06 maggio 2016 15:36

Se qualcuno avesse dormito negli ultimi mesi, avrebbe molta difficoltà a capire la discussione sulle unioni civili.

Come potremmo spiegargli che cosa succede? Come potremmo giustificare un ritardo inammissibile?

Mentre i paesi più simili al nostro (e non solo, visto che pochi giorni fa la corte costituzionale della Colombia ha stabilito che il diritto di sposarsi deve essere garantito a tutti) hanno ormai una legge sui matrimoni senza discriminazione d’accesso – cioè nessuno guarda dentro le nostre mutande per controllare quali apparati abbiamo o non abbiamo e con chi ci piace fare sesso – qui siamo impaludati in un disegno di legge nato monco e poi ulteriormente spogliato di diritti fondamentali. Primo tra tutti, garantire a un figlio di una coppia dello stesso sesso di avere due genitori anche per legge. E questo mentre alcuni tribunali italiani garantiscono quella stepchild adoption stralciata.

Se questa è senza dubbio una buona notizia, non dimentichiamoci che non c’è garanzia nel ricorrere a un tribunale, oltre al fatto che ci vogliono soldi e tempo per ottenere ciò che si otterrebbe automaticamente se il sesso di uno dei due genitori fosse diverso (non c’entrano qui le valutazioni della capacità genitoriale, perché dovrebbero essere valutate sempre oppure mai e non solo in base all’orientamento sessuale).

Vogliamo considerare le persone come davvero uguali o preferiamo mantenere la discriminazione?

Sarebbe anche difficile spiegare, a chi avesse dormito, l’entusiasmo per una legge che arriverà amputata di parti vitali – non solo di un nome (matrimonio) e di qualche “dettaglio” – e di alcune delle ragioni che rendono necessaria una legge o la cancellazione di una discriminazione.

Ripetere sempre le stesse cose fa perdere quasi il significato delle parole, ma la domanda principale rispetto alla regolamentazione delle convivenze e della filiazione è sempre e solo una: vogliamo considerare le persone come davvero uguali o preferiamo mantenere la discriminazione, senza avere nemmeno il coraggio di dirci discriminatori?

Perché a leggere i commenti di chi invita a frenare, a sopire, a tagliare e a non correre si direbbe proprio che si mantiene una preferenza per le riserve e i recinti (oltre alla confusione semantica rispetto a molti termini). Qualche diritto, ma senza esagerare. L’uguaglianza, ma non del tutto. Certo, siamo buoni ma non vorrete mica coinvolgere i bambini?

La trappola del diritto naturale

Nelle giustificazioni dei più fieramente contrari si possono rintracciare tutte le fallacie del sostegno all’ingiustizia.

La coscienza, la sensibilità, il sentirsi parte di un gruppo numeroso.

La coscienza di votare contro qualcosa che non gli toglierebbe nulla, la sensibilità di lasciare molti cittadini senza diritti, il conteggio in un contesto – quello dei diritti civili – in cui i numeri non dovrebbero fare alcuna differenza (sottotitoli: se votassero a favore della schiavitù nove cittadini su dieci, il successo numerico non basterebbe a rendere la schiavitù meno ripugnante).

Inutile ripetere a chi fa finta di dormire che il matrimonio senza discriminazioni non obbligherebbe nessuno a fare qualcosa che non vuole.

Giulio Alfano avrebbe risposto così ieri a Paolo Ordanza: “In questi anni è passata una cultura del diritto che ha messo in sordina il vero diritto che è il diritto naturale” (”Unioni civili. Renzi non esclude la fiducia alla camera”, Radio Vaticana).

Il diritto naturale è un’altra trappola molto amata dagli affabulatori che amano la Natura e l’essenzialismo, e che confondono i loro gusti personali con le leggi universali. Il diritto naturale funziona benissimo come invocazione (sbagliata ma retoricamente efficace) per opporsi alla fine di tradizioni discriminatorie e di ingiustizie sostenute da quel tempo che fu. Quanta nostalgia per le rigide divisioni in classi e per la subordinazione di quanti erano considerati inferiori. Se state al vostro posto nessuno ha niente da obiettare. Non esagerate, non abbiate la presunzione di pretendere l’uguaglianza.

Ci sono anche gli aspetti comici. Angelo Bagnasco non capisce che necessità ci sarebbe: “I diritti individuali sono già ampiamente assicurati” (”Unioni civili: Bagnasco, diritti ci sono”, 3 maggio 2016, Ansa). Che peccato. Non era bello il reato di sodomia?

E ancora: “La famiglia è quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, e aperta alla generazione, è il fondamento della società civile”. Dal matrimonio dovrebbero essere dunque esclusi anche chi non può o non vuole avere figli. Meschini.

Michela Marzano riannuncia che lascerà il Partito democratico (”Unioni civili, Marzano: ‘Voto e poi lascio il Pd’”, 3 maggio 2016, Ansa) e alla prossima minaccia correremo il rischio di reagire come all’ennesimo buon proposito di metterci a dieta. Le critiche alla sua scelta sono però forse ancora più grottesche delle giustificazioni di Paola Binetti (”Paola Binetti: ‘Matrimonio gay? A che serve una legge: basta presentarsi all’anagrafe e cambiare sesso’”, Huffington Post, 22 luglio 2015).

Tra capricci, incomprensioni, dibattiti deliranti viene voglia di tornare a dormire. In caso contrario, è bene leggere i commenti e i chiarimenti giuridici sul sito della Rete Lenford, come quello sul significato di fedeltà o quello sulle perdite che comporteranno le unioni civili.

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