03 ottobre 2016 11:56

Recentemente i paesi delle Nazioni Unite hanno firmato una dichiarazione che riconosce l’aumento della resistenza agli antibiotici come un rischio per la moderna medicina. È un buon inizio, ma è solo un inizio. E il tempo sta per scadere.

“La diffusione della resistenza batterica sta diventando più rapida dello sviluppo di nuovi antibiotici”, ha avvertito la direttrice generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan. “Data la scarsità di prodotti sostitutivi, il mondo sta andando verso un’era post-antibiotica in cui malattie comuni torneranno a uccidere”.

La dichiarazione dell’Onu chiede di diminuire l’uso di antibiotici per preservarne l’efficacia, facendo invece un migliore uso dei vaccini e investendo più denaro per sviluppare nuovi antibiotici. Ma non prevede nessuno stanziamento di fondi e non rende illegale la pratica di somministrare dosi minime di antibiotici negli animali d’allevamento. L’Onu non può farlo: è una decisione che spetta ai governi nazionali.

Un recente studio di Public Health England ha scoperto che la proporzione di batteri campylobacter resistenti alla ciproflaxacina, l’antibiotico abitualmente usato in caso di intossicazione alimentare, è cresciuta dal 30 al 48 per cento negli ultimi dieci anni. Se non facciamo qualcosa rischiamo di tornare indietro al diciannovesimo secolo per quanto riguarda la nostra capacità di controllare le infezioni. Anche ferite minori e semplici operazioni diventerebbero potenzialmente mortali.

Lo stesso vale per le malattie infettive. Nel diciannovesimo secolo la tubercolosi era la principale causa di morte dei giovani e degli adulti in Europa e in America. Con la scoperta della streptomicina nel 1944, dell’isioniazide nel 1952 e della rifampicina negli anni settanta, ha smesso di essere un grave problema sanitario. Ma adesso la resistenza ai farmaci è diventata tale che almeno 190mila persone in tutto il mondo sono morte di tubercolosi lo scorso anno.

L’80 per cento della produzione di antibiotici statunitense è destinata ad animali d’allevamento

Il problema della resistenza batterica è noto da tempo. Se gli antibiotici uccidono tutti i batteri pericolosi nella persona o nell’animale al quale vengono somministrati, allora non si sviluppa alcuna resistenza. Ma se uccidono solo quelli più deboli, perché il dosaggio è molto basso o perché il trattamento non viene portato a termine, allora i batteri sopravvissuti saranno più resistenti e trasmetteranno la loro resistenza a tutti i loro discendenti. A loro volta questi saranno selezionati in modo analogo, e la resistenza aumenterà gradualmente. L’unico modo per far sì che gli antibiotici restino efficaci, quindi, è usarli il meno possibile e fare in modo che quando vengono usati essi uccidano tutti i batteri presi di mira.

Ma non è quello che succede attualmente. I dottori prescrivono antibiotici troppo spesso, spesso solo per permettere alla gente di non andare al lavoro (e talvolta ottenendo una “mancia” dalle case farmaceutiche per ogni ricetta che scrivono). E nessuno controlla che i pazienti completino il ciclo di farmaci anche quando si sentono meglio.

Ancora più pericolosa è la pratica di somministrare regolarmente piccole dosi di antibiotico a bovini, suini e polli, sia per evitare il diffondersi di malattie nelle condizioni insalubri e anguste degli allevamenti intensivi, sia per fare in modo che prendano peso più velocemente. Poterli portare al mattatoio con una o due settimane d’anticipo significa più denaro in tasca.

Questa sciagurata pratica è vietata nell’Unione europea, ma è ancora comune in Cina e negli Stati Uniti. L’80 per cento della produzione di antibiotici statunitense è destinata ad animali d’allevamento che non sono malati. Inoltre, man mano che i metodi d’allevamento intensivi si diffondono nei paesi in via di sviluppo, lo stesso accade per l’uso di antibiotici.

“Abbiamo ormai prove schiaccianti di una sempre maggiore resistenza agli antibiotici, per tutte le età, e in tutto il paese”, ha dichiarato il dottor Vinod Paul, capo del reparto pediatrico all’Istituto di scienze mediche All India di New Delhi.

C’è anche bisogno di una nuova generazione di antibiotici che sostituisca quelli ormai inservibili. Per farlo occorrerebbe convincere le grandi case farmaceutiche a cambiare le priorità della ricerca. Ma per le aziende è più redditizio sviluppare nuovi farmaci che curano i problemi di salute cronici dei ricchi, e quindi servirebbero finanziamenti pubblici.

Bisognerà fare tutto questo e farlo in fretta. “Di questo passo”, ha dichiarato il dottor Chan all’Onu, “anche una malattia comune come la gonorrea potrebbe diventare incurabile. I medici saranno costretti a dire ai pazienti: ‘Mi spiace, non posso fare niente per lei’”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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