11 novembre 2014 21:18

Stanco di certo, forse anche deluso. Secondo il quotidiano la Repubblica il presidente Giorgio Napolitano, novant’anni il prossimo giugno, si appresterebbe a dare le dimissioni. Potrebbe annunciarle a dicembre in occasione del tradizionale discorso di fine anno.

In realtà si tratta di un mezzo scoop. Napolitano, che aveva accettato un secondo mandato di sette anni per aiutare il paese a uscire dalla crisi politica provocata dalle elezioni senza vincitore del febbraio 2013, non aveva mai nascosto di preferire un contratto a termine. La sua intenzione era quella di lasciare dopo che fossero state approvate le riforme istituzionali (legge elettorale e abolizione del bicameralismo).

Anche se vanno prese con cautela, le informazioni di Repubblica indicano un’accelerazione del suo calendario e dimostrano la sua rassegnazione. In effetti le riforme sono ben lungi dall’essere adottate. Quella sulla legge elettorale è stata oggetto di numerose modifiche e si scontra con l’indecisione di Silvio Berlusconi. Potrebbe non essere approvata definitivamente prima della primavera del 2015. Quella del senato necessita ancora di tre passaggi davanti alle camere e di un referendum.

Secondo la stampa italiana Napolitano è stanco. A ottobre sarebbe stato vittima di una crisi di stanchezza che l’avrebbe convinto di non avere più le forze necessarie per portare a termine il suo compito.

Altre fonti indicano invece che non avrebbe sopportato di dover testimoniare, sempre a ottobre, al processo sui presunti negoziati tra stato e mafia all’inizio degli anni novanta. Infine, alcuni commentatori sottolineano la delusione del capo di stato di fronte a una classe politica che, nonostante i suoi ripetuti appelli alla responsabilità, si dimostra incapace di riformarsi rapidamente come richiesto dalla crisi istituzionale.

Se dovesse essere confermata, l’ipotesi delle dimissioni di “Re Giorgio”, come viene soprannominato, aprirebbe un nuovo periodo di incertezza per l’Italia. Parlamentare dal 1953 nelle file del Partito comunista, poi diverse volte ministro, Napolitano ha rappresentato la parte migliore di una politica italiana spesso screditata da figure mediocri.

Anche se gli si può rimproverare di aver nominato Mario Monti al posto del dimissionario Berlusconi nel 2011, anziché mandare gli italiani a votare, nessuno può negargli il titolo di statista e di convinto europeista, che ha fatto di tutto per salvaguardare l’immagine e la reputazione del suo paese.

Non sarà facile trovare un successore della sua levatura. I mezzi d’informazione citano i nomi dell’ex ministra degli esteri Emma Bonino, della senatrice Anna Finocchiaro e di due ex presidenti del consiglio, Romano Prodi e Giuliano Amato. Ma l’elezione a scrutinio segreto del presidente della repubblica è un’alchimia complessa, ricca di sorprese e di trappole. Un candidato deve raccogliere i due terzi dei voti del parlamento e dei rappresentanti delle regioni in occasione dei primi tre turni di scrutinio. In seguito è sufficiente un quorum del 50 per cento.

Ma nessun partito dispone da solo della maggioranza. Le trattative si trasformeranno probabilmente in una contrattazione tra la sinistra, la destra e il Movimento 5 stelle. Nel 2013 né Prodi né Franco Marini, i due candidati scelti dal Partito democratico, erano riusciti a farsi eleggere. Così ad aprile Napolitano aveva accettato di mettere tutti d’accordo e di “sacrificarsi” per un nuovo mandato, teoricamente di sette anni. In un comunicato diffuso domenica, il Quirinale “non conferma né smentisce” queste voci e aggiunge che quando Napolitano avrà preso una decisione la annuncerà personalmente.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it