01 gennaio 2013 14:00

**Jérôme Ferrari,* Il sermone sulla caduta di Roma***

e/o, 178 pagine, 17 euro

Ferrari (classe 1968) si è fatto conoscere con un romanzo di forte eco che trattava lo scottante argomento della guerra d’Algeria, Dove ho lasciato l’anima, e ha vinto il premio Goncourt con questo Sermone agostiniano ancor più ambizioso. In esso l’autore affronta una storia familiare, quasi una saga su tre generazioni franco-corse, tra la grande guerra e il nostro presente. Ma mentre nelle saghe si tratta in genere di persone fuori del normale qui siamo di fronte a un clan familiare fatto di persone assolutamente comuni, fondatori non di imperi ma di bar per turisti nella scontrosa isola mediterranea.

Normalmente intellettualizzati dalla scolarizzazione universitaria, irrequieti e insoddisfatti viaggiatori verso Parigi o le coste africane del Mediterraneo, nelle zone, appunto, dove Agostino predicò e morì, è attorno a nonni figli nipoti – in particolare i maschi, eredi di una società patriarcale in declino – che si snodano vicende banali, dietro le quali il narratore evidenzia riflessioni più generali e filosofiche sul destino di una civiltà al suo finire (come Roma al tempo di Agostino). Sono quest’ambizione e quest’intreccio ad aver convinto i giurati del Goncourt. Ferrari ha toccato i tasti giusti della inquieta sensibilità dei nostri anni, quotidianità e grandi problemi. Lo fanno in tanti, meglio o peggio, ed è anche questo un genere letterario.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it