04 ottobre 2023 13:09

Quest’estate è uscita la registrazione di uno degli ultimi concerti della band di rock alternativo statunitense Sonic Youth. Live in Brooklyn 2011 fotografa il gruppo sul ciglio di un precipizio. Non hanno mai suonato così bene insieme eppure quel concerto ha qualcosa di terminale: il suono è eccezionale e anche il rumore, il feedback, il caos apparente di alcune loro improvvisazioni ha una compostezza quasi neoclassica. Nel 2011 i Sonic Youth non sono solo un gruppo, sono un genere e Live in Brooklyn 2011 sembra un’antologia di tutte le innovazioni, le svisate, le impennate, le allucinazioni che dal 1982 in poi hanno caratterizzato il loro post-rock, intellettuale e sperimentale ma allo stesso tempo viscerale e urgente.

Quello show sul molo di Williamsburg, con le luci di Manhattan alle loro spalle, aveva l’aria di un addio: Kim Gordon e Thurston Moore, la coppia che era anche il cervello dei Sonic Youth, si stavano dolorosamente lasciando e nell’aria c’era l’idea che quelli sarebbero stati gli ultimi show. Nel suo memoir Girl in a band (minimum fax 2022), Kim Gordon ricorda che in quel periodo suonare e cantare dal vivo l’aiutava. Nonostante il suo matrimonio stesse andando a rotoli, lei saliva tutte le sere sul palco con l’ormai ex marito e quell’energia, quel suonare di nuovo e gridare, forse per l’ultima volta, quei pezzi l’aiutava ad andare avanti.

Nella scaletta di quel concerto, oltre a classici e a brani meno noti della loro discografia, compaiono anche due pezzi tratti da The eternal, che sarebbe stato il loro ultimo album in studio. Uscito nel 2009 per un’etichetta indipendente (dopo anni con una grande major come la Geffen), The eternal sembrava il segnale di una rinascita, di una seconda giovinezza dei Sonic Youth. Invece è un disco che prima è rimasto incagliato nello scioglimento più doloroso della storia del rock alternativo e poi è stato sepolto da un profluvio di bootleg più o meno ufficiali e più o meno postumi. Insomma, pochi hanno ascoltato The eternal con l’attenzione e l’amore che si meritava, eppure è uno dei dischi più equilibrati e più a fuoco dell’intera carriera dei Sonic Youth. Forse troppo, vista la loro vocazione al caos controllato e alla sperimentazione estrema.

Jim O’Rourke, bassista del gruppo dal 1999, si era gradualmente allontanato dalla band e al suo posto, nei concerti dal vivo, era entrato Mark Ibold dei Pavement, che si era trovato subito bene con la band. Tanto che, su invito esplicito di Kim Gordon, era entrato a tutti gli effetti nel gruppo e aveva cominciato a comporre e a suonare i pezzi nuovi, quelli che poi sarebbero diventati The eternal.

Sonic Youth, Antenna (live esclusivo per Pitchfork tv, 21 maggio 2009)

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Strano che un album di una band rodata, il quindicesimo della loro discografia, suoni così fresco ed entusiasta mentre all’orizzonte si addensano le nubi di una feroce crisi matrimoniale. Mentre lavoravano su The eternal Thurston Moore e Kim Gordon stavano ancora insieme e forse proprio in quella musica cercavano un modo di comunicare. Mi piace pensare a The eternal come all’ultimo, purtroppo fallimentare, tentativo di tenere insieme non solo la coppia ma anche la band che ha cambiato la faccia del rock alternativo statunitense.

Il rumore come pennellata
Sulla copertina dell’album, come d’abitudine dei Sonic Youth, c’è un dipinto: Sea monster (“mostro marino”) realizzato nel 1988 dal chitarrista e artista John Fahey, un vortice di colori, di rosso che si sporca col bianco e dà un’idea di movimento verso un punto di fuga al centro della composizione.

John Fahey (1939-2001) è stato un chitarrista e compositore folk molto influente, ma aveva vissuto nell’isolamento e nella povertà per la maggior parte della sua vita. Tra gli anni ottanta e novanta aveva cominciato a dipingere quadri astratti usando tempera, pennarelli, sabbia, colla: composizioni molto interessanti che bilanciavano una gestualità rabbiosa a un bisogno di equilibrio e di composizione. Esattamente come tentavano di fare i Sonic Youth con la loro musica.

I fan più maniacali hanno notato che il nome della band sulla copertina di The eternal è scritto sonic-youth (in minuscolo e con un trattino), come nei primi album Confusion is sex, Sonic death e Bad moon rising. Nella loro piena maturità, anzi vicini al disfacimento, i Sonic Youth, di nuovo sotto contratto con un’etichetta indipendente, cercavano di ricollegarsi alla seconda parte del loro nome: youth, giovinezza.

The eternal è sorprendentemente il momento di massimo equilibrio che i Sonic Youth hanno trovato tra sperimentazione e canzone pop-rock, molto più che in Goo o Dirty, i due album che li hanno resi noti al grande pubblico del cosiddetto college rock americano.

Come i Rolling Stones?
Alcune recensioni uscite a ridosso del disco sottolineavano l’eccessiva pulizia dei pezzi e la loro aderenza a una formula fin troppo collaudata. Slant magazine è arrivato a dire che The eternal rischiava di consegnare i Sonic Youth, una band definita “venerabile”, alla dimensione “da morti viventi” dei Rolling Stones.

Chi scriveva nel 2009 non poteva sapere che quello sarebbe stato l’ultimo album dei Sonic Youth e che quell’equilibrio, quell’eleganza, quello stato di grazia era in realtà l’ultimo battito di ciglia che li separava dall’abisso e un ultimo, estremo tentativo di governare il caos sonoro che era sempre stato il loro colore, la loro cifra distintiva.

Ho sempre trovato scivolosa la definizione di art-rock ma i Sonic Youth, con la loro sensibilità per le arti figurative e per le avanguardie più sperimentali, sono decisamente un gruppo art-rock e The eternal, a cominciare dalla scelta del dipinto per la copertina, è un album che usa il rumore come se fosse colore.

Nella musica dei Sonic Youth il rumore è sempre stato qualcosa di simile alla pennellata per un pittore astratto. Può essere un colpo secco, una serie di velature sovrapposte, una colata o uno schizzo. Dal colore può emergere una forma (come in certi quadri di Willem de Kooning) o solo un groviglio di segni (come nell’action painting di Jackson Pollock) o ancora una tabula rasa monocroma (come in Yves Klein). I Sonic Youth hanno sempre usato il rumore (il feedback, l’improvvisazione, l’urto tra strumenti usati come oggetti contundenti) in tutti questi modi. E in The eternal li ritroviamo tutti.

È vero, i pezzi dell’album sono tutti pezzi alla Sonic Youth, ognuno di loro incapsula un aspetto del loro stile in modo, tanto per rimanere nel linguaggio della pittura, manierista. Ci sono le fulminee impennate punk in stile Stooges (Sacred trickster), gli omaggi alla beat generation (Leaky lifeboat - for Gregory Corso), lunghe code di rumorismo psichedelico (Anti-orgasm, cantata da Kim e Thurston insieme) e la fine della bellissima Malibu gas station. E poi ci sono due canzoni capolavoro. Antenna è una trappola pop rock romantica e orecchiabile che, in perfetto stile Sonic Youth, man mano che si allontana dai tre minuti di durata va disfacendosi per poi ricomporsi sul finale. Pop è una parolaccia nel vocabolario duro e puro dell’ortodossia del rock sperimentale, ma certo non lo è per i Sonic Youth maturi. E poi c’è Massage the history, il pezzo di chiusura che, per inciso, è anche l’ultimo pezzo dell’ultimo album dei Sonic Youth. È una canzone intima ed epica allo stesso tempo: un tramonto viola, rosso e oro di una città inquinata con Kim Gordon che ci sussurra nell’orecchio: “Vieni con me dall’altra parte. Non tutti ne escono vivi. Vieni con me dall’altra parte”.

I Sonic Youth non ne sono usciti vivi. Ma la loro musica c’è ancora ed è sempre più sfolgorante.

Sonic Youth
The eternal
Matador, 2009

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