17 marzo 2016 18:07

Anche nel mio telefono ci sono emoticon con una principessa, una sposa o una ballerina di flamenco, e anche nel mio telefono mancano emoticon per la prima donna alla guida del Cern, per l’astronauta rimasta più a lungo in una missione spaziale o per la matematica iraniana vincitrice della medaglia Fields per i suoi studi sulla geometria delle superfici. Dimenticanze tutt’altro che innocenti, visto che a decidere cosa finisce nei nostri smartphone sono per lo più uomini.

Le donne sono solo il 17 per cento tra gli ingegneri e i manager di Microsoft, mentre tra i 18 dirigenti di Apple le donne sono tre, il 16,6 per cento. Tra tutti gli informatici statunitensi, le donne sono il 29 per cento, meno di una su tre. Ma è in tutto il settore Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (Stem nell’acronimo inglese, le discipline al cuore della new economy) che è possibile osservare persistenti disuguaglianze lungo le demarcazioni di genere.

Negli Stati Uniti, le donne sono il 48 per cento degli occupati, ma solo il 24 per cento tra i lavoratori Stem. Le cose vanno meglio in Europa, con il 40 per cento di donne tra scienziati e ingegneri mentre in Italia, dove la quota di donne al 41,9 per cento sul totale degli occupati è tra le più basse dei paesi Ocse, ci sono 2,15 uomini per ogni scienziata o ingegnera (il 68,29 contro il 31,71 per cento nel totale del settore).

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Nonostante la crescita senza precedenti dell’istruzione universitaria femminile registrata negli ultimi quattro decenni, le donne che si iscrivono a discipline Stem sono ancora oggi molto meno degli uomini.

In Italia, nel 2012, le donne sono state il 62,2 per cento dei neolaureati, ma questa percentuale scende al 47,9 per cento se si considerano solo i neolaureati Stem, e va ancora peggio in facoltà come informatica (dove le donne sono il 24 per cento) o ingegneria (21,7 per cento). Così, pur essendo la minoranza della popolazione dei neolaureati e avendo in media risultati accademici peggiori, sono gli uomini a essere avvantaggiati nella transizione verso posizioni lavorative ben pagate di leadership scientifica, sia nel settore accademico sia in quello pubblico o privato.

In Italia, ancora oggi gli uomini sono il 63,9 per cento dei ricercatori nel settore Stem – e il 60,1 per cento del totale. Queste differenze vengono da lontano: nonostante garantiscano stipendi mediamente più elevati, solo il 5 per cento delle ragazze italiane di 15 anni aspira a professioni come l’ingegneria o l’informatica – contro il 20 per cento dei ragazzi. A insistere su questo divario sono pregiudizi di genere largamente condivisi, secondo cui le donne sarebbero “poco portate” per questo tipo di lavori. Queste profezie, per quanto false, si autoavverano, finendo per influenzare negativamente le scelte di carriera scolastica delle ragazze fin dai primi anni di scuola.

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Uno studio statunitense su 6.500 docenti in 89 discipline e 259 università ha stabilito che è più probabile che un docente risponda a un’email di medesimo contenuto se il mittente ha un nome maschile. Secondo un’indagine condotta nel 2008 dalla britannica Royal society for chemistry, la percentuale di dottorande in chimica che avevano intenzione di fare una carriera accademica era caduta dal 72 al 37 per cento tra il primo e il terzo anno di dottorato. Tra i motivi della rinuncia figuravano incertezze sui propri risultati scientifici, dovute anche a esperienze negative con i superiori e isolamento dalle reti sociali dei colleghi uomini.

Un’analisi su un corso di laurea in biologia alla University of Washington ha mostrato che gli studenti di sesso maschile tendono a citare più frequentemente altri uomini come i migliori della classe, sovrastimando del 14,25 per cento i loro risultati accademici. Sul sito di hosting per progetti open source GitHub i codici proposti dalle nuove utenti di solito sono accettati 71,8 volte su cento – un tasso più elevato di quello dei nuovi utenti di genere maschile. Ma se dal nome dell’utente si capisce che si tratta di una donna, il tasso di accettazione crolla al 62,5 per cento, sotto il livello con cui sono accettate le proposte con la firma di nomi esplicitamente maschili.

Una cultura con tali pregiudizi finisce per creare ostacoli rilevanti all’ingresso delle donne nel mondo lavoro. In un esperimento condotto negli Stati Uniti, 127 docenti di facoltà scientifiche hanno valutato alcune domande di lavoro, senza sapere che erano finte e scritte in modo uguale – salvo per il nome, che tradiva il genere del candidato. In media, sia i docenti sia le colleghe hanno valutato più positivamente gli uomini delle donne. Se una candidata otteneva il posto riceveva un’offerta di stipendio più bassa di circa quattromila dollari.

Anche in Italia, a cinque anni dalla laurea le donne nei settori Stem soffrono di un divario salariale più alto di quanto non accada in altri settori: nel 2005, una donna laureata in queste discipline guadagnava quasi il 15 per cento in meno di un collega. Nel 2015, anche a causa della crisi che ha spinto in basso gli stipendi, parte di questo divario si è riassorbito, ma un uomo continua a guadagnare in media il 12,5 per cento in più.

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Nella Silicon valley gli uomini arrivano a dichiarare di ricevere redditi del 61 per cento più alti rispetto alle colleghe. Si tratta di un problema strutturale per le politiche pubbliche delle economie avanzate.

Dal 1975 a oggi, i rendimenti nei settori industriali più avanzati sono cresciuti negli Stati Uniti a un ritmo cinque volte più alto di quello dell’economia nel suo complesso. È da questi settori che oggi proviene il 17 per cento della ricchezza e il 60 per cento degli export, il 90 per cento della ricerca scientifica privata e l’85 per cento di tutti i brevetti. Negli Stati Uniti, lo stipendio medio di chi lavora in questi settori – l’80 per cento di tutti gli ingegneri, e la larga maggioranza dei lavori Stem – è circa doppio rispetto allo stipendio nazionale medio, così che la presenza di questi lavoratori crea effetti positivi in termini di occupazione per il resto dell’economia locale.

Uno studio britannico ha mostrato che rispetto alle occupazioni d’élite tradizionali (come gli avvocati, i manager e i mediatori finanziari), le occupazioni Stem (in particolare l’informatica e l’ingegneria) tendono a essere più meritocratiche per le progressioni di carriera e a essere molto più aperte all’accesso di persone con retroterra socioeconomici meno privilegiati.

Generare un numero maggiore di questi lavori – un terreno in cui l’Italia è ancora molto indietro – rimane oggi una delle migliori opportunità per le economie avanzate di diventare più ricche e aprire a persone diverse le porte di questa nuova ricchezza. Pensare che questi vantaggi siano limitati da barriere di genere è semplicemente inaccettabile in termini sia di equità sia di efficienza.

Ma non si tratta solo di una questione economica. In un’indagine online, 210 lavoratrici della Silicon valley hanno descritto di aver subìto varie forme di discriminazione, tra cui l’aver visto porre a colleghi uomini domande su questioni di loro competenza, l’aver ricevuto critiche per la “troppa aggressività”, domande su figli e partner durante colloqui di lavoro, o proposte sessuali indesiderate. “Succedono tre cose quando ci sono donne sono in un laboratorio”, ha spiegato lo scorso anno il premio Nobel per la medicina Tim Hunt, prima di essere licenziato. “Ti innamori di loro, loro si innamorano di te e, quando le critichi, si mettono a piangere”.

Sul New York Times Hope Jahren, geochimica alla University of Hawaii, ha raccontato che non è raro che sue ex studentesse ricevano dai loro capi email con frasi inappropriate (“Posso condividere con te qualcosa di profondamente personale? Sei incredibilmente attraente e adorabilmente maldestra”), che finiscono per minare la loro autostima (“Tutto ciò che so è che dal primo giorno che ti ho parlato non c’è stato un solo giorno senza che ti pensassi”, “È incredibile quante cose abbia dovuto fare per te”), e a sfociare in vere e proprie minacce (“Le cose stanno così e dovrai avere a che fare con me fino a che uno di noi due non se ne andrà”). Abusi che si nutrono dei pregiudizi di genere che ogni giorno promuoviamo, a partire dalle nostre emoticon.

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