[The Immigrant][1] di James Gray - distribuzione italiana: Bim
James Gray
The Immigrant,
Concorso, Usa 117’
James Gray prima o poi doveva farlo. Lo ha fatto. Dopo aver girato quattro lungometraggi ambientati negli stessi anni in cui era girato, tra cui il capolavoro Two Lovers, ma dal sapore sempre atemporale e con qualcosa di piacevolmente vetusto, se non antico, compie davvero questa volta un salto temporale e s’immerge per la prima volta nel mondo passato. Sepolto, perduto. Quanto tempo è trascorso dal 1994, quando, a soli 24 anni, realizzò il suo primo film, Little Odessa, bella sorpresa del festival di Venezia in quell’anno.
Little Odessa (1994)
Di origini ebreo russe, James Gray è impregnato di cultura russa e della sua letteratura. In questo film diviene un evidenza con una rappresentazione della purezza femminea degna d’un altro tempo, di un altro cinema, di un altro mondo. La bellissima Ewa giunge assieme a sua sorella Magda nel nuovo mondo e subito, appena superata la Statua della Libertà, gli si para dinanzi a Ellis Island – a quanto pare per la prima volta un regista ha girato davvero là e non in un set con scenari artificiali – la violenza di autorità corrotte (Hermann Melville sarà a lungo l’unico ispettore delle dogane non corrotto del porto di New York): sua sorella gli viene sottratta, per la tubercolosi, e lei stessa viene sottratta a sé stessa, dopo la violenza sessuale subita sulla nave. Mentendogli, le autorità prima gli negano la presenza dei parenti, poi, facendo divenire la violenza sessuale prostituzione volontaria, la consegnano ad uno pseudo-impresario di spettacoli “sconci”, in realtà un protettore che obbliga alla prostituzione le sue ballerine. Lei e la sorella, donne dalla libertà perduta. Perdute.
The Yards (2000)
Si può infatti pensare non solo a Dostoevskij ma anche allo scrittore ebreo premio Nobel Isaac Singer, e a una sua novella, Perduta, ma con i gangster al posto dei folletti maligni. Stesso sapore di purezza infranta del vecchio mondo. Del resto la mafia russa (all’epoca era fortissima: fu anche all’origine dell’avvento dei comics books, contrapponendosi alla potente industria del fumetto per la stampa quotidiana e lanciando ad esempio personaggi come Superman) è elemento ricorrente nel suo cinema. Da qui viene l’altro personaggio, il personaggio sporco contrapposto a questa pulizia immacolata che progressivamente tutto e tutti cercano di sporcare. Joaquin Phoenix, di ritorno sul set di un film di Gray dopo Two Lovers, è il protettore attratto da questa purezza, che la obbligherà a sporcarsi sotto più di un aspetto e al tempo stesso colui che cercherà di salvarla. Ma sporcandola ancora.
Two Lovers (2008)
Cercando di fargli credere di non averla mai amata. Un atto d’amore estremo, suicida, e alla rovescia. Distruttore o autodistruttivo? Prototipo di personaggio ambivalente quello di Bruno-Phoenix, peraltro ottimo ma sempre uguale a sé stesso nel lavoro interpretativo, che riuscirà a suscitare ambivalenza in Ewa, interpretata da una Marion Cotillard molto più che ottima poiché riesce a far dimenticare di essere Marion Cotillard (la ricordate in Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard?). Ewa si accorge di essere attratta da Bruno, l’uomo oscuro. In qualche modo, l’uno e l’altro finiscono per essere il rovescio dell’altro, anche se in piccola parte. Il finale è ovviamente tragico quanto espressione di un esile speranza. Di una finestra o porta stretta. Esigua. Tutto il film è un continuo susseguirsi di intarsi di questo tipo che annunciano lo splendido quanto terribile finale. Non abbiamo sequenze veramente adatte in questo senso da mostrarvi, ma qui sotto potete vedere, se avete pazienza, una breve sequenza dal bel film africano Grisgris, dove il ballerino handicappato Grisgris e una prostituta sono sinceramente innamorati: si filma dall’interno l’esterno, e le porte oscure – il nero – incorniciano un esterno fatto di muri con altre porte. Una luce che portatrice di aperture, di speranza, non è.
[Grisgris][2] di Mahamat-Saleh Haroun
A questo punto, vogliamo citare un estratto dalla breve recensione apparsa su Les Inrockuptibles, a firma di Jean-Baptiste Morain. A nostro avviso la migliore tra quelle lette nei resoconti da Cannes. Non lo si fa mai di solito, ma per una volta lo facciamo. Morain scrive che Bruno “è convinto che l’unica maniera di sopravvivere in questo nuovo mondo è di piegarsi alle leggi del crimine, perché, come tra i grandi scrittori russi, la luce non può che giungere dalla sofferenza”. E infatti l’ambivalenza di cui parlavamo è la bilancia che meglio sorregge e contiene male e bene, sofferenza e rinascita, luce e oscurità. Ma Morain aggiunge che proprio quando il film può cominciare a sembrare allo spettatore un poco ovvio (in effetti la prima parte è un po’ scontata e con meno scene ispirate rispetto alla seconda), Gray “gli assesta un colpo di clava: ‘Se tu bevessi dal mio cuore, vedresti che è pieno di veleno’ *– chiedo scusa, traduco dal francese a sua volta tradotto dall’inglese –, *dice Bruno a Ewa in una scena assolutamente dilaniante. Elettrochoc: la frase prosciuga improvvisamente le lacrime sul viso di Ewa, incessanti fin dall’inizio, facendo entrare la giovane donna in un altra dimensione. Come se lo scopo ultimo di James Gray fosse in fondo questo: far passare la sua attrice e il suo personaggio dal sentimentalismo alla coscienza storica, dalla piagnucoleria all’intelligenza. L’ultima inquadratura, magistrale falso split-screen*, ci conferma quest’idea: il melodramma di Gray non potrebbe essere più contemporaneo di così*”.
I padroni della notte (2007)
Torniamo a quanto detto all’inizio. Alla dimensione atemporale ma con qualcosa del sapore del passato e innestata sul mondo di oggi. Qui ha fatto il contrario. Anche in questo film ha dunque realizzato qualcosa d’inedito e sperimentale dietro un apparenza classica, facendo insomma la stessa cosa ma alla rovescia.
Anzi: esattamente la stessa cosa fatto salvo che è esattamente il contrario, direbbero i Dupondt, surreali poliziotti gemelli dei fumetti di Tintin.
Due mondi in uno. L’ambivalenza.
James Gray dal pressbook: “Ho letto numerosi libri e consultato molti archivi fotografici così come quelli della mia famiglia. Quando avevo visitato Ellis Island con mio nonno, era una visita guidata, e una delle presenti era in lacrime. Non parlava davvero inglese, ma mio nonno aveva discusso con lei, e scoperto che sua sorella e lei erano state separate a Ellis Island…mi ero detto che questo sarebbe stato un buon punto di partenza per la sceneggiatura”.
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