1. Daniel Usso, O Brasil
“O Brasil con la maglia gialla/ che gioca la palla”. Una lenta indolente bossanova accattona per dirci che boh, se incontriamo il Brasile sono botte. Quando fu pensata questa canzone c’erano Baggio e Rivaldo, ma le formazioni cambiano e i ribaldi restano, e il suo appeal rivaleggia con certe cose dei Selton se non con la italobossa di Ornella Vanoni. Daniel Usso è un carioca maccheronico rifugiato a Londra per fondare la Pastaradio Records. E piazzare su Spotify e Vimeo questa bomba a orologeria che dal 1994 attende pigra di esplodere.
2. Ninos Du Brasil, Essenghelo tropical
Trance punk samba batucada! I rituali macumba di una torcida in calore. Un baccano ammaliante, come di una tribù che sballa in un impianto industriale dismesso, colpita da contagio calcistico-orgiastico. Un insperato stomp percussivo di stampo italiano poiché, pure qui, ci son solo due niños de noantri, Nico e Niccolò, ex punkabanda With Love che col secondo album, Novos misterios (copertina di Luigi Ontani, video di Carlo Mazzacurati), si raggruppano da qualche fascinosa parte tra Socrates, Sepultura e Stop bajon di Tullio de Piscopo.
3. Lurdez da Luz, Ping pong
Ma anche i brasileiri veri ci sanno fare, e qui a palleggiarsi ritmi e rime è una signorina da favela sciolta. Se sembra inneggiare al tennistavolo il suo è un rap crunk/carioca incazzoso di tutto rispetto, con quella sprezzatura samba sporca di elettronica per chiarire che non si tratta di folklore pallonaro. È nell’ottima compilation Rolê: new sounds of Brazil della Mais Um Discos, l’etichetta più sul pezzo per chi vuole esplorare la folktronica del Minas Gerais, il dubstep di Manaus e gli altri suoni ribaldi che iniziano là dove si spegne il triplice fischio.
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