarà un parere in senso forte, ma una voce tra le tante. Legittima, ma spesso inutile, o addirittura dannosa (come il dichiararsi “con Sofia” intendendo dire “con Stamina”; “con Sofia” come se ci fosse una fazione che potrebbe stare “contro Sofia” e contro i malati e i loro familiari).

Per decidere su Stamina ci sarebbe stato bisogno di conoscere cose non alla nostra portata. Ma per discutere di Stamina basterebbe molto meno. E torniamo al metodo scientifico.

Avvicinarci a quello che non capiamo

“Non siamo fatti solo di ragione!”, in molti protestano. “La scienza non può spiegare tutto”, è un altro modo per ribadire lo stesso concetto. E non sono certo le premesse a essere erronee – perché certo che non siamo fatti di sola ragione e che la scienza non può spiegare tutto – ma le implicazioni. Ovvero: che siccome oltre alla ragione e alla spiegazione scientifica c’è di più possiamo pensare che esistano strumenti migliori.

L’analisi razionale ci permette di avvicinarci a quello che non capiamo, di distinguere gli errori di ragionamento, di evitare o correggere le contraddizioni e le fallacie. È una luce che ci aiuta a muoverci in un terreno complesso, senza la quale rimarremmo fermi oppure saremmo costretti a camminare carponi, allungando una mano per capire in che direzione andare, andando a sbattere contro muri e spigoli che non siamo in grado di vedere.

È meglio camminare in ginocchio al buio o avere una torcia, il più potente possibile? Si potrebbe obiettare che anche la scienza sbaglia e ha sbagliato. Certo e, di nuovo, un buon metodo non significa infallibilità o miracolo – perché altrimenti lo chiameremmo così – ma ci garantisce di fare meno errori, di ridurre la nostra ignoranza, di poter decidere nel modo più consapevole e informato possibile.

Quella torcia non avrà il potere di illuminare tutto l’universo e qualche volta traballerà o avrà bisogno di essere tarata. Ma nessuno potrebbe pretendere che ci si muove meglio senza. Può certamente sceglierlo, senza la presunzione di imporlo agli altri però e senza rendersi ridicolo suggerendo che stare al buio è più poetico.

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