07 luglio 2011 00:00

1. I Cani, Velleità

Sono mesi che tutta la suburra di fessbùc ne parla, e pariolini di qua e diciottenni di là, è tutto un like, e dice Maria Laura Rodotà che “nelle loro canzoni ci sono la poesia, il dolore e la dimensione universale dello sbraco romano, o qualcosa del genere”; e loro, sono abbastanza smartphone da intitolare l’album d’esordio dei Cani proprio così, un po’ Dave Eggers e un po’ peracottari. Si può dire che dopo tre pezzi diventano odiosi? Però durante quei tre (e uno dei quali Velleità) sono taglienti, electrohardcore, ossessivi e fintoepocali, tipo la voce del cialtrone.

**2. Battles feat. Matias Aguayo,* Ice cream***

Il videoclip inizia che sembra un pornocono al cioccolato e va avanti come un Terrence Malick minore ma non meno delirante, un ramoscello of life che accompagna questa follia di canzone con schegge messe in fila con i colori e i gusti di un gruppo “oltre il postrock, oltre il noise, oltre il pop e soprattutto il math”, secondo Giulio Di Donna (il 10 luglio suonano al Neapolis festival, e sarà un bel momento per i matematici napoletani): sì, è l’archetipo della band adorata alla follia da pochi, e quasi totalmente ignorata da moltitudini oceaniche.

3. Damien Rice and Angus & Julia Stone, You’re the one that I want

Ormai chi pensa a Grease pensa alla sora Cesira, e alla sua Arcore’s night, laikata da decine di piccoli indiani di fb; però c’è anche questa versione arcitriste di una delle canzoni più allegrotte di quel lontano musical: dove nel 1979 incrociavano i falsetti Travolta e Newton-John, ecco adesso gli ululati disperati dei frate & sora australiani e del folksinger irlandese, in una seratina britannica uscite come album, The Flowerpot sessions. Ma anche qui poi si ride sotto i baffi; divertimenti da pub, tipo prendere a freccette gli amori da collegio.

Internazionale, numero 905, 8 luglio 2011

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