08 aprile 2023 09:04

Come avrete sentito, in questo quarto e ultimo capitolo della serie di film John Wick, l’équipe creativa si è data davvero da fare. E lo ha fatto a tal punto da riportarci all’atto terribile che ha scatenato l’intera furia vendicativa del protagonista: l’uccisione del cagnolino di Wick tanti anni fa. Non vi faccio nessuno spoiler se riferisco qui ciò che è stato ampiamente riportato, anche se potreste comunque considerarlo tale: e cioè che l’omicidio scioccante che si verifica all’inizio di John Wick 4, quello che vi farà sicuramente sussultare con un grande senso d’indignazione, è l’improvvisa e brutale uccisione di Charon, il personaggio interpretato dal compianto attore Lance Reddick.

Un passaggio che diventa la cornice perfetta per il catartico parossismo di violenza che verrà poi.

Il pubblico si sta riversando in massa a vedere il film. Questo, naturalmente, perché pare che si tratti dell’ultimo John Wick, almeno incarnato dall’amato attore Keanu Reeves. Da anni ormai John Wick ci fornisce, a intervalli affidabili, quelle esperienze che ci vengono negate nella vita: rispetto, giustizia sommaria, un modo più intenso e significativo di comportarsi in un mondo sanguinoso e spaventoso e, soprattutto, una vendetta deliziosamente violenta contro tutti quei potenti da incubo che non ci lasciano vivere tranquillamente con il nostro cane.

Brutale impoverimento
La logica del mondo di John Wick è facile da riconoscere, poiché in esso “loro” – le persone ricche, onnipotenti ma invisibili che governano le nostre vite – sono sempre impegnate a portarci via quel poco che ci resta. Se un cane è tutto ciò che rimane a una famiglia un tempo vivace e completa, lo uccidono. Se abbiamo solo pochi amici, li cancellano. Se abbiamo trovato un posto sicuro dove stare da qualche parte nel mondo, lo fanno saltare in aria. Questo è quanto accade nei film di John Wick, e lo riconosciamo come una versione altamente drammatizzata del brutale impoverimento che stanno subendo le nostre vite. Se ancora non ci hanno portato via tutto, danno la caccia a tutto quel poco di valore che ancora abbiamo. Posti di lavoro stabili? Pensioni? Assistenza sanitaria? Assistenza sociale? Abitazioni decenti a prezzi accessibili? Una comunità vitale? Anche se, per una qualche incredibile fortuna, avete una di queste cose, pensate che vi permetteranno di tenerne qualcuna? Per quanto tempo?

Il marchese è un aristocratico francese viziato, con la faccia da bambino e vestiti di raso, assolutamente detestabile

L’inventiva illimitata di John Wick 4 non sarà mai abbastanza lodata. Si sprigiona come un sogno febbrile. Anche i colori. Le prime scene, ambientate nell’InterContinental Hotel Osaka, uno dei numerosi Continental Hotel nel mondo dove gli assassini si riuniscono per rilassarsi, riorganizzarsi e prepararsi alla prossima sanguinosa impresa, sono caratterizzate da colori così intensi ed espressionistici che i volti diventano maschere sgargianti di colore verde acido o rosso fuoco. Questi estremi sono necessari per dare forma drammatica al pericolo e alla rabbia che assalgono gli amici e gli alleati che restano a John Wick. Un tentativo di anninetare Wick ha infatti già portato alla distruzione del Continental di New York, un fatto che ha obbligato Winston (Ian McShane) e il portiere dell’albergo Charon (Reddick) a presentarsi dal nuovo capo della High Table (il gruppo di criminali che gestisce segretamente la malavita), il marchese Vincent de Gramont (Bill Skarsgård), per avere chiarimenti su questa nuova folle vendetta. Con conseguenze fatali.

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Il marchese è un aristocratico francese viziato, con la faccia da bambino e vestiti di raso, assolutamente detestabile, la cui missione è distruggere ogni residua solidarietà intorno a John Wick, annientando ogni singolo luogo in cui Wick è ancora ben accetto, e tutti coloro che lo considerano un amico. Per ottenere quest’obiettivo, ha ricattato un vecchio amico di Wick, l’assassino cieco della High Table, Caine, interpretato dalla leggenda delle arti marziali Donnie Yen, minacciandone di morte la figlia. Yen, protagonista della serie di grande successo Ip Man, ha ormai sessant’anni e la sua struttura esile e il suo viso poco affascinante e dal mento minuto trasmettono l’impressione sbagliata di una vulnerabilità da uomo comune. Questo finché non cominciano i combattimenti, e la sua maestria fulminea lo rende un personaggio straordinario. Yen è a sua volta un regista, oltre che un attore molto amato, e ha avuto molta voce in capitolo nella costruzione del suo personaggio. La sua interpretazione è così ironica da risultare amabile anche quando cerca di uccidere John Wick.

Elaborato e formale duello
I combattimenti sotto costrizione tra amici, che in realtà non vogliono farsi del male a vicenda, diventano progressivamente più angoscianti nel corso del film, perché il pubblico non vuol vedere morire nessuno dei due combattenti. All’Osaka Continental il fedele amico di Wick e direttore dell’albergo, Shimazu Koji (Hiroyuki Sanada), gli offre un rifugio temporaneo, trovandosi di conseguenza in situazione di massimo pericolo, così come sua figlia Akira (Rina Sawayama), che lavora come portiera dell’albergo. L’inevitabile combattimento con la spada tra Koji e Caine, che in realtà lottano entrambi per difendere le loro figlie, è pieno della struggente determinazione dei vecchi film di samurai.

Alla fine questo scontro tra amici culmina in un elaborato e formale duello alla pistola da vecchio continente tra John Wick e Caine, in cui i due devono spararsi a trenta passi di distanza. Poi, se nessuno dei due muore, avanzano di dieci passi e sparano di nuovo, finché non si trovano in posizione di spararsi a bruciapelo. Il piano di Wick prevedeva che lui e il marchese combattessero il duello per risolvere la questione senza ulteriori violenze su amici e passanti. Ma le “regole”, a cui la burocrazia dell’High Table obbedisce pedissequamente, consentono al delfino del duellante di combattere al suo posto. E così Caine viene incaricato di uccidere Wick alla vecchia maniera.

Non vi svelerò come ne escono, ma la soluzione è davvero sorprendente

Se si fosse trattato di spade Caine, lo spadaccino cieco, avrebbe potuto avere la meglio, ma le pistole rendono le sue possibilità di morire fastidiosamente alte. L’assurdità e la tensione sono così grandi che Caine cerca di spezzarle in anticipo con un eccesso di sorridente disinvoltura, dicendo: “Facciamola finita”. Ma nessuno dei due, a quanto pare, può sopportare di uccidere l’altro, così le ferite sui loro corpi si accumulano mano a mano che i due si avvicinano.

Non vi svelerò come ne escono, ma la soluzione è davvero sorprendente, credetemi. È stato così eccitante e inventivo che un ragazzo in sala ha gridato “woo-hoo!” quando è successo, aggiungendo poi, imbarazzato, “scusate” per la sua esclamazione spontanea.

Naturalmente, se tutte le scene d’azione fossero così intensamente significative, non sarebbe un film di John Wick. Il film presenta infatti diverse scene memorabili con attacchi di gruppo a Wick da parte di gruppi più ordinari di sicari o di imbecilli opportunisti che cercano di riscuotere la taglia sempre più enorme sulla testa di Wick. Il fatto che John Wick debba uccidere decine di aspiranti assassini è un tratto distintivo della serie e, come sempre, alcune di queste scene sono all’insegna dell’umorismo. Verso la fine, quando John Wick è sopravvissuto all’assalto dell’Arco di trionfo di Parigi e ha raggiunto, ammaccato e malconcio, gli scalini – duecentodue – che portano alla basilica del Sacro cuore dove si svolgerà il duello, ha circa cinque minuti per arrivare in tempo. Non farcela significherebbe che sarà immediatamente condannato all’esecuzione e che sarà in fuga per sempre.

Tuttavia esita un attimo, come un normale essere umano, temendo la salita vista la stanchezza accumulata. Poi dall’ombra emergono almeno un’altra dozzina di assalitori, che si ergono minacciosi a intervalli regolari lungo tutta la scalinata. E già solo salire a piedi, senza dover lottare con altri idioti, sarebbe stato abbastanza difficile.

Un po’ di ambiguità
È una scena piuttosto divertente, e rientra nella visione del mondo disillusa e stanca di John Wick 4. Così come la parte in cui è quasi in cima, gli mancano solo due minuti di salita, ma poi viene buttato giù per un centinaio di scalini. Il quasi impossibile è sempre reso totalmente impossibile nei film di John Wick, e in qualche modo lui riesce comunque a farcela. Il che suggerisce, di per sé, una fine necessaria per questa serie cinematografica, che ha mantenuto un livello di qualità sorprendentemente alto in quattro film: John Wick deve rimanere mortale, e questo significa che deve sopraggiungere in lui una certa stanchezza. Si suppone che sia stato Keanu Reeves a dire per primo ciò che gli altri non osavano pensare, ovvero – altro spoiler! – “dobbiamo uccidere John Wick”.

John Wick 4 era già un film molto orientato verso la morte, anche prima della scioccante scomparsa di Reddick, l’amato attore che interpretava Charon. La morte aleggia in molte scene, come quella in cui John Wick e Caine hanno un incontro chiarificatore in una chiesa illuminata da un centinaio di candele, una scena chiaramente ispirata ai film di Hong Kong di John Woo, con i suoi uomini malinconici e rancorosi che si ritrovano in amorevole comunione, prima di ammazzarsi a vicenda. Woo è stato un grandissimo regista di film d’azione lirici, pieni di melodramma tragico e di morte e d’immagini dai colori espressionistici.

Wick accende una candela per la moglie defunta e le rivolge alcune parole mentre Caine lo osserva da un banco davanti.

Caine: “Pensi davvero che possa sentirti?”.

John Wick: “No”.

Caine: “E allora perché farlo?”.

John Wick: “Forse mi sbaglio”.

In un’altra scena, John Wick dice a Winston cosa vuole che sia scritto sulla sua lapide: “Marito amorevole”.

Sebbene il regista, Chad Stahelski, abbia lasciato un po’ di ambiguità, quanto basta per resuscitare John Wick per un quinto film, sembra proprio che Wick sia arrivato al capolinea. Il fatto che la sua crociata per eliminare uno a uno i membri dell’High Table si sia conclusa con un tale pathos, con i suoi amici che gli dicono che ci sarà sempre un altro ricco criminale bastardo con la faccia da furbetto a prendere il posto del morto, sembra un riferimento discreto al mondo di oggi.
Alla fine del film John Wick è un uomo in ritirata, rimproverato perfino dai suoi amici per aver osato sfidare l’onnipotente High Table, una cosa servita solo a far morire altre persone. “Non hai imparato nulla?”, gli chiede Winston, desideroso di capire. E sembra che tutto ciò che Wick ha imparato sia riassunto nella sua ultima richiesta a Winston: “Mi porteresti a casa?”.

Una frase pronunciata da un assassino che non ha una casa in senso ordinario. Non ce l’ha da quando il cucciolo che la moglie gli aveva fatto avere dopo essere morta è stato ucciso dall’inquietante figlio di un gangster, nel primo John Wick. La cosa più vicina a casa è, a quanto pare, la tomba accanto a quella della moglie.

È quindi un finale disperato per una corsa esaltante. Ma va bene così. Conserva, se così posso dire, una certa credibilità.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sulla rivista statunitense Jacobin.

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