18 maggio 2017 12:37

Cannes li porta bene, i suoi settant’anni. Ma come molti vecchi sta diventando capriccioso. Il festival nasce nel 1946 come manifestazione culturale internazionale di riscatto dopo l’incubo della guerra. In quei primi anni il budget era ristrettissimo, tanto che, durante la prima edizione, i giardinieri municipali furono reclutati come proiezionisti. E due volte, nel 1948 e 1950, il festival è saltato per mancanza di risorse: ecco perché il settantesimo compleanno si celebra solo nel 2017.

È un compleanno ricco di regali per i cinefili, almeno sulla carta. Il concorso schiera registi affermati come Michael Haneke, Todd Haynes, François Ozon, Lynne Ramsay, Hong Sang-soo, Sofia Coppola e Andrej Zvyagincev, insieme ad alcuni loro colleghi che si stanno affermando, primo fra tutti lo svedese Ruben Östlund, quello dell’ottimo Force majeure. L’imbarazzo dei selezionatori davanti a una pioggia di chicche è dimostrata dal fatto che i film di due auteur come Mohammad Rasoulof e Laurent Cantet sono relegati alla sezione Un certain regard, mentre le ultime opere di Claire Denis, Abel Ferrara e Amos Gitai sono ospitate addirittura fuori dalla selezione ufficiale, nella rassegna parallela ma indipendente della Quinzaine.

Il bivio Netflix
Però in questa sua settantesima edizione, il festival di cinema più importante del mondo si trova a un bivio. Due dei film in concorso, Okja del coreano Bong Joon-ho e The Meyerowitz stories (new and selected) di Noah Baumbach, sono prodotti da Netflix, e destinati dunque a non uscire mai nelle sale cinematografiche, tranne qualche passaggio di prestigio di quello che nel gergo dell’industria si chiama “day and date” (programmato nello stesso giorno dell’uscita online), che serve anche, negli Stati Uniti, da qualifica per l’ammissione agli Oscar.

Era già successo a Venezia nel 2015 con il film sui bambini soldato africani Beasts of no nation di Cary Fukunaga, altra produzione Netflix che uscì in sala solo pro forma. Ma come è già stato scritto in questa sede, Cannes è fortemente identificato con la modalità tradizionale di consumo tradizionale del prodotto cinematografico, in parte per motivi puri, in parte perché deve convivere con la lobby degli esercenti francesi.

Una settimana fa, il festival ha diramato un comunicato stampa in difesa del “sistema tradizionale della proiezione cinematografica” in cui annuncia che, in seguito al fallimento del tentativo di convincere Netflix a garantire l’uscita nelle sale francesi dei due loro film in concorso, dall’edizione 2018 in poi non saranno più inclusi nella selezione ufficiale film che non abbiano la certezza di una distribuzione francese “tradizionale”.

Il presidente della giuria, Pedro Almodóvar, si è schierato con la posizione anti Netflix

Nella conferenza stampa di presentazione della giuria di questa edizione, il presidente di quella ufficiale del concorso Pedro Almodóvar, si è schierato con la posizione anti Netflix del direttore del festival, Thierry Frémaux, dicendo che “non vedo come la Palma d’oro possa essere assegnata a un film che non uscirà sul grande schermo”. Un altro esponente della giuria, l’attore americano Will Smith, è stato più conciliante: ha parlato dei suoi figli, che guardano Netflix e vanno al cinema senza che le due cose entrino in conflitto. “Da noi si deve viaggiare per migliaia di chilometri per vedere un film in sala”, ha dichiarato. “Netflix non ha fatto altro che aumentare la conoscenza cinematografica dei miei figli”.

Secondo l’European audiovisual observatory, tra il 2011 e il 2015, il 14 per cento dei lungometraggi prodotti in Europa è uscito unicamente su piattaforme video on demand (vod). Il numero è destinato a crescere. Se Cannes chiude le porte a questo fenomeno non significa certo che il fenomeno si fermerà. Ma c’è dell’altro: è una regola ad hoc che potrebbe rivelarsi controproducente, escludendo film che non c’entrano niente con Netflix o Amazon, che semplicemente non hanno trovato ancora una distribuzione. Tanto per fare un esempio, c’è sempre un discreto numero di film selezionati in concorso a Venezia che non escono mai nelle sale italiane.

Aperture titubanti
La cosa più curiosa, però, è che questo suo puntare i piedi arriva proprio nel momento in cui Cannes apre per la prima volta a due novità. La prima, già presente in festival come Berlino, Venezia o Toronto, è la tv. È diventato quasi un cliché dire che ormai gli sceneggiatori più bravi lavorano per le serie televisive. Ma Cannes, si sa, sta dalla parte dei registi e dunque ha scelto non Gomorra o Breaking bad ma due opere autoriali a tutti gli effetti per la sua cauta e titubante prima immersione: la seconda stagione della serie poliziesca australiana Top of the lake, diretta da Jane Campion insieme ad Ariel Kleiman, e i primi due episodi dell’attesa ripresa della serie cult Twin Peaks di David Lynch, proprio a 25 anni dal prequel cinematografico Fuoco cammina con me, che fu fischiato quando passò in concorso a Cannes nel 1992.

L’altra novità di Cannes 2017 è la programmazione, fra gli eventi speciali, di un film in realtà virtuale (vr), Carne y arena del premio Oscar Alejandro González Iñárritu, realizzato insieme a un altro autore non meno illustre, Emmanuel Lubezki. Sviluppato e finanziato dalla fondazione Prada insieme a Legendary entertainment, e creato con l’aiuto dell’IlmxLab di George Lucas, questo “film” immersivo di 390 secondi, godibile da una sola persona per volta, nasce da varie interviste che il regista ha condotto con profughi centroamericani. Secondo Iñárritu, l’esperienza in realtà virtuale sull’attraversamento del confine tra Messico e gli Stati Uniti “permetterà alle persone di camminare in uno spazio enorme in cui vivranno dei frammenti della vita dei profughi”. Carne y arena è il progetto di punta di un focus sulla realtà virtuale che comprende workshop, tavole rotonde e delle cabine speciali per la proiezione di filmati in vr, che stanno nella parte commerciale del festival, il famoso mercato.

C’è un solo problema. La presentazione del progetto vr di Iñárritu a Cannes 2017 non figura sul calendario delle proiezioni. Nessuno sapeva dirmi dove, quando e come vederlo. Finalmente ho trovato un addetto alla zona vr del mercato che mi ha detto che, secondo lui, si farà all’aeroporto di Nizza, e per avere l’invito bisogna rivolgersi direttamente al direttore del festival, Thierry Frémaux. Mi ha consigliato di rivolgermi all’ufficio stampa del festival. Ho scritto una email a cui mi è stato risposto: “Scusateci, non c’è posto, siamo già in overbooking”.

Mi è venuto un dubbio. Forse Iñárritu non ha fatto nessun film immersivo vr che ti mette nei panni di un immigrato. Forse ha semplicemente eretto un muro di disinformazione e disinteresse che rispecchia, pur se in chiave infinitamente più frivola, quel calvario.

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