11 gennaio 2016 10:32

Discutiamo da anni di Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (Dico), Diritti doveri reciprocità (Didore), Patto civile di solidarietà (Pacs), unioni civili. Del matrimonio, però, no, perché non si fa.

Ne discutiamo, ma non esiste ancora nessun istituto giuridico matrimoniale per le persone dello stesso sesso, e le unioni civili, già pallide copie del matrimonio per tutti (unico mezzo davvero non discriminatorio), sono bloccate in una discussione surreale.

“Ma che bisogno c’è poi?”.

“Siamo per i diritti dei singoli, però…”.

“Per gli adulti, certo, ma i figli?”.

“I figli a due omosessuali?”.

Se non bastassero queste domande sbilenche a rendere folcloristico un dibattito che potrebbe essere molto semplice (uguaglianza sì o no?), da qualche settimana ferve il dibattito sulla maternità surrogata.

Come andrà a finire sulle unioni civili, e quanto saranno ulteriormente amputate di pezzi rilevanti, allontanandosi dall’uguaglianza e conservando assurde discriminazioni, lo sapremo nelle prossime settimane.

Nel frattempo, in un mondo che sembra alieno, la discussione si svolge anche sui matrimoni plurali. Ronald Den Otter, nel suo nuovo libro In defense of plural marriage, approfitta dell’estensione del matrimonio per domandarsi se esistono ragioni costituzionali per limitare il matrimonio numericamente.

“In this book, I take seriously the idea of plural marriage”. Comincia così questo libro che è anche un’occasione per ripassare qualche concetto fondamentale di ogni democrazia liberale.

Perché non ci si può sposare in più di due? Chi lo ha stabilito e chi dice che non possa cambiare?

Parliamo ovviamente del matrimonio civile, cioè di quello a cui lo stato conferisce un valore legale. Domanda: la legge deve favorire oppure ostacolare i diritti individuali, se non danneggiano altri?

Perché non ci si può sposare in più di due? Chi lo ha stabilito e chi dice che non possa cambiare? Molti comportamenti in passato erano giudicati inammissibili, molte leggi erano ritenute giustificabili – e ora non è più così. “Siccome abbiamo sbagliato spesso nel passato, non dovremmo essere tanto sicuri che il nostro giudizio morale attuale sia infallibile”.

Il matrimonio (civile) è un contratto, determinato dal contesto politico e sociale, mutato e mutabile nel tempo. Non è una verità rivelata. Che ci si possa sposare tra due persone è una convenzione e non è nemmeno universale. Deve essere una condizione immutabile? Per sostenere il divieto andrebbero dimostrate le ragioni per cui sarebbe dannoso farle cadere. Non basta che a qualcuno potrebbe non piacere, che poi se non gli piace basta non sposare più di una persona, semplice.

La domanda è giuridica, non morale, non religiosa, non personale.

Quello che fareste voi è irrilevante, se non per voi e forse per i vostri amici.

La domanda è se ci sono abbastanza ragioni giuridiche per vietare l’ampliamento numerico.

E la risposta è sorprendente: no, non ci sono.

Al di là del matrimonio plurale, lo sforzo che ci richiede Den Otter è utile e necessario anche per discutere di altri argomenti. Di divieti e di coercizione. Dell’ossessione paternalistica di vietare quello che noi giudichiamo dannoso per altri (che magari la pensano diversamente, ma chi sono loro per dirlo?), dell’ostinazione di considerarsi metro morale universale.

Basta leggere l’introduzione per essere messi davanti a concetti fondanti e necessari in ogni legge non discriminatoria. Non dovremmo prendere seriamente in considerazione gli argomenti tradizionalisti, in questo caso a favore del matrimonio plurale, come la necessità di garantire al marito moglie e prole o la riduzione della prostituzione o dell’adulterio.

Non basta la scarsa familiarità per fondare un divieto e una conseguente discriminazione

Den Otter smaschera anche delle pessime abitudini, come l’inclinazione a vedere le discriminazioni che subiamo noi ma non quelle che opprimono gli altri, soprattutto se le abitudini altrui ci appaiono poco familiari o esotiche. O scandalose.

Ma, di nuovo, non basta la scarsa familiarità o il nostro disgusto per fondare un divieto e una conseguente discriminazione. E il peso di dimostrare di aver ragione dovrebbe essere tutto sulle spalle degli oppositori. Perché in una democrazia costituzionale dovrebbe essere permesso agli adulti capaci di intendere e di volere di scegliere chi sposare e pure quante persone.

Il matrimonio plurale è spesso associato a sistemi patriarcali, ma questa non è una sua caratteristica intrinseca (anche il matrimonio monogamico lo è o lo era).

Qualcuno potrebbe sollevare il dubbio che relazioni non monogamiche non siano sane o salutari. Ma, a parte la discutibilità del giudizio, la legge non ha il compito di evitare rapporti personali non sani. Se così fosse, la lista dei divieti aumenterebbe spaventosamente. Le persone possono avere relazioni malate, perfino violente. Non c’è bisogno, sottolinea Den Otter, di essere un libertario per apprezzare la possibilità di permettere alle persone di scegliere liberamente, perché è meglio che a decidere siano i diretti interessati e non qualcun altro – a meno che non sia esplicitamente richiesto.

L’analisi di Den Otter è riferita ovviamente al sistema statunitense, e sarebbe interessante cercare nella nostra costituzione ostacoli insuperabili. Ma a parte questo, leggere un ragionamento giuridico è un ottimo antidoto ai vari “volete distruggere la famiglia e annientare il sacro vincolo matrimoniale!”.

“Non è troppo chiedere a quelli che si oppongono al matrimonio plurale di formulare le rispettive posizioni senza fondarsi sul pregiudizio, sul disgusto, sugli stereotipi negativi, su pretese empiriche discutibili, su ipotesi riguardo a conseguenze disastrose, sulla paura delle differenze o su visioni religiose controverse”.

O forse sì, è troppo.

Eppure, come in tante altre circostanze, non siete costretti a difendere chi non vuole essere difeso. Quasi sempre, poi, non lo state proteggendo ma gli state solo rompendo le palle. Perché “in una democrazia costituzionale, adulti in grado di intendere e di volere dovrebbero poter sposare più di una persona allo stesso tempo, a meno che lo stato non possa dimostrare che c’è una ragione valida per negare tale scelta”.

Gli abusi e le regole

Non ci si può nemmeno limitare a rispondere “ma è assurdo!”, oppure “ma è irrealistico!” – commenti in passato destinati alla fine della schiavitù o all’uguaglianza di diritti per donne e uomini.

Come scriveva qualche giorno fa Frank Bruni in The Clintons’ secret language, “non sappiamo nulla dei matrimoni degli altri. Assolutamente nulla”.

E a volte manco dei nostri. Perché ostinarsi a dettare le regole?

In fondo Liz Taylor si è sposata otto volte. È stata una poligama seriale verticale invece che orizzontale. Sono forse affari vostri?

Qualcuno potrebbe ricordare quante volte la poligamia, e soprattutto la poliginia, sia associata alla violazione dei diritti delle persone più deboli.

Come al solito, regolamentare permetterebbe di eliminare gli eventuali abusi molto meglio dei divieti. E spesso il divieto serve alle nostre coscienze e non a quelli in nome dei quali lo sosteniamo.

E poi, una volta considerati tutti gli aspetti, potremmo anche concludere che sia meglio non cambiare lo status quo. Ma i conservatori – insiste giustamente Den Otter – devono fare qualche sforzo analitico e non limitarsi a consultare dizionari, a giustificarsi usando la religione o l’opinione contraria di molti, a invocare la tradizione e a decidere chi può permettersi di parlare di matrimonio e come questo istituto deve essere usato.

Forse sono pie illusioni, ma Den Otter si augura che prima o poi il matrimonio possa essere un istituto più inclusivo e in grado di offrire garanzie anche a chi immagina la propria famiglia in modo molto diverso da come la immaginiamo noi. Siamo diversi e le nostre diversità non dovrebbero fondare e giustificare discriminazioni legali.

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