19 marzo 2020 15:51

Snowden
Di Oliver Stone. Con Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley e Melissa Leo. Stati Uniti, Germania, 2016, 134’. In streaming su RaiPlay

La biografia personale di Edward Snowden – informatico di punta dell’intelligence statunitense poi diventato quasi un dissidente – è in fondo quella di una persona come noi che non esce più dall’opprimente sistema in cui è entrato nemmeno rinnegandolo. Il film è sempre all’interno – del sistema, della camera d’hotel, dell’appartamento con la sua ragazza –, mai all’esterno.

Nella sua battaglia – così come ce la fa vedere Oliver Stone – per renderci coscienti del gigantesco groviglio di un apparato mondiale di sorveglianza che si vuole impunito, Snowden è oppresso come noi, più di noi. E Stone nel rappresentare questo moderno sistema orwelliano – 1984 di George Orwell è esplicitamente citato – trova forse il suo momento più forte, paradigmatico, in una lunga sequenza tutta in crescendo che inizia intorno al 53° minuto e raggiunge il suo punto culminante intorno al 57°, quando i database in mano all’informatico – cioè le nostre vite private – diventano linee fosforescenti e quasi psichedeliche, astratte. In altre parole, si mutano paradossalmente in qualcosa di grandioso, malgrado siano espressione di un glaciale progetto di dominazione. Dopotutto, in questo periodo, oltre che virtualmente controllati, siamo in qualche modo quasi tutti prigionieri tra quattro mura, proprio come Snowden.

Lo streaming consente di guardare e riguardare alcune sequenze di un film in modo particolarmente comodo. E Snowden è denso di informazioni. Stone ibrida in qualche modo la nobile tradizione del film politico con un certo tipo di cinema che, su temi gravi, sembra meno nobile, forse anche un po’ stupido, come Wargames. Giochi di guerra, il film del 1983 di John Badham. Anche in questo il film di Stone è sperimentale, oltre a lavorare su registri filmici eterogenei, come è sua tradizione da molto tempo. In effetti nel cinema del passato si sperimentava molto di più, anche in quello d’intrattenimento.

Lo abbiamo evidenziato, per esempio, nella recensione di La la land di Damian Chazelle, confrontandolo ai musical del passato, tra cui quelli con le coreografie di Busby Berkeley, molto belli anche perché Berkeley guardava alle avanguardie. Il cinema di serie b, compreso quello italiano, sperimentava anch’esso di più, oppure era più folle, malgrado fosse abbastanza povero di mezzi. Anche se i produttori non mancavano di rovinare le potenzialità di un film, il marketing comunque c’era poco o per nulla. Mescolare riferimenti ai grandi – come Kubrick –, ai medio-grandi, ai piccoli e agli sconosciuti: Quentin Tarantino ne ha fatto la matrice ideologica del suo cinema.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

La mala ordina
La bestia uccide a sangue freddo
Di Fernando Di Leo. In streaming su The film club.

Questa follia o sperimentazione è ben ravvisabile nei film di Fernando Di Leo, fortemente amati e citati da Tarantino. Ritratti di società anarcoidi e grezzi sono La bestia uccide a sangue freddo, film su commissione ardito ma diseguale con Klaus Kinski, dove si ibrida giallo, erotismo e pulp; e soprattutto La mala ordina (1972), secondo lungometraggio, feroce ma geniale, della trilogia milanese del regista. Ispirato a un racconto di Giorgio Scerbanenco (come altri film di Di Leo), vede tra gli interpreti, oltre al notevole Mario Adorf nella parte principale, anche attori legati al cinema di Rainer Fassbinder e, non accreditato, Renato Zero che interpreta una sorta di hippy.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

La notte dei morti viventi
di George Romero. Con Duane Jones, Judith O’Dea, Karl Hardman. Stati Uniti, 1968, 96’. In streaming su The film club.

Metafora potente, potremmo dire indimenticabile, della società consumistica americana bianca e delle sue ossessioni, che lavora su un bianco e nero dall’estetica a metà tra il documentario e visioni allucinate e ipnotiche, è il celebre La notte dei morti viventi, film underground realizzato nel fatidico 1968 da George Romero, e che apre la strada alla lunga serie di zombie cinematografici, di Romero e di tanti altri. Un percorso che arriva forse a compimento quasi vent’anni dopo con Scream (1997) di Wes Craven – regista che proviene dal documentario – horror non di zombie ma dove il gusto compulsivo per quel cinema sembra aver creato degli adolescenti –apparentemente perfetti come in una pubblicità – mostruosi, anaffettivi e dove non vibra più nulla di umano. Zombie non molto dissimili da quelli di Romero, privati di intelligenza rispetto ai terribili succhiatori di sangue del romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda, che ispirò a Romero il suo film.

Rivedere il film di Romero con il senno di poi ci fa capire, tra le altre cose, fino a che punto è arrivato il consumismo capitalista, fino a che punto la società si autodivora. E ovviamente ci rimanda all’attuale situazione, perché in quel film paranoico si raccomanda di non uscire all’aperto se si vuole sfuggire ai letali zombie.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Eraserhead
di David Lynch. Con Jack Nance, Charlotte Stewart, Allen Joseph. Stati Uniti, 1977, 89’. In streaming su The film club.

Sperimentazione massima, cult underground, grande intensità ed espressività, sensazioni stranianti e angoscia proveniente dal profondo dell’inconscio umano. Tutto questo lo troviamo in Eraserhead, film d’esordio in bianco e nero di David Lynch. Come il regista riesca a creare tutto questo con effetti minimi, è ancor oggi in parte misterioso. Ma in questo mondo chiuso, senza affetto, allucinato se non psicotico, dove la mutazione dalla normalità crea repulsione, dietro al microcosmo familiare si nasconde una potente lettura della società umana e della natura umana tout-court, che Lynch proseguirà lungo tutta la sua filmografia, a cominciare dal successivo Elephant Man.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it