05 febbraio 2016 17:43

Cuba succursale del Vaticano, o nuova sede diplomatica del papa. Le relazioni speciali che si sono stabilite tra il papa argentino e l’isola caraibica – compresa un’intesa personale particolarmente positiva tra Jorge Mario Bergoglio e Raúl Castro – fanno da sfondo a un evento che non ha precedenti dal punto di vista del cristianesimo: l’incontro tra papa Francesco e il patriarca ortodosso Kirill. Roma e Mosca, l’oriente e l’occidente.

I due maggiori leader cristiani del mondo non si sono mai incontrati. Succederà per la prima volta il 12 febbraio a Cuba, durante una visita del patriarca moscovita nell’isola caraibica. Francesco, nella stessa giornata, partirà da Roma diretto in Messico, ma lungo la strada ci sarà l’inaspettata sosta ecumenica cubana. Come già avvenne nel settembre scorso, quando prima di raggiungere gli Stati Uniti il papa fece tappa all’Avana, di nuovo in rotta verso il continente americano Bergoglio si fermerà a Cuba, snodo sempre più strategico per la diplomazia vaticana.

All’aeroporto saluterà Kirill – coronamento di un lungo lavorìo diplomatico – e si tratterrà con lui per circa due ore. Alla fine firmeranno un documento comune nel quale, c’è da crederlo, toccheranno tante questioni: dalla crisi ucraina, al tema dei cristiani perseguitati in Medio Oriente, dalla difesa dell’ambiente alla pace, al dialogo fra i popoli, le religioni, le nazioni.

Ma più dei testi questa volta a pesare è l’evento in sé. Non c’è dubbio infatti che Francesco è arrivato a questo appuntamento storico in tempi relativamente brevi: sono stati infatti sufficienti i primi tre anni di pontificato, anche se decisiva è stata poi la messa a punto di una strategia originale. Se è vero, d’altro canto, che già i pontefici precedenti avevano cercato una strada verso Mosca, emerge pure come Bergoglio per raggiungere l’obiettivo abbia rovesciato i termini della questione cambiando prima il terreno di gioco e poi lavorando all’incontro.

Bergoglio si è affermato come il papa il cui scopo è quello di unire le chiese

Francesco, insomma, ha in primo luogo liberato la Santa Sede dallo schema della guerra fredda: la chiesa di Roma non è più, con lui, chiesa solo d’occidente, ma al limite è la chiesa del sud del mondo; degli scartati, certo, e anche di un nuovo ordine mondiale ancora incerto, in cui agli equilibri del terrore atomico delle due superpotenze si sostituisce il multilateralismo e il multipolarismo.

Sul piano ecclesiale, inoltre, Bergoglio si è affermato come il papa il cui scopo è quello di unire le varie chiese – al di là delle differenze che permangono – facendo leva sui punti in comune e riducendo il più possibile il ruolo del papato inteso come modello di assolutismo politico e teologico. In tale ambito, pure, va considerata la nuova funzione assunta dal sinodo nella chiesa cattolica: non più organismo consultivo e sostanzialmente privo di poteri, ma centro del confronto dal quale scaturiscono in modo collegiale le decisioni. In tal modo la chiesa cattolica prova ad allinearsi alle altre chiese cristiane.

Vista in una prospettiva globale, la strategia di papa Francesco assume contorni sempre più definiti: il pontefice, infatti, nei giorni scorsi ha annunciato che prenderà parte, in Svezia, alla commemorazione per i 500 anni della Riforma di Lutero, quindi ha visto il presidente iraniano Rohani e ha aperto una linea di dialogo con la Cina che potrebbe portare in tempi forse non troppo lontani all’apertura di relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e Pechino. Quindi la Russia è parte di un mondo più ampio, non ci sono esclusivismi. Francesco ha rotto lo schema della contrapposizione Washington-Mosca, ha dialogato con i leader di entrambi i paesi, e ora allarga il campo; senza contare la sua America Latina, da Cuba alla Bolivia al Messico, ricollocata al centro della scena.

Nel mondo diventato più grande e più piccolo nel medesimo tempo, Bergoglio ha lanciato un messaggio al patriarcato di Mosca: il dialogo è possibile, chi si rifiuta di accettarlo rischia l’isolamento nella sfera religiosa come in quella politica.

Per conquistare la fiducia degli ortodossi, il papa ha operato con prudenza nella crisi ucraina

Tuttavia per conquistarsi la fiducia degli ortodossi, il papa ha operato con prudenza in una delle crisi più drammatiche e sanguinose che attraversano il mondo, quella ucraina. La divisione del paese ha messo di fronte anche gli opposti nazionalismi cristiani, quello del patriarca Kirill, e quello dei greco-cattolici fedeli a Roma. La Santa Sede non ha assunto mai in modo integralista la difesa dei “suoi”, piuttosto ha chiesto a tutti, Putin compreso, il rispetto degli accordi di pace non facendo però alcuna distinzione tra le vittime.

Le storiche tensioni tra cattolici e ortodossi che avevano come terreno privilegiato di scontro proprio l’Ucraina, si sono così sciolte nel momento forse più difficile. E ora è arrivato il momento del dialogo. Certo, non mancano le differenze. Se infatti Roma e Mosca, per esempio, condividono l’allarme per le persecuzioni cui sono sottoposte le comunità cristiane in Medio Oriente, il Vaticano guarda anche a un futuro in cui la presenza dei cristiani nella regione non sia più sottoposta al potente di turno. Al contrario bisognerà lavorare – e questo dovranno fare i cristiani in prima persona, secondo il segretario di stato Pietro Parolin – per l’affermazione dei princìpi di cittadinanza in ragione dei quali ogni persona, indipendentemente dalla sua fede o appartenenza etnica, gode di eguali diritti.

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