25 ottobre 2022 13:47

La copertina di KooKoo, il primo album solista di Debbie Harry, frontwoman della band pop-wave Blondie, creò tanti di quei problemi da mettere in ombra il coraggio e lo sperimentalismo della sua musica. L’aveva creata l’artista svizzero H.R. Giger (1940-2014), tra le varie cose inventore dell’estetica biomeccanica del film Alien di Ridley Scott (1979).

Harry compare in primo piano, gli zigomi perfetti e le inconfondibili labbra sottili, ma non è più l’ossigenata e imbronciata icona pop dei Blondie: è un’inquietante regina delle tenebre, una sposa cadavere appena risvegliata da un lungo sonno, sulla fronte una tiara che sembra arrivare da un’antichissima civiltà sperduta nello spazio. La testa, dalle tempie alla gola, è trapassata da quattro spilloni. Dietro di lei un cielo grigio è solcato da fulmini. La pin-up del pop new wave si è trasformata in “un misto di punk, agopuntura e fantascienza” come la descrive Giger. Sebbene Harry non identificasse se stessa o la sua musica come punk, era felice della sua nuova immagine plasmata dalla fantasia febbrile e morbosa dell’artista svizzero. Un’immagine che le sarebbe costata il ritiro della copertina da diverse catene di distribuzione e la censura dei manifesti pubblicitari in diverse città, tra cui Londra.

Una pioniera
I suoi tipici capelli ossigenati con la ricrescita scura bene in vista, spiega lei stessa in un’intervista realizzata dalla Bbc proprio nello studio zurighese di H.R. Giger, erano parte del suo “essere un prodotto pop”. Smettere di essere la bionda dei Blondie e trasformarsi in un ibrido biomeccanico, in una performer postumana, era per lei un modo per far dimenticare il passato. Oggi siamo abituati alle popstar che cambiano aspetto tra un album e l’altro, tra un video e l’altro, tra un fotogramma e l’altro dello stesso video; nel 1981 Debbie Harry era una pioniera. Soprattutto, grazie all’influsso della scena newyorchese e della sua amicizia con Andy Warhol, Harry era perfettamente consapevole del suo essere, con i suoi abiti, i suoi capelli e la sua musica commerciale ma anche spigolosa, un manufatto pop, un prodotto di consumo. Nel 1981 Louise Veronica Ciccone non era ancora Madonna, era ai margini di quella scena in cui Harry dominava, ma era lì e osservava tutto attentamente.

Harry e il suo compagno Chris Stein avevano portato i Blondie all’apice del successo alla fine degli anni settanta. Nel 1980, il loro quinto album, Autoamerican, conteneva il fortunato singolo The rapture, il primo ibrido tra new wave e hip hop, allora una novità assoluta vissuta dal pubblico bianco come quintessenza della New York di quegli anni: sporca, pericolosa e sempre sull’orlo di una rivolta razziale. Dopo Call me, un ulteriore fortunatissimo singolo scritto e prodotto da Giorgio Moroder e legato alla colonna sonora del film American gigolo, i Blondie decidono, a sorpresa, di fermarsi. Harry e Stein conoscono H.R. Giger all’inaugurazione di una sua mostra e collaborano con lui. Ancora una volta Harry decide, come aveva già fatto e farà ancora in seguito con Warhol e poi con lo stilista Stephen Sprouse, di mettersi nelle mani di un artista per farsi plasmare una nuova immagine. E questa la porterà, proprio durante la lavorazione di KooKoo, a essere scelta dal regista canadese David Cronenberg per il ruolo di Nicki Brand in Videodrome, il film horror definito da Andy Warhol l’Arancia meccanica degli anni ottanta. “Gloria e vita alla nuova carne!” è la tragica frase di chiusura del film e una nuova carne era quello che la popstar Deborah Harry stava cercando per reincarnarsi nel nuovo decennio.

Backfired, diretto da H. R. Giger

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A una nuova carne fantascientifica e postumana corrisponde anche un nuovo suono, pure quello ibrido e innovativo. A produrre il loro disco, Debbie Harry e Chris Stein chiamano Nile Rodgers e Bernard Edwards, ovvero gli Chic, il gruppo disco di maggior successo del decennio precedente. La disco non godeva di una buona fama all’inizio degli anni ottanta. Era considerata un genere sfibrato, sovraesposto e commercialmente abusato. Solo due anni prima, nel 1979, si era tenuta a Chicago la famigerata Disco demolition night (la notte della demolizione della disco) in cui, durante l’intervallo di una partita di campionato di baseball, un’orda di tifosi (tutti bianchi) aveva fatto saltare in aria una pila di dischi e musicassette di disco music. L’episodio, fondamentalmente un atto vandalico e di odio razziale mascherato da goliardia sportiva, segna il tramonto della disco music come la si conosceva, ma segna pure la sua capacità di resistere, rinnovarsi e ibridarsi con altri tipi di musica.

Debbie Harry e Chris Stein avevano già intuito le potenzialità dell’innesto della disco con altri generi e decidono di chiamare gli Chic sull’onda del successo di un album da loro recentemente prodotto: diana di Diana Ross. Un successo non indolore: il suono di quel lavoro fu considerato troppo “disco” – quindi troppo nero – dall’etichetta discografica di Diana Ross, che desiderava per la sua vedette (nera) un successo più trasversale, così costrinse Rodgers e Edwards a remixare tutto da capo, penalizzando bassi e percussioni. Il mix originale di diana, quello voluto da Nile Rodgers, fortunatamente è stato recuperato in una ristampa del 2003 e suona molto più funky e muscolare della versione “candeggiata” venduta al pubblico nel 1980. Paradossalmente, nel 1981, Nile Rodgers e Bernard Edwards possono permettersi di essere più funky e più neri con un’artista bianca e intrisa di post punk e new wave. KooKoo di Debbie Harry diventa il laboratorio sonoro e linguistico da cui Nile Rodgers emergerà come il più importante produttore di pop degli anni ottanta con Let’s dance di David Bowie, Like a virgin di Madonna e Notorious dei Duran Duran.

Il primo singolo scelto per lanciare l’album è Backfired: un’assurda chimera, un po’ new wave (ai cori ci sono i Devo), un po’ hip hop (Harry accenna più volte al rap quando canta) e con un tempo decisamente disco-funk. Nel video ci viene svelata la nuova Debbie Harry “gigeriana”, una sorta di silfide disco uscita dall’immaginario di Alien. Harry emerge con un’aderentissima tutina di lurex da un sarcofago-vergine di Norimberga mentre una figura, lo stesso Giger con una parrucca in stile Andy Warhol, la trapassa con quattro lunghe spade. Il secondo singolo dell’album è una ballad eterea, Now I know you know, e ancora una volta H.R. Giger immagina Debbie Harry come una fata dai lunghissimi capelli neri mentre danza in un mondo simile all’antro umido e pulsante in cui Alien cova le sue malefiche uova. La canzone è puro Nile Rodgers: una lunga, virtuosistica ballata che ricorda molto At last I am free degli Chic, una canzone ricantata nel tempo da persone del tutto estranee alla disco, da Robert Wyatt a Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins.

Se Backfired e Now I know you know sono i singoli radiofonici, i pezzi dell’album considerati più appetibili dall’etichetta discografica, immaginate il resto: Under arrest è la cosa più somigliante a un pezzo dei Blondie, ma Surrender ha una linea di basso talmente funky da ricordare certi album disco di Herbie Hancock. Inner city spillover è un reggae senza nulla di tropicale, e anzi lascia un retrogusto metallico di smog nella bocca. Il pezzo di chiusura dell’album, Oasis, è il trionfo di quella tendenza all’esotismo mediorientale di tanta new wave internazionale di quel periodo, dal Franco Battiato di Arabian song ai Cure di Fire in Cairo. Il pezzo parte con un synth a imitare il suono di un flauto per lanciarsi in un intricato tappeto percussivo che intorno al minuto 2:40 sembra un’autocitazione dell’attacco di Heart of glass dei Blondie

In mezzo a tanta varietà di suoni e di soluzioni sperimentali la voce aspra e non sempre intonata di Debbie Harry fa da filo conduttore e tessuto connettivo. Del post punk rimane quell’atteggiamento di sfida e di coolness, del miglior pop anni ottanta c’è la ricerca e lo sprezzo delle convenzioni radiofoniche. KooKoo non piacque quasi a nessuno: i fan dei Blondie si sentirono traditi e per chi seguiva funk, electro e hip hop Debbie Harry era una furbona che s’impossessava di un suono non suo protetta dalla sua bianchezza e dalla fama hollywoodiana. KooKoo però è stato un esperimento importante di reinvenzione, di radicale messa in discussione di un personaggio pop. Prima di qualunque altra pop star, Debbie Harry si è resa conto che per sopravvivere alle mode bisogna avere il coraggio di distruggere quello che si era per rinascere “con una nuova carne”.

Debbie Harry
KooKoo
Chrysalis, 1981

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