03 gennaio 2019 11:08

Volete una buona notizia alla fine di quest’anno oscuro? Cosa pensereste se vi dicessi che pare che i viaggi interstellari possano essere realizzati in un arco di tempo gestibile dagli esseri umani?

No, non è la cura per il cancro. Ma sappiamo ormai che prima o poi ce la faremo, a meno che la nostra civiltà non venga distrutta da una guerra, dal riscaldamento climatico o dall’impatto con un qualche asteroide. Fino a pochissimo tempo fa, le nostre conoscenze scientifiche ci dicevano che un viaggio verso stelle più vicine non sarebbe mai stato possibile.

La cosa potrebbe essere ancora vera, perché non possediamo ancora tutte le risposte. Ma lo scorso aprile l’Ente nazionale per le attività spaziali e aeronautiche (Nasa) degli Stati Uniti ha attribuito a James Woodward e all’Istituto per gli studi spaziali un secondo finanziamento.

Nel 2017 ne avevano ricevuto uno per lavorare sul loro progetto di motore spaziale. Hanno poi fatto abbastanza progressi da rimanere credibili e da soddisfare la Nasa, e adesso hanno ricevuto altri fondi per testare nuovi modelli che aumentano la spinta prodotta dal motore Mach effect gravity assist (Mega). Se andrà bene, un giorno potremo essere in grado di costruire navicelle spaziali che arriveranno fino alle stelle.

L’equazione dei razzi
Devo ammettere di aver provato davvero piacere a scrivere quest’ultima riga, perché per tutta la vita mi è stato detto che i viaggi interstellari erano solo fantascienza. I veri viaggi spaziali si basano sulla celebre equazione dei razzi dello scienziato russo Konstantin Tsiolkovsky, del 1903, secondo la quale un razzo può entrare nello spazio espellendo una quantità sufficiente della sua massa (carburante) ad alta velocità. Ma l’equazione dice anche che il carico e/o la velocità sono strettamente limitati.

È possibile aumentare il carico o la velocità, ma solo bruciando più carburante. Questo carburante va trasportato fin dal lancio, il che rende il veicolo più pesante, rendendo così necessaria una maggiore quantità di carburante, e così via.

Il problema è il carburante, non la distanza

È la “tirannia dell’equazione dei razzi” a rendere i voli spaziali così cari e i viaggi interstellari attraverso di loro impossibili. Affinché un’astronave guidata da esseri umani raggiunga la stella più vicina (Proxima Centauri, lontana 4,2 anni luce), rallenti quando vi si avvicini e faccia tutte queste operazioni nell’arco di una vita umana, dovrebbe bruciare una quantità di carburante uguale circa alla massa del Sole.

Il problema è il carburante, non la distanza. Per spedirne quattrocento chili verso Proxima Centauri servirebbe un’accelerazione gravitazionale di qualche anno a un modesto 1g (9,8 metri al secondo quadrato), una velocità massima di 0,4 c (quattro decimi della velocità della luce) e una decelerazione di qualche anno alla fine del viaggio. In vent’anni circa si potrebbe giungere a destinazione.

Tutte le recenti proposte di viaggio interstellare hanno quindi abbandonato i razzi e puntano su veicoli ultraleggeri dotati di grandi vele e alimentati da laser o dal vento solare. Ci sono due problemi: la spinta si esaurisce prima che abbiano viaggiato anche solo per un anno luce e non sono in grado di fermarsi alla loro destinazione.

Modelli in miniatura
Ed è a questo punto che sono intervenuti il dottor James Woodward – cha ha pubblicato il suo primo articolo scientifico sull’effetto Mach nel 1990 – e il dottor Heidi Fearn, sua collega alla California state university di Fullerton. I due hanno hanno costruito modelli in miniatura di un motore spaziale che non necessità di bruciare carburante e li hanno testati. La comunità spaziale ha cominciato a prenderli sul serio a poco a poco.

Chi di sicuro li sta prendendo sul serio oggi è la Nasa. Al contrario di quanto affermano alcuni dei loro detrattori, quel che stanno facendo non viola le leggi fondamentali della fisica, come ad esempio che quella secondo cui “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”.

Sarei felice di spiegare l’effetto Mach con maggiore precisione ma lo capisco a malapena anche io. Basti pensare che il loro motore Mega usa l’elettricità per produrre fluttuazioni di materia all’interno di un blocco di metallo, che a sua volta fa muovere il motore in avanti senza bruciare carburante. Su cosa si esercita la sua spinta? Sul resto della massa presente nell’universo.

Non c’è niente di certo. Rimangono alcune dispute sul fatto che questa spinta sia reale oppure solo un effetto elettrico o magnetico che crea un falso positivo. Ma la Nasa è pronta a investire su quest’idea e tanti altri scienziati stanno lavorando a partire dalla scoperte di Woodward e Fearn.

La cosa ci aprirebbe le porte del resto dell’universo. Esplorazione, colonizzazione, risorse illimitate, forse un contatto con altre forme d’intelligenza: tutto questo diventerebbe molto più possibile rispetto al fatto di rimanere confinati nel nostro piccolo sistema planetario per sempre. E naturalmente renderebbe molto più semplice anche muoversi all’interno di questo sistema: si arriverebbe sulla Luna in quattro ore, su Marte in due-cinque giorni e su Giove in sette-otto.

Che ne dite: è o non è (potenzialmente) una buona notizia?

(Traduzione di Federico Ferrone)

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