28 dicembre 2018 10:36

Di tanto in tanto, nel corso di quest’anno inquietante, mi è arrivato sulla scrivania un libro con un titolo che faceva subito pensare all’autoaiuto – qualcosa a proposito di darsi una mossa, affrontare la vita da vincenti, prendersi tutto quello che si è sempre sognato – e ho provato un moto di pietà per l’autore, che si rivelava così poco al passo con i tempi. Questa non è un’epoca in cui darsi una mossa e realizzare i propri sogni. È un’epoca secondo me caratterizzata dal fare costantemente i conti con i problemi.

Anche la consapevolezza, nella sua forma popolare, è un modo di farlo. E lo stesso discorso vale per l’hygge, il lagom o qualsiasi altra parola di origine scandinava che secondo qualcuno indica il segreto della felicità: sono tutti concetti che ruotano intorno all’idea di concentrarsi sulla vita domestica e apprezzare quello che abbiamo.

I libri di psicologia che hanno nel titolo espressioni come “fuck” – sui quali chiederei cortesemente una moratoria – riguardano un modo diverso di fare i conti con i problemi: risolverli mandandoli affanculo. Lo stesso discorso vale per l’autoterapia, che implica la lettura online di suggerimenti su come non impazzire passando tutta la giornata online. Sembra che abbiamo rinunciato a vincere nel gioco della vita, ormai ci accontentiamo e basta.

Prenderla con filosofia
Questo atteggiamento è spesso criticato per ragioni politiche: se i motivi per cui ci sentiamo così sopraffatti e siamo così ansiosi sono di tipo economico e sociale, non dovremmo essere incoraggiati a ritirarci dal mondo, o a trovare il modo di sopravvivere in un sistema sbagliato, ma a combatterlo.

“L’industria della rassicurazione è fiorentissima”, scrive Miya Tokumitsu sulla rivista The Baffler. “C’è una schiera di Virgili per tutti i gusti pronta ad aiutarci ad attraversare i molti gironi del capitalismo neoliberista”. Perfino più subdolo del normale autoaiuto – accusato di impedirci di vedere le ingiustizie della società – il discorso basato sul fare sempre i conti con i problemi ci permette di prendere coscienza di quanto è spaventoso il mondo e continuare a non fare nulla per cambiarlo.

Immaginare che le cose potrebbero andare diversamente è fonte di grande infelicità

Per quanto questo sia vero, non tiene conto del fatto che gli esseri umani hanno sempre affrontato i problemi. Il filosofo latino Boezio scrisse il suo De consolatione philosophiae mentre era in prigione in attesa di essere messo a morte. I problemi non gli mancavano, ma buona parte della filosofia e della letteratura condividono questo scopo consolatorio. È naturale che sia così. Se sei un essere umano – con una vita e una capacità finite, ma una mente in grado di concepire infiniti bisogni e di fare infiniti progetti, più la consapevolezza della tua mortalità – l’unica cosa che puoi fare è affrontare mille problemi.

Anzi, immaginare che le cose potrebbero andare diversamente è fonte di grande infelicità. Metà dell’ansia che ci provoca l’avere “troppe cose da fare” nasce dall’incapacità di capire che avremo sempre troppo da fare, e quindi faremmo meglio a smettere di cercare di fare tutto. Come osserva lo scrittore Sam Harris, non facciamo altro che peggiorare alcuni nostri problemi quando ci indigniamo al solo pensiero di doverli affrontare – come se immaginassimo di poter vivere, un giorno, una vita totalmente priva di problemi.

Il poeta francese Christian Bobin racconta una sua epifania: “Stavo sbucciando un mela rossa del mio giardino quando improvvisamente ho capito che nella vita avrei sempre avuto una serie di problemi meravigliosamente irrisolvibili. Nel momento stesso in cui l’ho pensato, il mio cuore è stato invaso da un oceano di profonda pace”.

Ci sono molte cose che le persone non dovrebbero affrontare, e che noi dovremmo combattere. Ma fare costantemente i conti con i problemi? È la vita. Dentro ci sono solo problemi. Mi auguro che queste feste ve ne portino qualcuno particolarmente piacevole.

Consigli di lettura
Siamo abituati a relegare la gioia in un tempo o in un luogo diversi da quelli in cui viviamo. Contentment di Robert Johnson e Jerry Ruhl (1999) è un piccolo libro rincuorante su come dare senso alla vita qui e ora.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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