13 ottobre 2016 19:01

All’inizio di El ciudadano ilustre, il film di Gastón Duprat e Mariano Cohn presentato all’ultima mostra di Venezia, il protagonista Daniel Mantovani (interpretato da Oscar Martínez che al Lido ha vinto la Coppa Volpi) ritira malvolentieri il premio Nobel per la letteratura. E nel discorso di “accettazione” in cui sfiora l’insulto ai regali di Svezia dichiara che ricevere un premio di quel genere, unanime, universale ha decisamente a che fare con la morte, con il crepuscolo. Per Mantovani significa infatti che la sua opera non è più percepita come qualcosa di scomodo, sovversivo, è qualcosa che mette tutti d’accordo. Chissà come la pensa Bob Dylan? Forse lo sapremo se andrà a ritirare il premio. Di certo non la pensava così Dario Fo che del resto è stato un personaggio all’estremo opposto del depresso scrittore argentino protagonista del film. Non c’è ancora una data prevista per l’uscita del Ciudadano ilustre in Italia, mentre Dylan dovrebbe ritirare il premio a dicembre a Stoccolma. Allora sapremo.

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Nel frattempo è cominciata la Festa del cinema di Roma, che proseguirà fino al 23 ottobre. Riuscirà Antonio Monda, alla sua seconda direzione artistica della festa, a dare una fisionomia alla sfuggente manifestazione romana? Intanto il protagonista della giornata inaugurale è stato Tom Hanks, che ha incontrato stampa e pubblico nel giorno dell’uscita in sala di Inferno di Ron Howard, tratto dal romanzo di Dan Brown, in cui l’attore californiano veste per la terza volta i panni del professor Robert Langdon. Nessuno dei tre film ha lasciato il segno per motivi particolari. Del primo si ricorda soprattutto il cilicio di Paul Bettany, del secondo la planata del Camerlengo, Ewan McGregor, su San Pietro (e forse Favino che sgomma in auto blu per il centro di Roma). Chissà se il terzo, visto che parla dell’Inferno di Dante che molti hanno dovuto studiare a scuola, ci regalerà qualche momento memorabile.

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Pablo Larraín è un regista in ascesa verticale. Già si fa il suo nome in chiave Oscar per Jackie, presentato a Venezia, con Natalie Portman nei panni di Jackie Kennedy. Intanto esce in sala Neruda che racconta il periodo in cui il poeta cileno fu costretto alla fuga e poi all’esilio dal presidente Gabriel González Videla che lo accusò di alto tradimento. Nel ruolo del poeta c’è Luis Gnecco, ma c’è anche Gael García Bernal che interpreta l’ispettore di polizia Oscar Peluchonneau, sguinzagliato da Videla sulle tracce del futuro premio Nobel. A proposito di premi, anche Neruda è in corsa per l’Oscar come film straniero. È il film che il Cile ha deciso di candidare. A dicembre si saprà se Larraín riuscirà ad avere almeno una delle nomination in ballo. Di sicuro invece Neruda ricevette il Nobel per la letteratura nel 1971. Non si poteva pensare a un tempismo migliore per l’uscita del film, in un giorno in cui di Nobel si è parlato parecchio.

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A Berlino, nel 1940, mentre la Germania nazista festeggia l’occupazione della Francia, i coniugi Otto e Anna Quangel piangono la perdita del figlio sul fronte occidentale. Lettere da Berlino, terzo lungometraggio di Vincent Perez (che qualcuno ricorderà soprattutto come attore), tratto dal romanzo di Hans Fallada Ognuno muore solo, è una ricca coproduzione tra Regno Unito, Francia e Germania con Brendan Gleeson, Emma Thompson e Daniel Bruehl nei ruoli principali. Otto e Anna cominciano a diffondere per tutta la città delle semplici cartoline con frasi contro il Führer e il Reich, pensati come granelli di sabbia che possano far inceppare gli oliati meccanismi della propaganda nazista.

Il cast, la fotografia, i costumi e soprattutto il grande tema (la ribellione al Terzo Reich) sembrano voler puntare in alto (Oscar?), ma il tutto risulta invece un po’ appiattito. Forse il film sconta la scelta di scrittura di presentare la storia come un thriller (dove la tensione non monta mai davvero), o quella “ambientale” di preferire un cast internazionale ad attori tedeschi, caricando solo sulle loro spalle il peso della costruzione dei personaggi (cosa che poi riesce meglio ad alcuni che ad altri). L’effetto complessivo è quello di una grossa fiction più che di grande cinema. Nella versione italiana si perde l’accento tedesco di Emma Thompson. Un bene o un male?

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