Con il lavoro, problema dei problemi, a che punto siamo? Alcuni vaticinano da tempo che non ce ne sarà proprio più, che sono in arrivo macchine intelligenti, che nascerà una società senza lavoro. Altri profetizzano che al lavoro, con il trionfo del digitale, sarà messa tutta quanta la nostra vita – cosa in effetti già in atto –, che si faticherà in ogni attimo e in ogni luogo sorvegliati dall’elettronica, che se dunque vivremo in una società dove il lavoro s’intrufolerà in ogni interstizio dell’esistenza, anche il compenso dovrà essere all’altezza. Altri ancora deducono da segni sparsi che nei settori digitalizzati e digitalizzabili il lavoro sicuramente sparirà, ma che ogni società ha sempre avuto i suoi specifici lavori e quindi ne avrà pure quella digitale, anche se non si sa quali e in quale quantità.

Questo a occhio e croce è il quadro che ci viene disegnato da trent’anni. Un dato solo però pare sicuro. Comunque la si metta, al mondo dei lavori salariati di una volta non si tornerà più, è inutile farci su programmi politico-economici e perfino etici. Certo qualcosa bisognerà inventarsi, non siamo fatti per girarci a lungo i pollici e caso mai lasciarci imporre addirittura come dobbiamo girarceli per generare profitti. Né siamo fatti per piegarci, obbedienti, a un reddituccio vanamente finalizzato alla rianimazione del pil. Chi vivrà ne vedrà delle belle.

Questo articolo è uscito il 23 novembre 2018 nel numero 1283 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero| Abbonati.

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