26 giugno 2012 15:14

Con il suo consueto atteggiamento pacifico, il Dalai Lama non ha reagito alla decisione del comune di Milano di sacrificarlo sull’altare dell’Expo 2015.

Sotto le pressioni delle autorità cinesi, il sindaco Giuliano Pisapia e le forze politiche locali hanno rinunciato a conferirgli la cittadinanza onoraria per non creare “inimicizie” con Pechino. A Palazzo Marino hanno fatto capire che magari ci sarà in seguito, dopo l’Expo, una forma di cerimonia di riparazione: un aperitivo in cantina al posto di un brindisi nel salone d’onore.

Il ragionamento è stato limpido: in un periodo di crisi, non si può urtare la sensibilità del gigante economico asiatico e mettere in gioco il successo di una manifestazione che dovrebbe portare migliaia di posti di lavoro. Di fronte al solito dilemma - princìpi o realpolitik - Giuliano Pisapia ha scelto, probabilmente con rammarico, il suo ruolo di buon amministratore locale. Ma ha indebolito la sua figura morale.

Forse può pensare che le proteste etiche hanno vita breve. Malgrado i proclami in difesa di Julia Timošenko, l’Ucraina di Viktor Janukovič (pure molto meno potente della Cina) ha potuto svolgere finora senza problemi i suoi Europei di calcio. Come anche i giochi olimpici di Pechino, nel 2008, che sono stati un grande successo sportivo, mediatico e politico per la repubblica popolare. Eppure non c’è bisogno di scomodare la storia e la fallimentare politica di

apeasement di Daladier e Chamberlain nei confronti della Germania nazista, per sottolineare che i calcoli a breve termine e i cedimenti sui valori sono disastrosi sotto tutti i punti di vista.

Certo, la mancata cittadinanza onoraria di Milano non è paragonabile alla conferenza di Monaco del 1938. Ma la vicenda del Dalai Lama rivela ancora una volta le debolezze delle nostre democrazie e delle nostre società civili, incapaci di strutturare una risposta forte, morale e pacifica per fare da contrappeso alle scelte di ordine economico e politico.

È giusto che gli atleti abbiano la possibilità di andare a gareggiare nei paesi non democratici. Come hanno la libertà di esprimere gesti di dissenso sul posto o addirittura di non volerci andare, come Johan Cruijff che non volle giocare nell’Argentina della dittatura. È anche ragionevole che, fino un certo punto, le imprese abbiano contatti di natura commerciale con questi paesi. Ma ogni cittadino ha anche la possibilità, per non dire la responsabilità, di fare sentire la sua voce. E questo attraverso azioni piccole ma visibili.

Per ipotesi, se il sindaco Pisapia avesse dovuto scegliere tra confermare la cittadinanza onoraria al Dalai Lama o assistere alla diserzione dell’Expo da parte di migliaia di cittadini indignati, forse avrebbe riconsiderato la sua decisione. Forse gli sarebbe stato anche di aiuto per respingere le pressioni cinesi. L’espressione della vita democratica non avviene solo attraverso la partecipazione al voto. Ma anche con l’affermazione di una società civile che a tutti i livelli, anche quelli più semplici, mostra la sua non indifferenza.

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