17 ottobre 2017 12:30

Se passate un po’ di tempo a leggere libri sul buddismo, o a frequentare buddisti, probabilmente vi imbatterete nella misteriosa “dottrina del vuoto”. Non l’ho mai capita, ma mi è sempre piaciuta, forse perché sono perversamente attratto dal fatto che sembra cupa e deprimente (il buddismo è pieno di queste cose terribili. Lo sapevate, per esempio, che in origine la reincarnazione era considerata una cosa negativa? Lo scopo della meditazione era evitare di rinascere un’altra volta. È meno una religione dei sorrisi e dei fiori di quanto sembri, e più un culto della morte).

Secondo la dottrina del vuoto, in un certo senso tutto quello che esiste è vuoto. Ancora non capisco esattamente che cosa significa, ma mi ci sono avvicinato molto grazie al superbo ed equilibrato libro di Robert Wright Why buddhism is true (Perché il buddismo dice la verità). E la risposta, a quanto sembra, non è neanche così deprimente: potrebbe essere l’antidoto di cui c’è tanto bisogno a questi tempi sempre più arrabbiati .

La premessa da cui parte Wright è che di solito vediamo il mondo attraverso il filtro di una serie di ipotesi che diamo per scontate, alcune delle quali sono così basilari da non rendercene nemmeno più conto. La più basilare di tutte è quella che ci fa proiettare su ogni oggetto e ogni persona una “essenza interiore”, qualcosa di vago che non tocchiamo mai con mano.

Alimentare il malanimo
“Gli esseri umani danno per scontato”, scrive lo psicologo Paul Bloom, “che le cose, le persone e gli eventi abbiano un’essenza invisibile che ne fa quello che sono”. Se io rubassi la vostra fede nuziale e la sostituissi con un’altra identica, scoprendolo ci rimarreste molto male, perché non sarebbe più il vostro anello. Questo è l’essenza. Durante una lite furiosa con un altro automobilista che si sta comportando da stronzo, è praticamente impossibile non pensare che quella sia la sua essenza. Come le persone che vanno alle manifestazioni dei suprematisti bianchi sono essenzialmente cattive.

Questo essenzialismo ha l’effetto di alimentare il malanimo, la sensazione che la vita sia una continua battaglia, e che l’unica soluzione possibile sia distruggere chi possiede l’essenza cattiva. Tuttavia queste essenze sembrano non mostrarsi mai. Nella lite con l’altro automobilista, se tenessimo conto solo della nostra esperienza, vedremmo semplicemente una serie di fenomeni: le percezioni che costituiscono l’immagine che ci creiamo di lui, le nostre reazioni emotive, e così via.

Potremmo concentrarci semplicemente nel tentativo di ridurre la sofferenza

Allo stesso modo, l’idea che abbiamo del suprematista bianco nasce da una serie di attività mentali, pensieri e azioni, ognuna delle quali è causata da un altro fenomeno, che a sua volta è causato da un altro, e così via fino a risalire al big bang. Questo non significa giustificare i comportamenti immorali, ma vedere chiaramente la realtà. “Anche se impalpabile, esiste un’importante tendenza ad attribuire troppa forma e troppi contenuti alla realtà”, osserva Wright.

Potremmo smettere di cercare di proteggere certe essenze e al tempo stesso evitarne e sradicarne altre, e concentrarci semplicemente nel tentativo di ridurre la sofferenza.

In un famoso aneddoto buddista, del quale esistono parecchie versioni, un uomo che sta pilotando la sua barca su un lago in un giorno di nebbia si arrabbia quando un’altra barca va a sbattergli contro. Come spesso succede, la sua rabbia nei confronti dell’altro continua a montare. Ma quando la nebbia si dirada, scopre che la barca era vuota. E la sua rabbia svanisce. Secondo la dottrina del vuoto, l’altra barca è sempre vuota, anche se dentro c’è qualcuno. Dopotutto, anche i barcaioli sono solo una serie di fenomeni.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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