13 settembre 2017 16:08

Gentile bibliopatologo,
sono mamma da cinque mesi, e non vedo l’ora di leggere a un cucciolo d’uomo tutti i miei libri preferiti. Il problema è che sono in trepidazione e non so se sarò in grado di aspettare “l’età giusta” per fargli conoscere il signor K. o Gregor Samsa. Sono già una madre tiranna? Venti minuti di lettura gli costeranno vent’anni di terapia? Kafka è una pappa pericolosa? Mi spetterà una Lettera alla madre?
–Serena

Cara Serena,
hai mai sentito parlare di ruminatio? Tutto cominciò con il profeta Ezechiele, che un giorno ricevette una chiamata soprannaturale: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele”. Il legame metaforico tra lettura e nutrimento era destinato a una grande fortuna nella tradizione monastica. Il più antico commentatore della Regola benedettina, Smaragdo di Saint-Mihiel, dice che “qualsiasi cosa si trovi nella sacra Scrittura deve essere mangiato”. Guigo II il certosino ribadisce che “la lettura apporta alla bocca un cibo solido, la meditazione lo mastica e lo tritura”. Ancora oggi, se ti capita di pranzare nel refettorio di un monastero, vedrai una schiera di teste chine sui piatti mentre uno dei monaci legge ad alta voce per tutti. Ruminano il cibo e le Scritture.

Il problema, cara Serena, è che il profeta Ezechiele aveva i denti. Forse non acuminati e minacciosi come l’omonimo lupo della Disney, ma quel tanto che basta per masticare un rotolo di papiro o di pelle. Il tuo marmocchio, salvo casi di inquietante precocità, è già tanto che abbia un paio di tenerissimi incisivi inferiori. E anche se una delle prime parole che imparerà, e che si divertirà un mondo a dire nelle occasioni meno opportune, ha un suono decisamente simile a “Kafka”, temo che Il processo e La metamorfosi richiedano dentature più robuste.

Però ti capisco, passare per una lunga e noiosissima anticamera di libri di stoffa per neonati prima di approdare alla favola del grande scarafaggio dev’essere un’esperienza noiosa e frustrante, come l’attesa dell’uomo di campagna davanti alla porta della Legge. Fossi in te, mi ingegnerei a trovare una soluzione di compromesso. Qualcosa che abbia l’aspetto di un omogeneizzato ma il sapore della grande letteratura. Insomma, ti serve un menù, e io son qui per questo. Propongo di leggergli, per cominciare, E lasciatemi divertire di Aldo Palazzeschi (“Tri, tri tri / Fru fru fru, / Uhi uhi uhi, / Ihu ihu, ihu”); proseguire con Zang Tumb Tumb di Filippo Tommaso Marinetti; divertirlo con un po’ di lettristi e dadaisti – anche se il tuo Kafka considerava il dadaismo “un difetto fisico”, il segno che si è spezzata la spina dorsale dello spirito.

Ma non sei obbligata a tuffarlo nelle avanguardie, specie se ti fidi di K. e vuoi preservare le sue vertebre interiori. Che ne dici, per esempio, del gesuita secentesco Mario Bettini che rifà il verso dell’usignolo? “Quitó, quitó, quitó, quitó / Quitó, quitó, quitó / Zìzìzìzìzì zìzìzì / Quoror tiú zquà pipiquè”. E pensa quanto si divertirebbe il tuo bebè ad ascoltare i versi di un poeta secentesco molto amato da Raymond Queneau, Louis de Neufgermain, scritti in onore di un certo monsieur Lope: “Vous lipus liplopants, qui liplopez liplope, / Langage liploplier par les syllabes lope, / Lope est un nom d’héros, et cet héros est Lope”. Già lo vedo ridere e battere le mani.

Ecco, queste sono cose che già adesso può ruminare con i suoi due dentini; Kafka, fidati, te lo risputa subito, e non credo sia entusiasmante dover pulire rigurgiti di La metamorfosi dal vassoio del seggiolone. Ma se avrai fatto bene il tuo lavoro, un giorno il tuo bimbo potrebbe stupirti pronunciando la sua prima parola: Odradek!

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