11 maggio 2016 17:31

Ma sono davvero ancora necessari i film di Woody Allen? Il rito e la complicità cinéphile gli valgono una grande indulgenza. Tuttavia perché essere obbligati ad annoiarsi di fronte a un catalogo d’immagini e situazioni d’epoca eleganti, scintillanti, ma che finiscono per riprodurre all’interno del film proprio quanto il film denuncia, con la forma che si rivela speculare ai contenuti che denuncia? Non farebbe meglio a realizzare un film solo quando ha qualcosa di forte da proporre?

Dispiace dire questo di Allen, sia chiaro, ma le sue ultime opere sono una sfilata di ideuzze tenui, quasi insapori. Café society, il film di apertura della 69a edizione del Festival di Cannes, può richiamare per tematiche e ambientazioni film ben più riusciti di Allen, con accentuazioni diverse a seconda dei casi, da Radio days a Pallottole su Broadway, passando per La rosa purpurea del Cairo.

Café society

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Certo, la sua leggerezza (a tratti) continua a colpire, ma è più spesso sinonimo di vacuità e di assenza di tensione. Allen impiega troppo tempo per dirci qualcosa d’interessante e quando poi accade la rivelazione non avviene. Al posto di Broadway abbiamo Hollywood, le sue ville senza tramonti e le serate di gala aeree e scintillanti. Ma è come tutto stanco, senza fiato. Non si ride molto nelle due storie(lle) parallele proposte da Woody. Quella dell’umile famiglia ebraica da cui provengono il timido e impacciato Bobby (Jesse Eisenberg) e suo fratello Ben, un gangster, e quella del loro zio diventato un potente agente di spettacolo che s’innamora della sua segretaria Veronica (Kristen Stewart), di cui è innamorato anche Bobby.

Lei sembra ricambiare i sentimenti di Bobby, ma la sicurezza la attrae di più. Si rivedranno anni dopo, quando è ormai Bobby il proprietario e il gestore del night più “in” di New York, succeduto al fratello, arrestato e mandato sulla sedia elettrica. Resteranno i rimpianti. E i ricordi, che qui equivalgono ai primi. Pare di avvertire un languore, qualcosa d’irrisolto a livello personale in questo film di rimpianti dai toni spesso intimi, in cui Allen compare solo come voce narrante, fuori campo. Così come sembra irrisolto tutto il film. E questo, non c’è dubbio, lascia un po’ di amaro in bocca.

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