18 febbraio 2016 17:00

Mentre i capi di stato di alcuni paesi europei discutono sulla possibilità di rivedere gli accordi di Schengen, gli studenti hanno sempre più voglia d’Europa. Lo dimostrano gli ultimi due rapporti sulla mobilità studentesca, da poco pubblicati dalla Commissione europea. Il primo rapporto mostra un aumento nell’ultimo anno di studenti, laureati e docenti che decidono di trascorrere un periodo in un altro paese europeo. Il secondo calcola l’impatto dell’Erasmus sulla vita di chi lo fa, ed è particolarmente importante ora che molti atenei italiani hanno aperto i bandi di concorso per le borse di studio.

I numeri di Erasmus

Nel 1987, anno di nascita dell’Erasmus, 3.244 studenti di 11 paesi passarono un periodo all’estero. Nel 2014 sono partiti in 329mila dai 28 paesi dell’Unione europea, Norvegia, Islanda, Liechtenstein, Svizzera, Turchia e Macedonia. Rispetto all’anno precedente si è registrato un aumento di circa cinquemila partecipanti (da qualche anno il programma è aperto anche a studenti e neolaureati che intendono fare un tirocinio all’estero, agli insegnanti che vogliono passare un periodo di formazione in un altro paese e alle scuole, con programmi di gemellaggio). L’aumento numerico conferma un andamento che va avanti dalla nascita del programma. In 26 anni hanno partecipato al programma Erasmus 3,3 milioni di persone: se vivessero nella stessa città, questa avrebbe più abitanti di Roma o Madrid.

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L’Erasmus fa particolarmente bene agli studenti del sud europeo. Uno studio precedente della Commissione europea elencava gli effetti positivi dell’Erasmus sulla vita di chi lo fa: si va dalla riduzione del rischio di disoccupazione all’apertura degli orizzonti lavorativi e culturali degli individui. Chi entra nella comunità Erasmus rafforza il proprio “sentimento europeo” e ha più possibilità di lavorare in ambito internazionale. C’è persino chi si innamora in Erasmus e mette su famiglia.

Gli Erasmus spagnoli, portoghesi, greci e italiani hanno il 56 per cento in meno di probabilità di essere disoccupati

L’ultimo studio della Commissione europea, intitolato “Erasmus impact study: regional analysis”, scorpora i dati a livello regionale e confronta gli effetti dell’Erasmus sui partecipanti delle varie zone del continente europeo. Dallo studio emerge un particolare beneficio per i partecipanti dei paesi dell’Europa meridionale: gli studenti spagnoli, portoghesi, greci e italiani che fanno l’Erasmus hanno il 56 per cento in meno di probabilità di essere disoccupati a 5 o 10 anni dalla laurea rispetto a chi non lo fa. Gli Erasmus degli altri paesi rischiano meno la disoccupazione dei propri coetanei connazionali, ma l’impatto è minore (-14 per cento).

Anche i tirocinanti Erasmus dell’Europa del sud hanno più probabilità di venire assunti dalle imprese che li ospitano all’estero: uno su due, rispetto a uno su tre della media europea. “Ciò è dovuto principalmente a due fattori”, spiega Flaminio Galli dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire. “Da un lato gli Erasmus del sud europeo sono motivati dagli alti tassi di disoccupazione giovanile nei loro paesi, dall’altro dimostrano di avere grande dinamismo e adattabilità.”

Anche i datori di lavoro la pensano così: il 93 per cento degli imprenditori europei conferma l’importanza strategica delle esperienze acquisite durante il periodo di mobilità internazionale. E il dato cresce al 98 per cento se si restringe lo sguardo alle imprese del nord Europa.

E in Italia?

“Dai dati emerge che gli Erasmus italiani vanno nel complesso bene”, spiega Maddalena. L’Italia è tra i cinque paesi più attivi nel programma. È quinta per studenti in arrivo (20.204 nell’anno accademico 2013-2014) e quarta per studenti in partenza (26.331). Spagna, Francia, Germania e Regno Unito sono le mete più ambite dagli studenti Erasmus. Nonostante l’eccezione dell’Università di Bologna, che è tra le cinque università che ospitano più studenti di altri paesi in Europa (1.678 nell’ultimo anno), negli ultimi tre anni gli studenti in arrivo non sono aumentati mentre sono aumentati quelli in partenza.

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“Si può senza dubbio migliorare. Sappiamo per esempio che riceviamo più domande di quante non siano le borse disponibili”. Secondo l’Agenzia nazionale Erasmus+ il sistema italiano dovrebbe concentrare gli sforzi su tre punti: la facilitazione del riconoscimento dei crediti acquisiti dagli studenti, l’internazionalizzazione degli atenei (per aumentare gli studenti in arrivo) e il rafforzamento delle borse di studio per superare le barriere economiche che spesso inibiscono la partecipazione al programma. Misure che confluirebbero in un sentimento europeo più intenso e diffuso, sia nei paesi di partenza sia in quelli d’arrivo.

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