23 maggio 2019 16:08

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

In Europa la rappresentanza politica è peggio che indiretta. È guasta. Non solo non votiamo direttamente per partiti europei con programmi politici chiari, ma votando per i partiti nazionali non abbiamo alcuna garanzia che il nostro voto andrà a un gruppo parlamentare con una posizione ideologica precisa.

Questo perché il Partito popolare europeo (Ppe, conservatore), l’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&d), i Conservatori e riformisti europei, l’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa e gli altri gruppi sono solo conglomerati di interessi strategici, non formazioni ideologiche.

Dopo tutto, anche gli euroscettici e i partiti nazionalisti e populisti fanno parte delle alleanze europee teoricamente “tradizionali”. Certo, l’ungherese Fidesz è stato sospeso dal Ppe, ma l’adesione del Partito socialista bulgaro (Bsp) all’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici non è ancora stata messa in discussione.

Nuovi estremi di populismo
Il populismo nazionalista del Bsp, partito teoricamente di sinistra, ha prodotto un approccio sfacciatamente filorusso e l’esplicita bocciatura della convenzione di Istanbul per combattere la violenza domestica e contro le donne. Nonostante abbia portato il populismo a nuovi estremi, a quanto pare il Bsp non è ancora ritenuto un partito populista a livello europeo.

Nel complesso si prevede che i partiti populisti ed euroscettici d’Europa raddoppieranno il numero di parlamentari a Strasburgo, ma in ogni caso non conquisteranno più di un terzo dei seggi. In Bulgaria, a un primo sguardo, la situazione è ancora migliore. Nel 2014 i partiti esplicitamente populisti e nazionalisti hanno conquistato appena due seggi, e secondo gli attuali sondaggi i Patrioti uniti (esponenti della coalizione di governo dal 2017) e Volja (Volontà) potrebbero restare a bocca asciutta e comunque non hanno alcuna speranza di superare i tre seggi complessivi su 17 totali.

Stiamo assistendo a una subdola restaurazione delle élite locali che sono state parzialmente declassate dalla globalizzazione

Dunque, all’apparenza, la Bulgaria è un paese filoeuropeo e i suoi nazionalisti populisti non possono minacciare il futuro dell’Unione. Forse questo significa che l’avanzata elettorale dei populisti europei potrebbe spegnersi presto, insieme alle forme più aggressive di euroscetticismo? Soprattutto dopo il fiasco della Brexit, questi partiti hanno cominciato a perorare sempre più spesso la causa di “un’Europa delle nazioni”, un concetto molto in voga anche in Bulgaria (qualsiasi sia il significato di questo ossimoro politico).

Secondo Timothy Garton Ash stiamo assistendo a una controrivoluzione antiglobalista e antiliberale. Personalmente userei termini meno drastici: stiamo assistendo a una subdola restaurazione delle élite locali che sono state parzialmente declassate dalla globalizzazione. In Europa orientale queste élite coincidono con la vecchia nomenclatura comunista, i servizi segreti e la vecchia aristocrazia culturale. Per queste persone il populismo nazionalista non è un credo esistenziale, ma un’eccellente copertura per contrastare qualsiasi tentativo di ingerenza delle istituzioni europee.

Un ibrido sempre più pericoloso
Oggi l’antiliberalismo e l’attacco contro la società civile – “Ah questo Soros!” sono gli strumenti preferiti per neutralizzare la resistenza interna. Il populismo nazionalista, inoltre, è utilissimo per mettere le mani sullo stato. Attualmente, in Bulgaria, la narrativa populista è molto più evidente rispetto a cinque anni fa, anche se nessun partito dichiaratamente populista ha mai ottenuto la maggioranza.

La libertà di stampa, nel frattempo, è in crisi: nel 2018 la Bulgaria è scesa al 111º posto della classifica mondiale stilata da Reporter senza frontiere, in caduta libera rispetto all’87º posto del 2013. Nel 2017 i Patrioti uniti, populisti e nazionalisti, sono diventati partner di minoranza della coalizione di governo, mentre la retorica antidemocratica ha continuato a diffondersi in tutti i partiti, inclusi quelli considerati “generalisti”.

In Bulgaria la democrazia si sta deteriorando, anche se per il momento non è scivolata nell’autoritarismo. Un’oligarchia nello stile di Vladimir Putin o di Viktor Orbán sarebbe un modello troppo puro e difficile da applicare per le élite bulgare. Questo è anche il motivo per cui in Bulgaria le elezioni europee saranno comunque presentate come una vittoria dei partiti europeisti, anche se nel paese assistiamo a un boom degli accordi con la Russia sul gas, le centrali nucleari e altri progetti corrotti.

Oggi la Bulgaria è un’amalgama tra una democrazia di facciata filoeuropea e una latente oligarchia tipica dell’Europa orientale, un ibrido che si sforza sempre meno di camuffare la propria immagine. Il problema è che fino a quando non ci sarà una vera rappresentanza europea, questo ibrido non sarà solo possibile, ma sempre più contagioso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Ventotto giornalisti raccontano la campagna elettorale nel proprio paese in vista delle elezioni europee del 26-29 maggio 2019. La serie è realizzata in collaborazione con VoxEurop.

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